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Il successo del Pd: catene spezzate?

Il giustizialismo, i sindacati, la cultura, l'establishment e l'ambientalismo all'italiana sono da tempo azionisti di maggioranza della sinistra, racconta Cerasa nel suo libro. Cosa cambia dopo le europee? Giro di opinioni.

di Redazione

5 catene, 100 giorni e il 40%. Claudio Cerasa (che collabora anche con Studio) nel suo ultimo libro, Le Catene della sinistra,  ha provato a indicare quali sono secondo lui le catene che tengono imprigionata la sinistra e non le permettono di spiccare il volo. Vale a dire: il suo rapporto con la giustizia e il giustizialismo, con l’ambientalismo all’italiana, con un certo mondo della cultura, con il cosiddetto establishment e con il mondo sindacale. Nel frattempo, dopo circa 100 giorni di governo, Matteo Renzi è riuscito a portare il Pd oltre la soglia storica del 40%. Catene spezzate? Se si, come? Se no, cosa c’è ancora da fare? Giro di opinioni sul tema.

 

GIANNI RIOTTA, editorialista de La Stampa

La sinistra è stata costretta a mutare pelle in ogni parte del mondo nelle ultime due generazioni. Prima con la fine del welfare, Reagan e Thatcher, poi con la fine del modello classico industriale e la globalizzazione. In Italia il mutamento è stato più lento perché la Dc non era un partito di destra tradizionale, dalla riforma agraria, al piano case, all’autunno caldo 1969 spesso il suo governo era “di sinistra”, mentre a sinistra la connotazione comunista era pesante. L’evoluzione è diventata più rapida dopo la fine del Pci, l’avvento di Romano Prodi, l’influenza di Rutelli e Veltroni e si va completando con Renzi. Nel frattempo però il quadro mondiale è mutato ancora e parlare di destra e sinistra in modo coerente è difficile. Oggi il partito repubblicano americano, dopo anni di slittamento “a destra”, evolve verso “sinistra” su emigrazione e sessualità, ma gli ispanici, chiave di tante future elezioni, sono liberal sul piano sociale e conservatori sul piano dei valori. Le ideologie son finite, Le Pen, Grillo e Farage usano cliches di destra, contro emigrazione e globalizzazione, ma luoghi e toni di sinistra contro banchieri e lobbies. Diverso, in conclusione, il discorso sulla giustizia. Nella storia italiana la destra era dura davanti ai reati, la sinistra garantista. La battaglia politica intorno a Berlusconi ha mutato, con reciproca strumentalità, le sintonie e la sinistra, in buona parte, s’è fatta antigarantista pur di attaccare l’ex premier, mentre la destra, per difenderlo, ha rinnegato decenni di “law and order”. In ultimo la stampa populista ha influenzato anche i grandi organi di stampa in una campagna cruda contro le classi dirigenti, pur spesso pessime, che ha finito per seminare rancore e risentimento nel paese. Per uscire da questo dilemma occorre che Renzi, dopo lo storico 40% alle Europee, completi la metamorfosi, ma che anche la destra scelga un leader dopo Berlusconi, garantista, istituzionale, modernizzatore.

 

CHRISTIAN ROCCA, direttore di IL

Sì, la partita è finita. Sindacati, magistrati, terrazza intellettuale e ambientalismo anti capitalista contano pochissimo nell’universo renziano. E più passerà il tempo, meno conteranno e più aumenteranno i consensi per il PD. Oggi Renzi ha preso il 40%, ma in realtà il suo bacino potenziale di voti è molto più ampio. C’è un’ampia parte di elettorato borghese, moderno e occidentale che ancora non si fida dell’apparato post PCI e post socialdemocratico del PD. Sospetta che possa imbrigliare il renzismo e prevalere. Ma se Renzi continuerà a fare Renzi – cioè se continuerà a spezzare le catene e a imporre al partito e al paese la cultura riformatrice e liberale tipica della sinistra anticomunista – sono convinto che supererà il risultato delle Europee fino a centrare letteralmente l’obiettivo della vocazione maggioritaria.

 

FEDERICO SARICA, direttore di Studio

Credo che il merito principale di Renzi sia quello di fungere da acceleratore nei confronti di un’area politico-culturale e di un paese – la sinistra e l’Italia – ormai da tempo refrattari a qualsiasi tipo di cambiamento. Il segretario del Pd “in a hurry”, di fretta come l’ha ben definito il Financial Times, con la sua azione, accorcia i tempi di un incontro che non poteva più essere rimandato: quello fra il progressismo italiano (ed europeo in larga parte) con uno scenario globale completamente cambiato. Giusto per fare un esempio e inquadrare una delle catene descritte da Cerasa, non è Renzi che ce l’ha coi sindacati per partito preso o questioni ideologiche, sono in sindacati che non sono riusciti, per sciatteria e in parte per malafede, a capire in tempo che il mondo del lavoro non sarebbe più stato lo stesso. Da nessuna parte del mondo. Renzi ne prende atto e lo racconta agli italiani, quelli vecchi e quelli nuovi. Detto questo, credo che un certo mondo di sinistra non si separerà mai da quelle catene; la vera sfida è rendere quel mondo totalmente irrilevante. Per fare ciò, nulla di meglio dell’arrivo sulla scena di un elemento di novità dirompente, che nel nostro caso ha la faccia dell’ex sindaco di Firenze. In conclusione, più che di catene spezzate, parlerei di liquefazione dei soggetti incatenati. Conseguenza: catene per terra, in un angolo. Irrilevanti.

 

DANIELE BELLASIO, Sole 24 Ore (che sul tema ha scritto qui)

Ci sono piaciuti i poteri neutri (o ce li siamo fatti piacere) oppure quelli strani perché refrattari per indole – noi, il paese di Machiavelli – al potere politico, quello vero, almeno nelle democrazie. Ecco la sudditanza della sinistra, del centrosinistra alle sue catene, quelle descritte in un’inchiesta di altri tempi e dunque di altro valore, alto, di Claudio Cerasa per Rizzoli, in libreria (è un vero libro da leggere, non un pamphlet). Quelle catene – la magistratura, i sindacati, le lobby green, le imprese vicine e lontane, le coop, i giornali di riferimento, perfino i salotti – quelle sudditanze psicologiche che il centrosinistra italiano non ha saputo sciogliere finora sono state anche apposte dal diffuso, accidioso sentimento antipolitico degli italiani. In sintesi: io non ho fiducia in me stesso, dunque faccio politica facendomi dettare o prendendo a prestito l’agenda da chi dice di saperne più o di me o gode di maggior credito di me da parte della maggioranza dei cittadini.Ricostruire la politica è la prima grande riforma necessaria, è la speranza che il presidente Giorgio Napolitano ha tenuto viva perfino nella stagione dei tecnici, è l’ambizione che Matteo Renzi ha finora saputo perfettamente comprendere, impersonare e mostrare, anche, se non soprattutto, con uno stile con qualche smagliatura tecnica e/o tecnoratica e con una rivoluzione nella comunicazione e nell’immagine. Questa la sua aspirazione: l’Italia “ha tutte le condizioni per cambiare e per invitare l’Europa a cambiare”. Per questo motivo domenica 25 maggio ha vinto lui e ha fatto vincere il suo partito, l’unico che ha ancora il termine “partito” nel nome, per l’appunto. Perché gli italiani, il 40 per cento dei votanti, hanno iniziato a dire: beh, ora però torniamo alla politica. Grande opportunità e grande responsabilità.