Attualità

Il burocrate che vuole aiutare Renzi

Ragionamento di uno che lavora nell'alta burocrazia di Stato: ha ragione il premier quando dice che gran parte di essa ha iniziato una guerra preconcetta contro di lui, ma se lui decidesse di collaborare con chi di noi vuol dare una mano, il governo ne gioverebbe.

di Claudio Cerasa

Roma – Quella che segue è una chiacchierata con un importante burocrate che vive da anni nel complicato e spesso incomprensibile mondo dei ministeri romani e che, nonostante la distanza quasi naturale che lo separa anche culturalmente dal Presidente del Consiglio (che i burocrati di Stato, si sa, li tratta con lo stile del “io Tarzan, tu Jane”), ha osservato con interesse e speranza l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi. Oggi questo burocrate, che per ovvie ragioni non può che rimanere anonimo, accetta di raccontare quello che funziona e quello che non funziona della macchina di Palazzo Chigi, e lo fa non con lo spirito del gufo e del rosicone e dell’inguaribile sabotatore ma con quello di chi spera di poter dare una mano a far funzionare in modo più efficace la macchina renziana.

Si tratta di una testimonianza utile a capire quali sono i punti di forza e i punti di debolezza del governo Leopolda: «Io sono convinto che nell’amministrazione ministeriale, e anche alla Camera, al Senato, negli uffici tecnici e in quelli di bilancio, vi siano molti burocrati che hanno scelto di combattere una battaglia di principio contro Renzi per il semplice fatto che Renzi ha scelto di rivedere il loro stipendio, di rivedere i loro diritti, e dunque i loro privilegi, e per il semplice fatto di non considerare più la tecnocrazia e la burocrazia come un potere con cui confrontarsi ma più semplicemente come un potere da abbattere. Tutto questo è vero, e ha ragione Renzi quando dice che nel mondo della burocrazia c’è qualcuno che ha cominciato a dare al suo ruolo un profilo politico, non tecnico. Del tipo: io ti dico di no perché questa cosa non è che non si può fare, ma più semplicemente non si deve fare. Accanto a questo atteggiamento perverso, che vedo spesso perdurare anche nelle stanze della ragioneria dello Stato, dove, tanto per fare un esempio, la signora Patrizia Del Verme, addetta alla famosa bollinatura, è diventata il nemico pubblico numero uno di Palazzo Chigi, dicevo, accanto a questo atteggiamento perverso ce n’è uno altrettanto perverso che osservo nell’attività di governo e che credo sia alle origini di una serie di problemi che caratterizzano la vita di questo esecutivo. Mi spiego: vi sembra normale che in Consiglio dei Ministri vengano spesso approvate leggi che il più delle volte nemmeno i ministri hanno letto interamente? Vi sembra normale che per riuscire ad avere l’ok dal Quirinale, dai tecnici, dalla ragioneria di Stato, una legge debba passare più di dieci giorni in una sorta di grande buco nero?».

Ha ragione Renzi quando dice che nel mondo della burocrazia c’è qualcuno che ha cominciato a dare al suo ruolo un profilo politico, non tecnico

«E poi: vi pare normale che riforme importanti come quella della giustizia e come quelle dello Sblocca Italia siano ferme da dieci giorni in Consiglio dei Ministri, nonostante siano state approvate? Il problema, per quanto ci riguarda, è evidente ed è un problema, e forse un limite, del renzismo. Il Presidente del Consiglio, purtroppo, tende a chiudersi, a restringere la sua squadra, a giocare con la sua idea di disintermediazione in modo non sempre positivo. Un conto è voler utilizzare la propria forza e la propria linea per imporre provvedimenti che senza Renzi non sarebbero mai passati, penso agli ottanta euro, un conto, invece, è utilizzare i suoi collaboratori con la modalità citofono: io premo un pulsante, tu mi dai un’idea. Da burocrate dico poi che si percepisce in modo clamoroso l’amalgama non ancora riuscito a Palazzo Chigi tra i grandi dirigenti che dovrebbero controllare la macchina. Ci sono dirigenti che parlano con noi burocrati dicendo ‘oh, non parlare con quell’altro dirigente’. Ci sono vicesegretari generali che parlano con noi burocrati dicendoci di non sopportare più chi di fatto scrive le leggi a Palazzo Chigi. Ci sono casi in cui siamo costretti a inviare la stessa nostra proposta e la nostra stessa idea a sei persone diverse, per poi sentirci dire, da sei persone diverse, sei diverse risposte su quello che dobbiamo fare. È un modello che non funziona, purtroppo, o meglio: funziona quando tutto va bene e quando c’è una grande luna di miele; se no, beh, giocare da soli non aiuta, disintermediare troppo addirittura complica e pensare di governare senza ricordarsi di dover organizzare è il modo peggiore, dal mio punto di vista, per sperare di non fare la fine di Letta e di Monti. Noi burocrati siamo qui anche per aiutare Renzi. Bisogna fare squadra, allargare la squadra. E prima o poi Renzi si accorgerà che senza allearsi anche con noi non sarà facile fare quello che il premier ha promesso: cambiare il paese, e farlo anche in fretta».