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In amnesiam

Ad ogni edizione l'Academy ricorda gli artisti scomparsi nel corso dell'anno con lo speciale In Memoriam. Anche quest'anno ci sono state grandi "dimenticanze": vediamo quali (e perché).

di Federico Bernocchi

Tornavo a casa dopo la lunga nottata degli Oscar, passata a casa di amici a fare una lunga diretta radiofonica, e ascoltavo Radio24. L’inviato a Los Angeles riassumeva i premi fondamentali e raccontava in parte com’era andata la serata, elogiando soprattutto «l’eccezionale conduzione di Ellen DeGeneres». Il giorno dopo ho messo gli occhi su qualche articolo e ho letto dello «straordinario lavoro della DeGeneres». Ieri sera ascoltavo Radio Deejay e c’era una ragazzina che ha detto che «Ellen è Dio». Ok, forse tendeva un minimo ad esagerare, ma possiamo dire che, al netto delle iperboli, la seconda conduzione di Ellen è piaciuta molto a tutti. Dal nostro punto di vista è stata una delle conduzioni più stanche e svogliate che si siano mai viste. Il dubbio è lecito: forse abbiamo col tempo sviluppato una sorta di sudditanza nei confronti dell’industria dello spettacolo statunitense che anche se vediamo qualcosa di mediocre, lo troviamo istantaneamente stupendo, proprio perché americano. Insomma, cosa rimarrà di questa conduzione?

L’In Memoriam di quest’anno non è stato brutto per il suo essere per forza di cose un momento un po’ pacchiano e nemmeno per la deludente esibizione della Midler: è stato brutto per le gravi dimenticanza che ci sono state

Certo, il selfie più famoso del mondo che, oltre ad essere stato fatto ad uso e consumo di un product placement piuttosto evidente, ha permesso a tutti quei poveri redattori che devono chiedere al proprio figlio come si aggiorna l’antivirus gratuito che si sono installati sul proprio computer, a scrivere l’ormai odiata parola “selfie”. Una parola che ormai sembra essere l’unica garanzia necessaria per aver fatto un arguto pezzo sul moderno stile di vita di noi giovani uomini tutti presi dalla tecnologia. Insieme a quell’altra brutta malattia che è scrivere “cinguettio” al posto di tweet, la maledizione del selfie è una delle cose più tristi a cui noi poveri lettori siamo condannati. Oltre a questo rimarrà la lunghissima gag della pizza ordinata in sala e sparsa con piattini di plastica a molte star presenti al Dolby Theater, che era effettivamente piuttosto divertente, ma è stata tirata per le lunghe quasi all’inverosimile. Basta? Sì, più o meno. Qualche altro momento divertente, d’accordo, ma in fin dei conti buono per farci delle gif animata. Bisogna fare i conti anche con uno show che mai come quest’anno è stato diluito all’infinito e con una struttura narrativa fredda e schematica. Introduzione e presentazione da parte della conduttrice dei due presenter, piccolo discorsetto con gag annunciata, lettura candidature, assegnazione del premio, stacco con canzone tra quelle candidate. Veramente un po’ poco per uno spettacolo come gli Oscar.

La palma però per il momento più brutto lo vince senza alcun dubbio l’In Memoriam, ovvero quella parte di spettacolo in cui con un video si ricordano tutti coloro che hanno avuto a che fare con il mondo dell’entertainment che sono venuti meno durante l’anno. C’è stata una bella introduzione da parte di Glenn Close, poi il (sfortunatamente) lungo video sulle note di “Somewhere in Time” di John Barry ed infine una quasi irriconoscibile Bette Midler ha cantato la sua celebre “Wind Beneath My Wings”. L’In Memoriam di quest’anno non è stato brutto per il suo essere per forza di cose un momento un po’ pacchiano e nemmeno per l’esibizione della Midler che è stata piuttosto deludente: è stato brutto per le gravi dimenticanza che ci sono state.

Domenica mattina abbiamo appreso della morte del regista francese Alain Resnais, scomparso la notte del 1 marzo all’età di 91 anni. Parliamo di un vero e proprio gigante: registi di capolavori immortali come Hiroshima Mon Amour, L’Anno Scorso a Marienbad, Mio Zio d’America o Smoking/No Smoking, tra gli ispiratori della Nouvelle Vague, capace di portare verso la settima arte scrittori come Marguerite Duras o Alain Robbe-Grillet, infaticabile teorico e sperimentatore. Eppure questo non è bastato per entrare nell’In Memoriam dell’Academy. Troppo poco tempo per aggiornare il video? Difficile credere a una cosa del genere: parliamo di una delle macchine lavorative più oliate e perfetta dell’intero mondo dell’entertainment. E poi, come ha detto dagli studi di Sky il critico Gianni Canova, fosse venuto a mancare un regista o un attore statunitense, forse le cose sarebbero andate in maniera differente. Anzi, la povera Sarah Jones, assistente operatrice impegnata sul set del film Midnight Rider scomparsa qualche giorno prima, è stata giustamente inserita alla fine del montaggio anche se solo con una scritta. Ecco, sarebbe bastato anche una cosa del genere per il povero Resnais. Tutto ma non l’oblio.

La stessa triste sorte è capitata al nostro Vincenzo Cerami, scomparso nel luglio del 2013. Cerami fu candidato come miglior sceneggiatore nel 1997 per il film La Vita è Bella di Roberto Benigni, vincitore poi di ben tre premi Oscar. Il fatto che sia stato proprio del tutto ignorato mette una certa amarezza. A questo punto, figuratevi se hanno pensato di inserire il povero Carlo Mazzacurati, regista e sceneggiatore di titoli come Il Toro, Vesna Va Veloce o Il Prete Bello, venuto meno questo gennaio. Un questione di nazionalità dunque? Non sembra. In realtà succede spesso che anche qualche personaggio famoso statunitense finisca ingiustamente dimenticato. Quest’anno per esempio è successo a Dennis Farina, straordinario caratterista che abbiamo visto in milioni di film o serie televisive, con alle spalle una carriera iniziata nel 1981 con un capolavoro come Strade Violente di Michael Mann. Farina, scomparso a 69 anni lo scorso luglio, è stato uno degli ultimi attori “vecchia scuola”: milioni di piccole parti, tanta televisione, tantissima passione per il cinema e per il proprio lavoro. E che dire di Tom Clancy, scrittore che con i suoi romanzi ha rivoluzionato lo spionaggio e i cui libri sono stati più volte portati sul grande schermo? Titoli come Caccia a Ottobre Rosso, Sotto Il Segno del Pericolo, Al Vertice della Tensione o il più recente recente Jack Ryan, al momento in uscita. Eppure anche lui è stato ingiustamente dimenticato.

Dimenticarsi di chi il Cinema lo ha cambiato radicalmente, o anche solo di una virgola, dà ragione a quei nostri amici antipatici

Il risultato di queste dimenticanze è ovviamente uno e uno solo: c’è chi si sente ferito. I parenti dei cari estinti ovviamente vedono il tutto come una mancanza di rispetto. La cosa potrebbe apparire banale ma in realtà non è così. C’è qualcuno, povero di cuore, che vuole vedere il tutto solo ed unicamente come un evento commerciale. Avete presente, no? Avete anche voi l’amico che storce il naso e dice frasi come “Vincono sempre le solite americanate!”. Ormai, e spero lo facciate anche voi, non li ascolto più. Anzi, sono sempre più convinto che la cerimonia di premiazione sia una vera e propria festa. Un grande party fatto per chi ama il Cinema: per chi lo segue con passione da casa con gli amici, per chi si trova al Dolby Theatre in persona, magari per la prima volta come il nostro Sorrentino o il pirata somalo Barkhad Abdi. Per chi lavora nel cinema e soprattutto per quelli che gli hanno dedicato un’intera esistenza. Dimenticarsi di chi il Cinema lo ha cambiato radicalmente, o anche solo di una virgola, dà ragione a quei nostri amici antipatici.

Comunque ci ho ripensato: il momento più brutto in assoluto è stato quando sul palco è arrivata Whoopi Goldberg che, dopo aver mostrato di indossare delle orribili calze a righe e delle scarpe rosse glitterate, ha annunciato l’arrivo di P!nk. La cantante ha poi eseguito Somewhere Over The Rainbow per festeggiare i 75 anni de Il Mago di Oz di Victor Fleming. Una lungaggine coronata da un ulteriore stacco pubblicitario e da una gag decisamente poco divertente della DeGeneres che s’è presentata poi sul palco vestita da fatina. Peccato.

 

Immagine: Jean-Louis Livi, produttore di Alain Resnais, alla Berlinale dello scorso febbraio (Andreas Rentz / Getty Images).