Attualità

Il caso Berezovsky

Quella dell'oligarca rimarrà una morte misteriosa, anche se l'inchiesta chiudesse domattina: quelli come lui non muoiono d'infarto né di sensi di colpa.

di Luigi De Biase

Il suicidio più famoso nella storia della Russia è quello di Anna Karenina, ma Anna Karenina era il personaggio di un romanzo. Per questo la polizia inglese ha circondato in fretta la casa di campagna del miliardario Boris Berezovsky quando una guardia del corpo l’ha trovato faccia a terra nella stanza da bagno. All’inizio si pensava che il corpo fosse a mollo dentro la vasca, poi s’è cominciato a parlare del pavimento, e questo è stato a lungo l’unico dettaglio disponibile sulla morte di Berezovsky. A Londra gli investigatori hanno deciso di prendersi un po’ di tempo prima di assicurare che si tratta soltanto di un suicidio, hanno aspettato che la scientifica entrasse nella villa di Ascot con i macchinari di precisioni e dicesse che non c’è traccia di polonio né di radiazioni in quella casa silenziosa, e ora s’attende il risultato dell’autopsia, servono le analisi e i test sui tessuti per dire che infondo non c’è niente di sospetto. Ma la morte di Boris Berezovsky sarà una morte misteriosa qualunque cosa accada, lo sarebbe anche se l’inchiesta chiudesse domattina: quelli come lui non muoiono d’infarto e neppure di sensi di colpa.

Anna Zafesova, su La Stampa, ha usato poche parole per raccontare chi era Berezovsky: “Negli ultimi vent’anni non c’è stata carriera o evento in Russia che non venisse attribuito in qualche modo alla malefica influenza di questa eminenza grigia”. Chi vuole farsi un’idea più precisa può scorrere il suo curriculum vitae. Berezovsky ha passato i primi quarant’anni della propria esistenza fra i libri di statistica e le formule di matematica, lavorava all’Accademia delle Scienze, uno dei pochi palazzi nella Russia di Brezhnev e di Andropov, in cui fosse concesso esercitare qualche forma di dissenso. I soldi sono arrivati negli anni Novanta e sono stati frutto di talento, del caso e della necessità, com’è stato per molti in quell’epoca: prima il grande affare delle fabbriche di auto cedute dallo stato in cambio di pochi milioni (milioni che venivano dalle casse pubbliche praticamente senza tassi d’interesse), poi il petrolio, l’industria dell’informazione e le banche commerciali. Nel 1997 Forbes stimava la fortuna di Berezovsky in tre miliardi di dollari, ma il suo grande colpo è venuto con la politica: Berezovsky era l’oligarca, era l’uomo in grado di passare con la stessa libertà fra le stanze del Cremlino e quelle della Borsa russa, aveva il potere di convincere Boris Eltsin a seguire i suoi interessi anche nei momenti più delicati per le sorti del paese. Dicono che c’era Berezovski dietro alla pace fra la Russia e i ribelli ceceni, dietro alla scelta di candidare Eltsin alle elezioni del ’96, dietro la decisione di sostituire il vecchio presidente, sfiancato dalla vodka e dai problemi di cuore, con un giovane ministro che era cresciuto nei ranghi dei servizi segreti, un certo Vladimir Putin, che era un vero sconosciuto per l’opinione pubblica russa.

Negli anni ’90 molti miliardari che cercavano riparo da Putin sono arrivati in Inghilterra, e il nome di Berezovsky spuntava ogni volta che qualcosa di oscuro accadeva fra i palazzi di Mosca e la City

In quegli anni di affari spericolati Berezovsky ha rischiato più di una volta la vita, come nel 1994, quando una bomba è esplosa nella sua auto e ha decapitato l’autista: le immagini dei soccorsi si vedono ancora su un documentario che gli ha dedicato la Bbc e che si intitola “Il fuggitivo”. Quel titolo serve a spiegare la sua seconda vita, la sua nuova esistenza a Londra, il centro che Berezovsky ha scelto per gestire affari e tormenti nel 2000, dopo avere lasciato la Russia di Putin e gran parte degli affari in patria. “Non voglio essere coinvolto nella rovina del paese”, disse alla stampa in quei mesi. A quindici anni di distanza si può dire che il nuovo capo del Cremlino non avesse in mente la fine della Russia, ma soltanto quella degli oligarchi. Negli stessi anni molti miliardari che cercavano riparo dalle riforme di Putin sono arrivati in Inghilterra, e il nome di Berezovsky spuntava ogni volta che qualcosa di oscuro accadeva fra i palazzi di Mosca e le strade della City: prima l’uccisione della giornalista Anna Politkovskaya, freddata sulle scale di case una mattina d’ottobre del 2006, poi la morte dell’agente segreto Alexandr Litvinenko, avvelenato con una dose di Polonio in un sushi bar di Piccadilly Circus. E l’ombra di Berezovsky ha coperto anche la fine di un ex socio d’affari di nome Badri Patarkatsishvili, un georgiano colpito da un infarto proprio mentre era a Londra, sino alla scomparsa misteriosa di un genio della Borsa chiamato Alexandr Perepilchny (ha perso la vita durante una corsa nel parco pochi mesi fa).

Che i rapporti fra il Cremlino e Berezovsky non fossero proprio amichevoli si capisce dal numero di dichiarazioni che ha rilasciato negli ultimi giorni Dmitri Peskov, il portavoce di Putin. Sabato ha detto che il miliardario considerava il presidente russo come “un nemico”, poi ha dichiarato che esiste una lettera di perdono, arrivata meno di due mesi fa, in cui Berezovsky chiede il permesso di ritorna a Mosca senza carichi pendenti, infine ha fatto capire che la salma del miliardario potrebbe trovare posto in un cimitero russo. Gli ultimi anni sono stati un inferno per Berezovsky e per quelli del suo clan, l’anno scorso è fallita una causa miliardaria contro Roman Abramovich, il proprietario del Chelsea che ha accettato il consiglio di non dormire mai per due notti nella stanza stanza, poi il tribunale di Londra ha congelato 200 milioni di sterline che gli appartenevano, e l’ansia di finire in miseria deve avere preso il posto sui propositi di vendetta. Una settimana fa Berezovsky ha venduto un quadro di Andy Warhol, un ritratto psichedelico che valeva 50.000 sterline, i giornalisti che lo hanno incontrato nelle ultime settimane dicono che era senza forza, un reporter di Forbes lo ha sentito dire che non c’è più nulla per cui valga la pena vivere, Masha Gessen di Radio Liberty lo racconta oggi come un uomo potente e depresso, uno che ha compreso di essere all’ultima mano della partita senza carte decenti. “La politica russa è come la Roulette russa – diceva Berezovsky nel documentario della Bbc – Bisogna soltanto essere sicuri di volere giocare”.

Prevedendo quel che sarebbe accaduto nel giro di poche ore, un altro miliardario di nome Alexandr Lebedev ha scritto un messaggio di saluto al suo vecchio amico mentre i giornalisti correvano alla villa di Ascot. “De mortuis nil nisi bonum”, ha scritto sul suo profilo Twitter, dei morti non si dica nulla, se non il bene. A volta bisogna perdere qualcosa d’importante per passare dalla parte dei buoni.

 

Foto: Peter Macdiarmid/Getty Images