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Isbn edizioni

L'incursione nel mondo della piccola e media editoria arriva alla quarta tappa, con Isbn di Massimo Coppola

di Andrea di Gennaro

Continua l’inchiesta di Studio sullo stato dell’arte della piccola e media editoria italiana (qui le altre puntate).


Stava lavorando a un romanzo, Massimo Coppola, oggi rimasto l’unico della triade iniziale, quando gli fu offerta la possibilità di far nascere la casa editrice Isbn; filosofo per formazione, aveva appena terminato la fortunata serie di Brand new su Mtv. Massimo Coppola la racconta così, dimostrandosi un buon affabulatore già dalle prime battute: «Lele Tessarolo, che a quei tempi dirigeva i Magazzini generali a Milano mi chiamò proponendomi di fare una compilation delle mie canzoni preferite. A me non andava di usare il mio nome per operazioni del genere e sentendo che stavo lavorando a un romanzo, rilanciò volendomi presentare un suo amico editore che a suo dire era interessato a conoscermi». L’editore in questione era Luca Formenton, nome pesante nell’editoria italiana per la guida de Il Saggiatore e non solo. Prosegue Coppola: «A quel pranzo invitai Giacomo Papi, mio caro amico e redattore a Diario, il settimanale che Formenton pubblicava a Il Saggiatore. Mi sembrava un atto di cortesia, e in quell’occasione si parlò proprio di Diario, che era una delle cose più visibili della casa editrice. Io dissi che trovavo il giornale molto conservatore, superato, capace di parlare solamente a gente polverosamente di sinistra. E che in Italia ci sarebbe stato bisogno di allevare una generazione che arrivata a cinquant’anni potesse leggere cose come quelle che pubblicava Diario. Il mio piglio aggressivo e superficiale, di cui vado molto fiero, impressionò Luca che ci propose di pensare a un progetto per una casa editrice invece che per un giornale».

A questo punto una precisazione: Giacomo Papi e Massimo Coppola iniziarono con entusiasmo la nuova avventura (chi scrive ne ricorda gli albori, perché in redazione a Diario), Papi pubblicò il primo libro di Isbn, Accusare, ancora oggi in catalogo; poi qualcosa s’è incrinato tra i due ed entrambi dichiarano di soffrirne ancora oggi. Giacomo Papi ha gentilmente declinato l’invito a offrire la sua testimonianza, altrettanto Coppola ha preferito riservatezza sulla vicenda.

Torniamo al racconto: «Approvata la bozza del progetto editoriale iniziammo ad acquisire titoli. Per me fu molto divertente fare qualcosa in cui non mi ero mai cimentato, non avere pratiche consolidate e riferimenti vincolanti a cui rispondere. Ricordo l’impatto delle nostre colonne di libri in libreria: in un mare di bianco che era il taglio dei libri vedevi i nostri tagli giallo rosso e blu, mentre dall’alto in un’orgia di colore spiccava il nostro bianco. Senza afflati nostalgici volevamo tornare un po’ alla capacità d’immaginazione tipica dell’editoria degli anni sessanta. Un’idea di purezza che sottolineasse quanto in realtà un libro fosse fatto di parole. Fu una scelta che ci aiutò a imporci e che considero ancora più vincente oggi nell’era dell’ebook». Chiaro: compro un libro Isbn anche perché bello e mi piace vederlo, toccarlo. Isbn usa oltretutto una carta particolare, constellation snow, che al tatto offre la porosità di un muro appena dipinto. Ma non solo: riportare la copertina originale sulla prima pagina interna laddove solitamente c’è una pagina bianca, così come la quarta di copertina in prima romana sono scelte impegnative che danno un’identità peculiare.

 

In effetti l’idea di editoria anni ’60 si riscontra anche scorrendo il catalogo della casa editrice. A partire da Accusare di Giacomo Papi e Trilobiti di Breece D’J Pancake, i libri di maggior successo di Isbn sono proprio quelli concepiti e realizzati in-house: come a sottolineare che l’editore è un produttore di idee proprie più che un distributore di idee altrui. Proviamo allora a tracciare un andamento di Isbn dal 2005 a oggi, prestando attenzione all’indipendenza dal gruppo Saggiatore, iniziata nel 2009 e arrivata a compimento in circa un anno: «Per me a un certo punto è diventata un’esigenza. Il Saggiatore non aveva le dimensioni necessarie per farci crescere. Era un rapporto un po’ strano, non era una noce dentro un baobab, era una pesca dentro un’anguria e quindi il legame cominciava a stare stretto a entrambi. E soprattutto se il tuo progetto di produzione è totalmente libero e creativo credo che tu debba avere in mano tutte le fila della gestione, senza alcuna rete protettiva. Nel bene, perché finché eravamo sotto l’ala del Saggiatore io non dovevo occuparmi di numeri, non avevo nessuna pressione sulle vendite e questo rendeva la mia una poltrona fantastica dal punto di vista creativo; dall’altra parte non potevi mai sapere se le idee applicate ai contenuti della casa editrice sarebbero state altrettanto rivoluzionarie se applicate a una modalità di produzione e di gestione complessiva. Luca accolse questa mia richiesta e attraverso un processo conclusosi a fine 2011 con il suo abbandono della carica di presidente, siamo diventati indipendenti». Il passaggio sembra essere stato indolore anche economicamente, cosa assai unica nella storia della piccola e media editoria italiana in cui a passaggi societari sono sempre corrisposti litigi, dolori, cause e a volte chiusure di bottega. Al sostegno iniziale del Saggiatore è ormai subentrata la capacità di autofinanziarsi: nel 2011 ha fatturato 2,8 milioni di euro con una crescita del 40 per cento sull’anno precedente.

Massimo Coppola nel suo modo eclettico di raccontare torna spesso sull’idea di progetto culturale: «Quello che mi fa dormire tranquillo è non essere considerato un editore di nicchia che si occupa di una piccola cosa per un piccolo pubblico. Noi ci siamo proposti sin dall’inizio come generalisti, pubblicando saggi, illustrati, romanzi. E non necessariamente grazie a una superiorità che non esiste, ma a causa dell’arretratezza italiana noi siamo apparsi come dei modernizzatori di default. Questo libro ha venduto 100 mila copia (sventola I Simpson e la filosofia) ed è un saggio serissimo, raccoglie scritti sull’etica kantiana applicata alle visioni di Lisa Simpson. Magari 50 lo hanno preso perché faceva figo e l’hanno regalato o perché fan dei Simpson e quando l’hanno aperto hanno strabuzzato gli occhi… ma è comunque meglio del contrario, di chi apre e dice ma qui dentro non c’è niente. E poi ci ha aiutato il tentativo di essere internazionali, evitando i salotti, e basandoci a Milano, dove non c’era un nuovo progetto editoriale da un bel pezzo. L’editoria indipendente nasceva a Roma. E questo ha il suo lato positivo anche in termini di mercato, perché porta a tagliare i rami secchi. Chi legge solo Fabio Volo, rinuncia a Fabio Volo se non ha soldi. Se tu guardi le classifiche, dove sono accaduti i tagli maggiori? Nei best-seller che prima vendevano 1 milione e adesso 500 mila, mentre io salgo da 4000 a 5000 su ogni titolo. Perché chi mi legge stringe la cinghia e continua a vedere il libro come un bene necessario. È anche da questo che si deduce il progetto culturale alla base di una casa editrice».

 

A questo punto del ragionamento assume importanza l’essere indipendenti, argomento su cui Coppola ha pochi dubbi: «Se hai un patrimonio da difendere non sei proprio libero. Puoi essere l’uomo più illuminato del mondo ma se hai una società che fattura mezzo miliardo all’anno, il tuo cda sarà composto da 25 manager serissimi assunti perché il tuo obiettivo non sia aver pubblicato ZZ Packer, ma perché lieviti il tuo patrimonio iniziale. Conterà poco il tuo esordio di editore che voleva solo pubblicare Pasternak». Eppure ci sono casi di piccoli marchi che all’interno di grandi gruppi editoriali dichiarano di avere ampi margini di autonomia?

Coppola è ferreo nella sua convinzione e nel suo modo un po’ attoriale di esporla: «Per scegliere questa carta abbiamo impiegato molto tempo, se sei in un grande gruppo non scegli la carta perché il grande gruppo ha un contratto con due stampatori che ti dicono “noi stampiamo così”. Il colore: i nostri tagli vengono colorati da un artigiano di Brescia e ci costano 25 centesimi l’uno. Le copertine? Stesso discorso: tre prove e via. Il grande gruppo può funzionare per fare economie di scala, non altro. Io sto faticando moltissimo per tenere la soglia di costo dei miei libri sotto una certa cifra, per me virtuosa, rispetto al prezzo: con un grande gruppo non farei la minima fatica, pagherei la metà ma sarebbero libri diversi. Perché loro pagano la metà però poi ti dicono adesso stampiamo 1,5 milioni nei prossimi tre mesi, comprano tot quintali di carta e via si produce. E non sono neanche sicuro dei vantaggi: l’unica differenza certa è avere lo stipendio invece di essere quello che lo dà agli altri».

Coppola è un fiume in piena. Mercato, distribuzione, filiera editoriale, mancanza di una reale e onesta competizione, self-publishing, rese e shelf-life del libro che si accorcia sempre più fino alle vendite all’estero – emanazione abbastanza naturale delle pubblicazioni di Isbn – e l’idea per ora abortita di aprire una sede a New York. Saranno temi di una prossima pubblicazione. Chiudiamo con altri due argomenti: politica con gli autori e l’iniziativa dell’Antimeridiano. Gli autori: «L’unico caso di abbandono per un editore più grande è stato quello di Michela Murgia, ma Isbn era molto giovane, incapace di trattare. All’inizio fui molto addolorato ma poi capii che avremmo dovuto essere più maturi anche noi. Con Michela il rapporto era nato per caso e sviluppatosi intimamente. Lei lavorava in un call center e mentre io giravo il mio documentario su quel mondo incappai nel suo blog, la cercai per raccogliere la sua testimonianza e mi resi conto che il suo blog era già un romanzo pazzesco. Decisi di pubblicarlo e il successo fu immediato. A quel punto tutti si accorgono del caso e iniziano a chiamarla, come del resto continuano a fare con tutti i nostri autori italiani. Adesso però io faccio contratti per 3-4 libri».

Una soluzione che a ben guardare accontenta tutti: «L’autore è felice perché chi altro gli offre di pubblicare non un libro ma tre? Lo schema è questo, un po’ sul calco inglese: mi piace il tuo primo romanzo per cui ti offro duemila euro, faccio un’opzione sul secondo per cui te ne darò tremila, metà appena me lo consegni e metà al momento della pubblicazione. Quattromila per il terzo, stessa procedura. L’autore ha garanzia di incassare gli anticipi anche se io non volessi più pubblicare un suo libro e io non devo sborsare tutto all’inizio. Da parte mia è un invito a crescere insieme: se ho creduto in un esordio e intendo curare quell’autore, devo per forza credere che i suoi successivi romanzi non possano che essere migliori. Non sono cifre con cui campi da nababbo ma il sistema crea fiducia tra le parti e garantisce tranquillità a quegli autori che hanno bisogno di più tempo per crescere. In questo modo cerco sì di parare il colpo di una major, ma soprattutto cerco d’invogliarlo ad arrivare insieme a guadagnare certe cifre mantenendo la libertà che ha in Isbn. E infine evito di fare la Sanbenedettese per la Juventus».

 

Infine l’Antimeridiano e Bianciardi, «l’autore che misi in prima posizione quando mi chiesero di stilare un dream team di scrittori che avrei voluto pubblicare se Isbn fosse nata decenni prima». «Fu Aurelio Pino, un vecchio consulente del Saggiatore, a sciogliere i dubbi avanzati dall’ufficio diritti dicendoci che i diritti per le Opere in raccolta sono tutelati diversamente dalle singole opere e non possono mai essere alienati dall’avente diritto e dall’erede. E che quindi se io avessi fatto un’offerta per l’opera completa (questo non vale per antologie o sillogi) l’unica variabile era la disponibilità dell’erede». Bingo! A Luciana Bianciardi, che sopportava malvolentieri da anni i posticipi di Segrate, non dovette sembrare vero.

«Decidemmo di chiamarlo Antimeridiano in onore al carattere di Bianciardi – racconta ancora Coppola – anche se ovviamente venne preso come una risposta o una provocazione ai Meridiani Mondadori. Caso volle che l’anno prima uscì il Meridiano Camilleri e allora il contrasto risultò ancora più stridente. Fermo restando che i Meridiani sono un patrimonio inestimabile della cultura italiana, se c’è Camilleri e non c’è Bianciardi capisci che qualcosa è andato storto. E chi ti dice che hai avuto un’idea geniale fa parte di un sistema che non gira nel verso giusto. Parliamo di Bianciardi, di uno dei nostri migliori romanzieri. Che idea geniale è? È semplicemente accorgersi di un buco che nessuno ha coperto». Due volumi per Bianciardi dunque e un primo su Oreste del Buono di cui uscirà il secondo a completamento. «Ma sono operazioni che bloccano la casa editrice per periodi lunghi, nascono sempre sull’occasione, non voglio riempire delle caselle prefissate. Sono aperto a suggerimenti, per ora non ho un terzo Antimeridiano in mente». E un quarto?

 

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