Attualità

I conservatori d’autunno

Il dibattito politico vive nel frigorifero: come e perché tornano sempre i sughi (fatti a mano) e surgelati.

di Manuela Ravasio

Il bicchierino di plastica zigrinato sta al ragù come il tupperware sta alla forma di grana. Necessari nell’immediato, satanici dopo poche ore. Profanare le legittime peculiarità di un sugo o di un formaggio è un vizio venuto da quando tempi e crisi economiche hanno suggerito ai più di farsi scorta da soli. Eppure la capacità di rovinare tutto il buono di una formula di autodosaggio è altissima, convinti che nel frigorifero qualunque alimento, anche un sugo preparato pochi giorni prima, potrà sopportare tutto, tupperware ammazza respirazione inclusi.

Questo perché con l’autunno inoltrato le conserve, i sughi prodotti in quantità industriali -ma casalinghi- e i barattoli di sottaceti dell’estate settembrina diventano di nuovo protagonisti dei nostri frigoriferi. Grandi quantità di passate rosse, cetriolini che galleggiano in un per nulla intrigante liquido al peperoncino, insomma tutti i ricordi dei sapori provati e scoperti nuovi solo perché divorati in location meno anguste delle nostre cucine, sembrano meritare di essere nel nostro quotidiano e quindi ci portano a sperimentare goffi tentativi di conservazione. Anche quello di mettere il ragù in bicchieri di carta e congelarlo così, senza passare troppo per sofisti, tra barattoli di vetro con chiusura ermetica. Richiamo frugale al vivere bene e semplice? Tentativo di migliorare le nostre diete a botte di sughi conquistati durante i weekend fuori porta?

Il richiamo al barattolo come linfa vitale tenuta nascosta tra i ghiacci d’appartamento può avere differenti letture. Una, la più improbabile, quella che sostiene l’importanza di sapersi cucinare il proprio desiderio: il primo tentativo più che con ambigui pesti siciliani, sarà il classico ragù riletto e corretto secondo i gusti testati, meno carote, più sedano, latte al posto dell’olio, meno soffritto. Ma essendo tra i sughi più soggettivi al mondo spesso l’insoddisfazione per il risultato porta a non congelare proprio nulla. Meglio piatti (ancora) freddi e passare a culatello, pecorino e confetture di fichi. Anche a novembre.

Un’altra chiave di lettura più credibile e sincera è che il dosaggio dei Sughi Nazionali non è attendibile: da single avanzerà, per quattro non basta, e meglio allora crearsi le dosi da soli, più dosi, da manovrare a seconda delle presenze confermate a tavola. Questa è la prima vera, tonica, motivazione per cui si congelano i sughi e perché alla fine conviene comprare scatole di pelati e innaffiare tutti i giorni il basilico sul balconcino di casa. Un’altra possibile interpretazione chiave per i conservatori proto ramsyani è che il sugo fatto da soli e conservato in frigorifero diventa un impegno e una sicurezza: siamo padroni del nostro abitare, conviviamo con prodotti che abbiamo deciso di fare nostri e, sopratutto, abbiamo una scorta segreta qualunque cosa accada. Deteniamo un potere decisionale preventivato.

Poi ci sono chiavi di lettura ancora ben più puriste, che prevedono ad esempio la messa in pratica di scoperte recenti, come quella che fa sì che si chiami con il giusto nome la marmellata e non la confettura, scoprendo così che metà di quelle che appelliamo come marmellate non esistono perché le uniche a poter essere definite tali sono quelle agli agrumi che di base finiscono in cheesecake improbabili. Le altre, ai mirtilli, pesche, ciliegie, si rinominano confetture e, per una questione di lavorazione, si distinguono dalle marmellate per un concetto cardine: le confetture sono il richiamo sincero e versione mignon al benessere, di gusto, voglia e lassismo culinario. Per questo il mese di ottobre esplode la riscoperta stagionale della confettura di marroni, picco gustativo che assicura ogni anno l’elemento rétro tra i barattoli, a cui segue il filone di quelli che i marron glacé li mangiano tolti dal frigorifero o ancora quelli che le castagne le ripongono, già incise, nel freezer per scongelarne un po’ la domenica sera quasi fossero pop corn da microonde.  Infine un’estetica di barattoli ordinati pedissequamente e no logo, porta una pace zen anche nei frigoriferi vuoti, perché mette subito in luce tutte le possibilità di azione, elementi da associare e mettere in pratica senza troppi input sparsi in packaging sinistri.

Tutto vero, anche se a fare le veci 12 mesi l’anno di conserve e preparati in casa sono i tubetti: piccole mine vaganti del reparto salse, longilinee e assassine come squali (e balene, vedi pasta d’acciughe spesso uplevel rispetto alla bottarga) che hanno fatto la vera rivoluzione quando il frigorifero era appena arrivato e i sughi manuali non li si sopportava più. Come il caso del concentrato di pomodoro Mutti, una tempera rosso fuoco da gettare a fuoco lento che compie 60 anni e si gongola ancora della sua rivoluzione di cucina prêt-à-porter. Unica risposta attendibile al motto: conservare è meglio che digiunare.