Attualità

Oltre Star Trek

Il nuovo Into The Darkness firmato da J.J. Abrams e la guerra tra i fedelissimi della saga e chi invece vuole far conoscere Spock & Co. a tutto il pubblico.

di Federico Bernocchi

Il 13 giugno, con quasi un mese di ritardo rispetto all’uscita ufficiale nel resto del mondo, arriverà nelle nostre sale uno dei titoli più attesi dell’anno, Star Trek – Into the Darkness. Qualche dato essenziale per capire di cosa stiamo parlando: Star Trek è una vecchia serie di sci-fi ideata nel 1966 da Gene Roddenberry. Col tempo questa serie, diventata per tutti successivamente la Serie Classica, ha trasformato il franchise in qualcosa di gigantesco, in uno dei pilastri della nostra cultura pop. Ci sono state altro quattro serie ufficiali (The Next GenerationDeep Space NineVoyager ed Enterprise), una serie animata e ben dieci lungometraggi. Poi il tutto era andato un po’ scemando. L’ultimo film, Star Trek: La Nemesi, è datato 2002. L’ultima puntata di Star Trek: Enterprise è andata in onda nel 2005. Certo, gli appassionati duri e puri erano sempre lì pronti a battersi con gli odiati fan di Star Wars in accesissime battaglie a colpi di nerditudine, scrivevano e leggevano fanzine, collezionavano action figure, ma poi nulla di concreto si muoveva realmente.

Il film del 2009 racconta le origini del Mito, la nascita di quell’equipaggio diventato culto in tutto il mondo, di come si sono conosciuti James T. Kirk, Mr. Spock, Il dott. McCoy, Hikaru Sulu e Scotty.

Fino al 2009 quando J.J. Abrams e la sua Bad Robot se ne uscirono con l’undicesimo film della serie, intitolato semplicemente Star Trek. Perché una scelta così minimale? Semplice, perché come marketing impone, J.J. Abrams e la sua squadra hanno optato per il reboot. Il film del 2009 racconta le origini del Mito, la nascita di quell’equipaggio diventato culto totale in tutto il mondo. Si racconta come si sono conosciuti James T. Kirk, Mr. Spock, Il dott. McCoy, Hikaru Sulu e il simpatico Scotty. Questo Star Trek – Into Darkness, sempre diretto da Abrams, è dunque il primo sequel del reboot. La storia, scritta dal trio Alex Kurtzman, Roberto Orci, Damon Lindelof, è (svelando il meno possibile) più o meno questa: un terrorista di nome John Harrison, uccide gran parte di quelli che contano della Flotta Spaziale. Il turbolento Jim Kirk e la sua squadra si buttano in una disperata caccia all’uomo, che nasconde non solo molte insidie, ma anche qualche inaspettato colpo di scena.

Chi scrive ha avuto la fortuna di vedere il film in anteprima questo lunedì sera grazie a Studio Sottocorno e posso dirvi che, come già per il primo capitolo firmato da J.J. Abrams, siamo di fronte a un ottimo film. Gran ritmo, fattura eccezionale, una bella storia, almeno quattro sequenze mozzafiato, interpreti in gran forma (su tutti lo straordinario Benedict Cumberbatch) e tutto quello che ci deve essere in un film action, d’avventura con ambientazione spaziale, nell’anno 2013. Sì, perché lunedì sera ho intercettato un po’ di chiacchericcio tra i colleghi e ho sentito una sola persona che si lamentava, dicendo che la fantascienza è un’altra cosa, che qui è tutto chiaro e si capisce tutto fin da subito, tralasciando quella componente di mistero che dovrebbe essere alla base del genere. Va ricordo però che la fantascienza, al pari dell’action, è il genere più difficile da definire del Cinema. Nella stessa casella possono tranquillamente starci pellicole come SolarisMen In BlackStar WarsMoon, o Mad Max: Interceptor.

Quando il demonio che è in voi si impossessa della vostra favella e vi fa dire cose senza senso come: “che americanata!”, vi state riferendo anche a pellicole come queste.

Cosa definisce un film Sci-Fi? La presenza di navicelle spaziali? Il fatto che ci siano degli alieni? L’ambientazione distopica o futurista? I viaggi nel tempo? Star Trek – Into Darkness è un giocattolone action Sci-Fi divertente come pochi, uno di quei pochi film che non vedi l’ora di fare vedere a tuo figlio (avendocelo…) sperando che anche lui si appassioni alla serie e cominci a collezionare i pupazzielli, per poi poterci giocare insieme di nascosto. Quando il demonio che è in voi si impossessa della vostra favella e vi fa dire cose senza senso come: “che americanata!”, sappiate che vi state riferendo anche a pellicole come queste. Un prodotto d’intrattenimento solido, divertente, intelligente, ben realizzato e che probabilmente lascerà il segno all’interno del genere. Perché J.J.Abrams e il suo team sono persone capaci e con le idee più che chiare. Certo, magari il 3D ce lo potevano risparmiare, ma questo è un altro discorso.

Prima di vedere il film, più o meno a metà marzo se non ricordo male, all’IMAX di Pioltello – sono stati proiettati i primi 20 minuti del film più qualche sequenza bonus e c’è stata la possibilità di fare qualche chiacchiera con Brian Burk, socio di J.J. Abrams e cofondatore della Bad Robot. Io ero insieme a qualche altro giornalista e, fortuna vuole, a due delegati della più importante fanzine italiana dedicata a Star Trek. E c’è stato uno scontro/incontro che mi ha aperto gli occhi su un aspetto a mio avviso importante del cinema di oggi. Fondamentalmente tutto quello che ha detto il simpatico Burk è che lo scopo della Bad Robot, nel momento in cui la Paramopunt ha deciso di affidargli il franchise di Star Trek, era quello di fare un film capace di conquistare non solo i vecchi fan, ma anche quelli che non avevano mai visto una puntata della Serie Classica o un fotogramma degli altri film. In una parola: tutti. Burk, senza temere le ire dei due portavoce della fanzine italiana, ha candidamente ammesso che quando era più giovane e in televisione passavano i vecchi episodi, lui cambiava canale. Che al solo sentire: “Spazio: ultima frontiera” si annoiava e cercava qualcos’altro. Il problema è che all’epoca i soldi erano pochi e che l’impegno che ci si metteva non era sufficiente. Certo, l’universo creato da Roddenberry non si tocca e tutte le sue storie sono assolutamente geniali, ma il prodotto in sé non era certo tra i più entusiasmanti. Tento di fermare l’orda di insulti che stanno per ricoprirmi: come Burk, non sono mai stato fan di Star Trek.

Qui si gioca un’importante partita cinematografica tra coloro che reputano un prodotto legato al passato e chi invece ne intuisce un potenziale altro e, nel rispetto del creatore e delle sue idee, fa evolvere la saga conquistando nuove fette di pubblico.

Certo, lo conosco, so di cosa parla, ho idea di cosa sia un klingon, so dell’esistenza dei borg e vivo “long and propser“, ma non sono mai stato un vero e proprio fan. Per due ragioni. In primo luogo perché penso che ognuno di noi abbia a disposizione tot punti nerd e io me li sono giocati in altri ambiti. In secondo luogo, e conseguentemente alla scelta che ho appena dichiarato di aver fatto, perché per me la fantascienza è altro e non gente che parla nella plancia di una navicella spaziale. Però adesso non vedo l’ora di passare un noioso pomeriggio di luglio a vedere una seleziona dei migliori episodi della Serie Classica fatta da qualche mio amico invasato. Perché? Perché questi film nuovi sono molto belli. E allora, dal mio punto di vista, meno male che ci sono produttori illuminati come Burk e Abrams, personaggi che rispettano i fan, ma che non lo vogliono viziare a tutti i costi. Meno male che esistono uomini di cinema come loro che, sempre con lo scopo e l’idea di fare un sacco di soldi al botteghino, non si terrorizzano all’idea di dover fare i conti con gente che ha addirittura fondato una fanzine (con tutto quello che questo comporta, sia in termini positivi che negativi), ma desidera creare un buon prodotto d’intrattenimento. Qui si gioca un’importante partita cinematografica: nel confronto tra coloro che reputano un prodotto legato al passato come intoccabile e immobile e chi invece ne intuisce un potenziale altro e, nel rispetto del creatore e delle sue idee, fa evolvere la saga conquistando nuove fette di pubblico. Questo nella consapevolezza che il prossimo progetto di J.J. Abrams sarà Star Wars. E sono sicuro che un personaggio come Jar Jar Binks, non ci sarà.