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È il momento delle miniserie

Il successo agli Emmy di The People v. O.J. Simpson: American Crime Story celebra il ritorno di un genere che dieci anni fa sembrava tramontato.

di Redazione

In principio era Fargo, poi è stato il turno di Olive Kitteridge, e adesso è il momento di The People v. O.J. Simpson: American Crime Story: è da qualche anno oramai che le miniserie sono una delle categorie più interessanti degli Emmy Awards.

«Miniserie», a dire il vero, è un termine che rischia di trarre un po’ in inganno, perché evoca un modello più britannico che americano – cioè una serie televisiva composta da pochi episodi – che non sempre è adatto per descrivere gli show che stanno facendo parlare di sé e che spesso vengono raggruppati in questo insieme. La categoria ufficiale, quella usata dagli Emmy, è “Limited Series or Movie”: serve per indicare tutta una gamma di formati che trascendono la serializzazione tradizionale, dagli episodi singoli (come nel caso di Sherlock – The Abominable Bride), ad antologie (come Fargo e O.J. Simpson), fino a vere e proprie mini-serie (vedi Luther, che nella sua quarta stagione ha contato appena due episodi).

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In questa ultima edizione, O.J. Simpson: American Crime Story, serie “true crime” in 10 parti dedicate al celebre processo per uxoricidio, ha fatto incetta di tutti i premi che poteva ottenere: inclusi migliore “limited series”, migliore attore protagonista per una “limited series” (il premio è andato a Courtney B. Vance, che impersona l’avvocato Johnnie Cochran, ma era candidato anche Cuba Gooding Jr, che fa OJ), e migliore attrice protagonista per una “limited series” (Sarah Paulson come il pubblico ministero Marcia Clark). L’anno scorso aveva portato a casa otto premi e tredici nomination nella stessa categoria Olive Kitteridge, miniserie in quattro puntate tratta dall’omonimo romanzo di Elizabeth Strout, che ruota intorno alla vita di un’insegnante depressa, cioè Frances McDormand. Nel 2014 Fargo, l’antologia ispirata al celebre film degli anni Novanta, aveva vinto due premi e svariate nomination per la sua prima stagione: a due anni di distanza si è ripresentata agli Emmy con la seconda stagione, ottenendo sei nomination ma nessuna vittoria.

In un pezzo pubblicato su The Verge alla vigilia della cerimonia, la critica televisiva Kaitlyn Tiffany notava che oramai le miniserie sono diventate «la categoria più cool della tv». Si tratta di un genere un tempo rigido e ben definito – insomma i classici sceneggiati di pochi episodi, come per esempio la saga Radici, il cui reboot era tra i candidati a questa edizione degli Emmy – che ha cominciato a perdere di rilevanza all’inizio degli anni Zero del nuovo millennio: nell’età dell’oro di quelli che vengono comunemente chiamati “prestige tv drama series”, cioè le serie drammatiche di qualità con vicende complesse che si dipanano su molte puntate e stagioni (I Soprano, Breaking Bad e via dicendo), sembrava esserci poco spazio per i formati più brevi. Nel 2014 però il successo di Fargo ha cambiato le cose, scrive Tiffany: in quell’occasione «la miniserie si è ristabilita come un formato rivitalizzato, sia in termini di successo popolare, di creatività e di apprezzamento della critica». Poco dopo gli Emmy hanno deciso di cambiare il nome della categoria, da «miniserie» a «limited series», per rendere l’idea della varietà di show che rientrano al suo interno.

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Certo, il medagliere degli ultimi tre Emmy Awards ne è una delle dimostrazioni, ma che le miniserie stiano vivendo una seconda giovinezza lo si può vedere anche senza tirare in ballo i premi. Alcune delle serie più interessanti di cui si sta parlando in questi mesi e anni rientrerebbero proprio nella categoria “limited series”. Per esempio The Get Down, la serie musicale in sei puntate di Baz Luhrmann sul Bronx della fine degli anni Settanta, uscita per Netflix lo scorso agosto; oppure The Jinx, lo show della Hbo, in sei puntate pure esso, andato in onda lo scorso anno, e che ha ridefinito il rapporto tra fiction e documentario. Mentre il mese prossimo uscirà la terza stagione di Black Mirror, la miniserie britannica resuscitata da Netflix e che nelle sue due prime stagioni ha offerto una delle più sofisticate rappresentazioni del futuro.