Attualità

Il browser senza qualità

Addio Internet Explorer. Microsoft sancisce la fine di uno dei suoi primi software di punta, diventato oggetto di fastidio e parodie.

di Davide Piacenza

«Support for older versions of Internet Explorer ends on January 12, 2016». Il modo giusto per decretare la fine di una storia che non funzionava da tempo probabilmente non esiste, eppure lo scarno annuncio con cui Microsoft comunica la discontinuation degli aggiornamenti di sicurezza per tutte le versioni precedenti a IE 11 – l’ultimo Explorer della casa di Redmond – sembra ingrato persino nei confronti di uno dei software più odiati e parodiati di sempre.

Un update finale coerentemente ribattezzato «End of Life» consiglierà caldamente agli utilizzatori di IE, ultimi giapponesi che non si sono arresi a Chrome o ad altri prodotti più recenti, di aggiornare alla versione 11 o a Edge – il nuovo, convincente browser di Windows 10 (nel recensirlo The Verge non a caso aveva detto: «Microsoft è ripartita da zero e ha scartato tutto ciò che aveva fatto finora con Internet Explorer») – per non trovarsi in balia di virus e malware. La decisione di Microsoft non è un fulmine a ciel sereno. Era stata annunciata addirittura ad agosto del 2014, e lo scorso marzo Explorer è stato ufficialmente degradato allo status di «legacy», una legittimazione della sua esistenza da reliquia per mere questioni di compatibilità, vista la diffusione capillare sperimentata negli anni d’oro della multinazionale di Bill Gates. Stando ai dati delle analisi di mercato di Net Applications del dicembre scorso, quasi 340 milioni di persone nel mondo usano ancora vecchie versioni di Internet Explorer. Per quanto il dato sia in costante diminuzione (lo stesso rilevamento ha provato che tre quarti dei nuovi utenti ottenuti da Chrome dalla metà del 2014 sono ex utilizzatori di IE che hanno fatto la felice scoperta dell’esistenza di browser migliori), si tratta di metà della popolazione europea. IE rimane il software più usato, con una quota del 43% del mercato.

L’estetica di Internet Explorer rimanda a malandati schermi a tubo catodico di aule di informatica in scuole di provincia, uffici comunali, logori terminali aziendali, ma anche a una tappa obbligata dell’avanzata domestica del pc. A me ricorda soprattutto gli anni di quelle strane enclosure del web definite “portali”, il doppino della 56k e, quindi anche connessioni abbastanza lente da rendere il download di una canzone ascoltata su Mtv (altro simbolo di quel periodo che sta finendo in soffitta; le fini di un’epoca non vengono mai sole) qualcosa per cui aspettare. Se nell’immaginario comune Internet Explorer negli anni è diventato un prodotto anonimo e irriso, il fallimento non combacia con la posizione iper-dominante di Microsoft ai tempi della sua prima uscita. Insomma, perché è andata così male?

L’estetica di Explorer rimanda a malandati schermi a tubo catodico di aule di informatica di provincia

Nel 1995 Bill Gates aveva diffuso una nota interna ai responsabili di Microsoft. Passato alla storia come «Tidal Wave», il documento decretava di «assegnare a Internet il più alto livello di importanza». Al tempo Netscape, il principale competitor, aveva in mano il 70% del mercato dei browser per il web dei primordi. Di lì a poco però sarebbe nato Internet Explorer 3, un software completamente rinnovato, il primo a supportare il poi popolarissimo linguaggio CSS. Con IE 6 Redmond fece segnare la sua affermazione definitiva: gli esperti di settore considerano la versione lanciata nel 2001 come il vero passo in avanti di Microsoft, un software così all’avanguardia per il periodo da ridurre al minimo i timori di concorrenza (la versione 7 è infatti uscita soltanto nel 2007, sei anni dopo).

Ai tempi della prima release di Mozilla Firefox, nel 2004, più del 90% di chi usava Internet usava anche Internet Explorer 6. La caduta è avvenuta nel giro di qualche anno: Microsoft si è adagiata sul suo monopolio, convinta che l’impero che aveva creato potesse sopravvivere quasi per inerzia, con la forza dei numeri di Windows. Eppure, gradualmente ma inesorabilmente, gli standard sono cambiati e gli sviluppatori hanno dovuto fare i conti con problemi di supporto e adattamento sempre più complessi, dovendo riscrivere formati che Microsoft aveva reinterpretato a suo uso e consumo anni prima, con travagli spesso al limite della nevrosi (fino a pochi anni fa esisteva iestolemylife.com, sorta di muro del pianto per web developer disperati).

Ciò che è valso a Explorer la sua damnatio memoriae è però soprattutto quell’indomita, riconoscibile, intollerabile lentezza. Col tempo gli sviluppatori di siti, infastiditi dal lavoro extra che IE 6 richiedeva, hanno iniziato a ignorarlo più o meno volutamente. In realtà il browser Microsoft non è il più lento da ormai diversi anni: un articolo del 2013 di DigitalTrends mostrava come in vari parametri IE 10 risultasse più veloce sia di Safari che di Chrome e Firefox. Ma la reputazione era già compromessa: Explorer era ormai sinonimo di attese interminabili, crash continui e una vasta gamma di seccature. @iExpIorer, un account parodistico in lingua spagnola su Twitter, gioca su questo fingendosi il megafono social di IE e presentando come breaking news avvenimenti successi decenni prima (durante gli ultimi Mondiali di calcio in Brasile, nel 2014, commentava “in tempo reale” le azioni di Francia ’98, ad esempio).

Google Nears 10th Anniversary

La nomea di browser odiato è diventata a tal punto parte integrante dell’identità di Internet Explorer che la stessa Microsoft per il lancio di IE 9 ha preso in giro sé stessa con la campagna «The browser you loved to hate», di cui fa parte un video in cui un IE-hater descrive minuziosamente perché detesta l’iconcina della e azzurra e tutto ciò che rappresenta. Usare Explorer ha iniziato ad avere una connotazione negativa. Nel 2011 molti media mondiali hanno riportato il sondaggio di una compagnia di consulting canadese secondo cui il quoziente intellettivo medio degli utenti del software di Redmond si attestava appena a 80 – un valore vicino alla definizione medica di ritardo mentale, che ha il suo termine massimo nei 70 punti  –  mentre quello degli utilizzatori di Chrome e Firefox avrebbe fatto segnare un valore medio di 110. In realtà, come poi scoperto dalla BBC, si trattava di un falso.

Ora, e sotto diversi punti di vista finalmente, il decano dei browser è uscito dal gruppo, schiacciato dal peso di una fama impossibile da correggere. Nella discussione redazionale di questo articolo si sono levati giudizi spietati: «Una roba brutta, senza nostalgia e senza fascino», si è detto tra l’altro. In effetti il vecchio IE, molto shabby e poco chic, non è qualcosa che si è soliti legare al proprio tempo delle mele: più che la prima canna sbandierata, è l’amico delle medie con cui passi i pomeriggi per poi stancarti della sua compagnia, perché tu sei cresciuto e lui no. In tempi di recuperi della bruttezza, Internet Explorer, il browser senza qualità, non è comunque riuscito a ritagliarsi il suo spazio nel pantheon del web, rimanendo poco più che la cosa da odiare, o al limite dimenticare in fretta. «Una roba brutta» che ha mostrato Internet per la prima volta a centinaia di milioni di persone (spesso comprensibilmente infastidite), l’effetto collaterale di un ricordo.

Immagine in evidenza di Filippo Nicolini.