Attualità

Il rimpianto di Londra

L'atmosfera nella capitale inglese del dopo Brexit, fra incredulità e voglia di rimanere in Europa, mentre a sinistra l'ascesa di Khan corrisponde al declino di Corbyn.

di Paola Peduzzi

Nella bolla di rimpianto in cui vive Londra gli slogan sono diventati più volgari, l’insofferenza è alta, il sospetto pure. A Trafalgar Square si è riunito il popolo che non ha votato per la Brexit e che ora non vuole uscire dall’Unione europea: piuttosto, dice, è meglio che Londra esca dal Regno Unito. Sogna una città-Stato indipendente che possa non vergognarsi di questa immensa figuraccia, di questo Paese celebre per la sua apertura, le sue contaminazioni culturali e politiche, che ora si trova tutto l’odio del mondo addosso.

Nigel Farage, leader indipendentista che ha trainato la vittoria della Brexit, è il più attaccato e insultato: per questi giovani che ostentano un amore assoluto nei confronti dell’Unione europea – ci sono cuori dappertutto, Europa ti amiamo, Europa non lasciamoci, sembra che tutti gli amanti traditi del Regno si siano riuniti qui – Farage rappresenta l’antitesi, il nemico da combattere. Protezionista, anti immigrati, xenofobo: il contrario dei londinesi. Ma lui ha vinto e questa piazza ha perso, anche se qui continua ad apparire plausibile l’idea di organizzare un altro referendum: anzi è un’idea necessaria e inevitabile, dicono, come se davvero il 52 per cento del Paese non avesse mai votato e fossimo a una settimana e più fa, quando tutto doveva ancora accadere.

BRITAIN-EU-POLITICS-BREXIT-PROTEST

I leader politici alle prese con una crisi istituzionale che non era stata prevista – sapevamo dei mercati, della sterlina, dell’eventualità di una recessione, ma che i due principali partiti del Regno crollassero in modo simultaneo e tanto scomposto, questo no – escludono la possibilità che ci sia un altro referendum. Molti commentatori continuano ad accarezzare l’idea, alcuni con lo stesso spirito della piazza di Trafalgar, altri immaginando una procedura più strutturata che, a un certo punto del negoziato, chieda ai cittadini come vuole regolare il divorzio con l’Ue. Si tratta soltanto di divagazioni da panico, è chiaro, non si può tornare indietro, non adesso certo: se un ripensamento ci sarà, è più probabile che avvenga quando i due anni concessi per rivedere i trattati saranno quasi trascorsi, la Brexit sarà vicina e vera, e magari di fronte agli scatoloni, l’argenteria divisa con livore, passerà la voglia di chiudere la porta. Ma si tratta sempre di suggestioni, alcuni commentatori – in particolare quelli del Financial Times, che per giorni si è vestito con più nero possibile per segnalare il proprio discontento – fingono di crederci davvero, istillano speranza, ma si sa che oggi non si può tornare indietro, non lo vogliono gli europei scorbutici, non lo vuole il 52 per cento del Paese.

Per questa piazza di pentimenti il leader di riferimento è diventato Sadiq Khan, che si è mostrato tanto e spesso in questi giorni, senza tutto quell’imbarazzo che appesantisce il suo partito. Il neosindaco laburista di Londra è stato tra i pochi a fare campagna per il “Remain” con il premier (dimissionario) conservatore David Cameron: non c’era nulla di ufficiale, ma la leadership laburista non voleva farsi vedere troppo vicino ai Tory, per quel tatticismo sterile che oggi costa tantissimo e non soltanto ha contribuito a determinare la Brexit, ma sta anche sfasciando il partito. Khan se n’è fregato, ha fatto la sua solida campagna europeista, appassionata e sorridente, ha stretto la mano a Cameron che qualche settimana prima gli aveva dato del pericoloso islamista, ha detto che la causa comune europea era troppo importante e decisiva per essere trattata secondo gli schemi consueti. Questa era la linea che nel Labour era stata esplicitata da David Miliband, ex ministro blairiano ora negli Stati Uniti: facciamo il possibile per l’Europa, quando sinistra e destra sono d’accordo su un tema non facciano le timide, se lo dicano.

Protestors Attend Anti-Brexit Rallys Across The UK

Era parso strano che Khan appoggiasse la strategia di David, lui che è da sempre legato a Ed Miliband, ex candidato premier per il Labour autore di un fratricidio con fortissime basi ideologiche: Ed sconfisse David alla nomina per il partito sostenuto da quei sindacati che oggi tengono in piedi – letteralmente – il Labour. Quel che sembrava un dettaglio – Khan più vicino a David – ora rischia di essere una dichiarazione d’intenti, visto che il partito sta implodendo lungo quella frattura che divise i due fratelli e che ancora divide le sinistre in tutto il mondo: liberali contro antiliberali.

Khan non ha l’aria di uno che si lascia trascinare dentro a conflitti altri dalla gestione della sua città. Quando la Brexit ha vinto, si è preoccupato di dire che Londra resta una città aperta – venite senza paura, restate senza paura – ha lanciato messaggi di calma e unità, con la consapevolezza del disastro in arrivo ma anche dell’assenza di sensi di colpa. Khan non c’entra niente con la crisi che sta attraversando il Labour adesso, è Jeremy Corbyn, leader  sfiduciato eppure inamovibile, a dover continuamente sottolineare di aver votato per il “Remain” (e comunque tutti sono convinti che menta). Il regolamento dei conti è iniziato, viziato dalla tenacia lunare di Corbyn, che non ha più un partito dietro di sé a Westminster, che ha tutti i big del partito contro (anche Ed Miliband), e che pure si presenta ai comizi organizzati dalle sue guardie pretoriane e dice di essere vittima di un complotto liberale.

Khan sembra non curarsene e anzi ne approfitta per far sì che il rimpianto londinese non sia soltanto materia di vignette e foto iconiche: ha chiesto maggiori poteri per la sua città, vuole diventare un supersindaco che dipende sempre meno dal governo centrale, ha ironizzato sull’indipendenza di Londra dal resto del Paese. I superpoteri sono una battaglia antica di Londra – lanciata dal suo predecessore Boris Johnson – e oggi il sogno della città-stato si porta molto, fa sembrare più protetti, più lontani dalla vergogna nazionale di un divorzio così poco chic. E mentre i londinesi si tormentano su quel che è accaduto, Khan si atteggia da leader, proprio ora che il Labour ne sta cercando uno.

 

Immagini scattate durante le proteste dei londinesi anti-Brexit a Trafalgar Square (Getty Images).