Attualità

Il governo cambi verso

Inizia la corsa di Matteo Renzi. Ecco cosa deve fare Letta (pedalare) per sfruttarne la scia e non venire travolto dal nuovo slancio del sindaco di Firenze.

di Claudio Cerasa

Roma – Quando sabato comincerà ufficialmente e formalmente da Bari la corsa di Matteo Renzi per conquistare la leadership del Partito democratico, ci sarà un tema che vivrà inevitabilmente sottotraccia lungo il percorso che separa il sindaco di Firenze dalla scalata al partito e quel tema è, lo sappiamo, la convivenza con Enrico Letta. Letta e Renzi, negli ultimi giorni, hanno virtualmente stipulato un patto per non prendersi più a sportellate e per nascondere sotto il tappeto le varie diffidenze reciproche (Renzi non si fida di Letta, perché è convinto che Letta voglia far durare il governo anche dopo il 2014, e Letta non si fida di Renzi, perché è convinto che Renzi voglia far saltare il governo subito dopo l’elezione alla segreteria del Pd). Il patto, per quanto fragile, nei prossimi mesi reggerà senza problemi, non fosse altro perché da qui a dicembre Renzi, per prepararsi alle primarie, ha tutto l’interesse a non destabilizzare il governo e a non soffiare su possibili fuocherelli accessi dal centrodestra.

Ma il patto, una volta che Renzi diventerà segretario del Pd, rischia, anzi, è destinato a sgretolarsi nel momento in cui il sindaco di Firenze si dovesse ritrovare di fronte un governo impacciato, lento e inconcludente, e da questo punto di vista è difficile dare torto al Rottamatore quando dice che questo esecutivo è come una bicicletta: va avanti solo se pedala, altrimenti cade. Da questo punto di vista, dunque, ciò che risulta interessante non è tanto la traiettoria che prenderà Renzi quanto quella che prenderà il governo. Senza ombra di dubbio nei prossimi mesi l’attività del governo verrà spinta anche da alcuni dati che dovrebbero agevolarne il percorso (l’ultimo trimestre dell’anno potrebbe presentare un segno più alla voce crescita e con l’arrivo a inizio 2014 dei 60 miliardi di euro di fondi strutturali provenienti dall’Unione Europea le larghe intese avranno più margine di manovra, potranno programmare investimenti e potranno tentare di migliorare, con buone possibilità di successo, anche i dati sull’occupazione). Ma i segnali che arriveranno anche in Italia del cambio di direzione del vento faranno muovere la bicicletta del governo solo se Letta sarà coerente con le sue promesse e comincerà a pedalare, pedalare, pedalare.

La legge di stabilità, con i dieci miliardi di taglio al cuneo fiscale promessi dall’esecutivo (pochi, molto pochi, ma meglio di niente), sarà il primo terreno sul quale si misureranno le ambizioni delle larghe intese, e sarà il primo vero terreno sul quale sarà possibile capire se la coppia Alfano-Letta intende solo amministrare il consenso o proverà davvero a rivoltare il paese come un calzino. Il programma di questo governo, come è noto, è tutto nel discorso offerto da Letta alle Camere durante il suo insediamento del 29 aprile. Ma se Letta fosse coerente con se stesso, il cuore del programma governativo dovrebbe diventare la famosa lettera del Bce, quella arrivata nell’agosto del 2011 e resa pubblica nel settembre dello stesso anno, i cui contenuti, e queste sono parole di Letta, “saranno quelli da cui qualunque governo che succederà al governo Berlusconi dovrà ripartire”. “I contenuti della lettera di Draghi e Trichet – disse Letta nel 2011 – rappresentano la base su cui impostare politiche per far uscire l’Italia dalla crisi”. Ebbene, di quella lettera che cosa è rimasto da fare? Di realizzato, da parte del governo Monti, vi è sicuramente la parte relativa al rigore dei conti (rigore che è stato perseguito con decisione dal precedente governo al punto che da quest’anno l’Italia è uscita dalla procedura di infrazione europea sul deficit eccessivo). Ma rigore a parte ci sono alcuni punti di quella lettera che sono rimasti nel cassetto e che Letta dovrebbe evitare di stracciare. Ricordate?

Punto numero uno: “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala”.
Punto numero due: “C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.
Punto numero tre: “Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.
Punto numero quattro: “Incoraggiamo inoltre il governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese”.

In estrema sintesi, se sul lato dei conti in regola la lettera della Bce si può dire sia stata seguita in modo disciplinato, non è un errore dire che sul lato delle riforme né il governo Monti né quello Letta sono riusciti ad applicare i consigli contenuti in quel carteggio. Letta, due anni fa, disse che qualsiasi governo, per uscire dalla crisi, sarebbe dovuto ripartire da lì. E due anni dopo quella lettera è evidente che per il presidente del Consiglio oggi l’unico modo per non cadere dalla bici è riprendersi quel testo e trasformarlo nel programma di governo con cui lui e Alfano proveranno a resistere al possibile assalto di Renzi facendo una cosa molto semplice. Non stare in equilibrio ma pedalare, pedalare, pedalare. E non promettere riforme ma semplicemente smettere di rinviarle e farle. Adesso, come un tempo avrebbe detto Renzi.