Attualità

«Il primo western iraniano con vampiri»

Si chiama A Girl Walks Home Alone at Night, è l'esordio di Ana Lily Armipour prodotto da Vice Usa ed è quello che dice il titolo ma non una trashata: da vedere.

di Federico Bernocchi

Ci sono film che vanno visti solo ed unicamente perché esistono. Lo spettatore onnivoro non può resistere: solo a leggere il titolo, o a sentire una breve definizione, finisce in uno stato di smania totale. Ricordo tanti anni fa di essere andato in sala al Festival di Venezia, insieme ad altri pochi coraggiosi, a vedere “il primo kolossal malese”. Ora, mentre sono qui a scrivere, non mi ricordavo nemmeno più il titolo del film. Mi è bastato mettere come chiave di ricerca su google “primo kolossal malese” ed è subito venuto fuori il titolo. Parliamo di Puteri Gunung Ledang – la Principessa del Monte Ledang, esordio datato 2004 del regista Saw Teong Hin. Una sorta di versione malese – che equivale a dire molto più povera e con attori meno belli – dei film di Cappa e Spada che ci arrivavano dall’Oriente in quel periodo dopo il successo de La Tigre e il Dragone. Niente di che? Niente di che, chiaro. Ma come si fa a resistere al fascino de “il primo kolossal malese”? Impossibile. Stessa cosa successa con Summer Love, film del 2006 descrittomi da un amico come «un western polacco dove c’è Val Kilmer che fa il morto». Quando una persona normale sente una cosa del genere non può fare che una cosa: mettersi alla disperata ricerca del dvd originale dell’unico film di questo povero pazzo che risponde al nome di Piotr Uklanski. E ancora: Non avete voglia di vedere ADESSO The Attack of the Giant Moussaka, un film greco in cui Atene è sotto scacco da una gigantesca versione ellenica della parmigiana di melanzane? E The Calamari Wrestler? Una pellicola in cui un campione di lotta libera giapponese si trasforma in un mollusco cefalopode in cerca di soddisfazioni fuori e dentro il ring? L’idea che un titolo del genere sia lì, a vostra disposizione, ancora inesplorato, non vi fa tremare le mani dal nervoso? Non importa poi sia brutto o bello: sono film che vanno visto solo perché esistono.

Ho passato due giorni a Roma per la nona edizione del Festival Internazionale del Film. Due giorni per un festival di cinema che ne dura dieci, sono pochissimi. Una vera tortura in termini di aspettative frustrate. Sapere che verranno proiettate pellicole che si vuole vedere da tempo e non avere la possibilità materiale di farlo è una condanna che mi viene da paragonare al finale di Tempo di Leggere, il famoso episodio di Ai Confini della Realtà in cui un l’ultimo uomo sulla terra si trova nella possibilità di poter passare il tempo a fare quello che più gli piace, ovvero leggere dei libri, ma rompe i suoi occhiali da vista. Per questo motivo mi sono preparato a questo weekend di visioni come un marine statunitense pronto a scendere in guerra. Mentre sfogliavo il il programma, tentando di incastrare più visioni possibili, mi imbatto in una formula magica: «il primo western iraniano con vampiri». Decido immediatamente di smetterla di preoccuparmi più di nulla: brucio il catalogo, cancello tutti gli altri appuntamenti e vado a Roma con una e una sola missione: vedere A Girl Walks Home Alone at Night.

Con ordine: si tratta del primo film sulla lunga distanza della sceneggiatrice e regista iraniana Ana Lily Armipour, una ragazza sulla trentina con all’attivo già qualche cortometraggio. È prodotto da quelli di Vice USA, che giustamente sono sempre alla ricerca di prodotti “bizzarri”, e tra gli altri anche dall’attore Elijah Wood che diventa subito il mio potenziale migliore amico di sempre. Girato in bianco e nero e con una serie di attori iraniani a me totalmente sconosciuti ma che hanno un curriculum importante, come l’affascinante Sheila Vand, vista anche in Argo di Ben Affleck. Insomma, non solo la promessa di cose bizzarre, ma anche una serie di elementi paratestuali molto interessanti. A questo punto manca solo la visione del film. Mi presento al Multisala Barberini, uno dei luoghi del Festival di Roma, con un anticipo quasi da denuncia. Non potendo già entrare in sala, comincio ad aggirami nei paraggi del cinema come un maniaco. Finalmente, dopo più di tre quarti d’ora passati a rischiare l’arresto per vagabondaggio, mi fanno entrare. Aspetto altri venti minuti a causa di un problema tecnico legato ai sottotitoli. Quando sono ormai sull’orlo di una crisi di nervi, si spengono le luci e inizia il film. A quel punto mi scordo di tutto e per un’ora e quaranta sono felice. Molto felice.

L’Iran utilizzato come contesto fiabesco, svuotato di tutti quei significati che noi poveri occidentali, assuefatti da film equi e solidali che ci vogliono svelare le tragedie dell’umanità, subiamo da anni.

A Girl Walks Home Alone at Night è un gran bel film. Certo, ha qualche difetto, ma si tratta di piccolezze, ingenuità, attribuibili al fatto che si tratta comunque di un’opera prima. La storia è questa: siamo in una piccola cittadina iraniana, chiamata Bad City. Qui vive Arash, un ragazzo disoccupato a cui piace vestirsi da rockabilly e andare in giro con la sua vecchia macchina americana. Ogni tanto taglia le siepi a casa di una ragazza ricca e stupidina, spesso si deprime a causa del fatto che suo padre è diventato eroinomane dopo essere stato lasciato dalla madre. È proprio la dipendenza del padre a mettere Arash contro il cattivissimo Saeed, uno spacciatore violento e pazzo. Peccato però che Saeed finisca massacrato da una vampira. A Bad City infatti vive anche una misteriosa ragazza senza nome, interpretata dalla già citata Sheila Vand, che se ne va in giro la notte in skateboard con indosso un chador. Cosa fa? Niente, succhia il sangue alle persone. Solitamente sceglie i più cattivi ma a Bad City non è una cosa difficile: sembra quasi che in questa città fantasma si siano rifugiati le peggiori persone del mondo. Per chi se la ricorda è un po’ come la città in cui era ambientato Il Corvo, il film dark adolescenziale di Alex Proyas che ci ha insegnato a dire: «Non può piovere per sempre».

Questo è già uno degli aspetti più interessanti del film della Armipour. L’Iran utilizzato come contesto fiabesco, svuotato di tutti quei significati che noi poveri occidentali, assuefatti da film equi e solidali che ci vogliono svelare le tragedie dell’umanità, subiamo da anni. Attenzione: non sto dicendo che non mi interessa nulla dell’Iran. Sto dicendo che è stupefacente pensare che una ragazza di 30 anni riesca a vedere l’Iran come una città fantasma popolata di vampiri. E di come dietro a questa scelta non ci sia una metafora politica impegnata, ma la voglia e il piacere di raccontare una storia d’amore. Sì, perché poi la ragazza senza nome una sera incontra Arash travestito da Dracula dopo una festa in discoteca dove ha esagerato con le droghe, e i due si amano. Si amano dopo aver ballato un lento nel seminterrato dove abita la vampira, in una stanza da ragazza adolescente con i poster di Madonna alle pareti e una sfera specchiata appesa al muro. E man mano che il film procede ci si rende conto che l’intento è quello di raccontare la nascita di un amore impossibile, il desiderio di due ragazzi che non si conoscono ma che inevitabilmente si attraggono. La storia viene progressivamente abbandonata per entrare in un mondo sempre più sognante, sempre più fiabesco in cui nulla (e al tempo stesso tutto) realmente importa.

La regia è solida ed efficace, la costruzione delle sequenze e l’utilizzo straniante delle tecniche tipiche del genere horror vengono usate con maestria. Gli attori sono belli e bravi e la musica, pur essendo spesso ingombrante, gioca un ruolo fondamentale nel creare un clima sospeso, quasi indefinibile. Peccato che però sia tutto qui il lato western della questione: in qualche accenno di colonna sonora che ricorda la Frontiera e in quella font tanto Sergio Leone utilizzato per i titoli di testa e di coda. Si può forse accusare il film di essere a tratti troppo estetizzante, ma c’è tanta passione e tanto cuore. E questo dovrebbe bastare. Consigliatissimo e, incredibilmente, più bello di The Attack of the Giant Moussaka. Recuperatelo appena potete.
 

Immagine: una scena di A Girl Walks Home Alone at Night