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La fine dell’Isis?

A che punto siamo nella lotta contro lo Stato islamico: a partire da Mosul e Raqqa, c’è molto da festeggiare, ma poco da stare tranquilli.

di Studio

In queste settimane ci sono stati due sviluppi interessanti nella guerra contro l’Isis. Prima l’esercito iracheno, insieme alle forze curde sue alleate, ha riconquistato gran parte di Mosul, in Iraq. Poi le forze democratiche siriane, una coalizione di milizie arabe e curde sostenute dagli Stati Uniti e dai loro alleati, hanno riconquistato una buona fetta di Raqqa, la capitale di fatto del Califfato, che si trova nel territorio siriano. Diversi media, dall’Economist alla Cnn, dall’Independent al Guardian, hanno pubblicato titoli che annunciano la fine imminente dello Stato islamico, salvo poi, in alcuni casi, spiegare all’interno degli articoli che la situazione è un po’ più complessa di così. La situazione potrebbe essere riassunta con una frase: c’è molto da festeggiare, ma c’è poco da stare tranquilli.

I risultati ottenuti a Mosul e a Raqqa sono molto importanti, anche se, per il momento, non ancora definitivi. In particolare nella capitale del Califfato la battaglia sembra vinta, ma per avere l’intero controllo sulla città potrebbero volerci mesi, come hanno detto fonti delle forze curde. Il dato di fatto, piuttosto, è che l’Isis ha perso terreno. E non poco: all’apice della sua espansione, tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, l’organizzazione terroristica controllava un territorio di oltre 90 mila chilometri quadrati, che si estendeva tra la Siria e l’Iraq, secondo i calcoli di IHS Conflict Monitor, e questo significava, come hanno stimato altri, che governava le vite di circa sei milioni di persone; oggi invece lo Stato islamico (o quel che resta di esso, come direbbero i più ottimisti) si è ridotto a poco più di 36 mila chilometri quadrati. Una superficie dimezzata significa meno abitanti, meno abitanti significano meno tasse, ed è un dato importante visto che l’Isis è spesso ricorso a una tassazione pesante per finanziare le sue imprese militari. Se a questo si aggiunge il fatto che, nel 2016, ha perso alcuni importanti pozzi di petrolio, se ne può dedurre che lo Stato islamico è in serie difficoltà economiche: sempre secondo IHS Conflict Monitor, nel secondo trimestre del 2015 entravano nelle sue casse 81 milioni di dollari al mese, mentre nel secondo trimestre del 2017 le rendite mensili sono scese a sedici milioni.

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Quello che sta succedendo è che la coalizione anti-Isis finalmente sta raccogliendo i frutti di tre anni di campagna; che i risultati hanno raggiunto una massa critica tale da attirare (comprensibilmente) l’attenzione dei media, generalmente poco inclini a dare conto di ogni piccolo passo avanti; e che, soprattutto, l’indebolimento dell’Isis può fare sperare che la sua sconfitta sia vicina, grazie a un circolo vizioso: più piccolo diventa il suo territorio, più l’Isis fatica a difenderlo, perché in mancanza di tasse e petrolio ha meno mezzi per farlo. Davvero, allora, siamo vicini alla sconfitta definitiva dell’Isis? Prima di rispondere a questa domanda, forse, dovremmo chiarirci le idee non solo su cosa s’intende per “sconfitta”, ma anche su cosa s’intende per “Isis”.

Lo Stato islamico, semplificando un po’, è almeno tre cose: è un’entità parastatale che governa un’area a cavallo tra la Siria e l’Iraq; è una sorta d’esercito che opera in quell’area, e si scontra sul campo con i suoi nemici nella regione, i curdi, il campo di Assad, le forze irachene, e via dicendo; ma è anche un’organizzazione terroristica, che tra le altre cose ha fatto attentati nelle città europee, in Tunisia, Turchia ed Egitto. Quella di cui si sta parlando in questi giorni è un’eventuale fine dell’Isis-entità-parastatale. Che però non significa necessariamente la fine dell’Isis-organizzazione terroristica e nemmeno la fine dell’Isis-milizia. Al contrario, come ha già fatto notare qualche analista, un eventuale collasso del Califfato, inteso come “Stato” di fatto, potrebbe riportare l’Isis alla sua vocazione originaria, quella di milizia di insorti.

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