Attualità

La terza via di Hulu

Dopo la vittoria di The Handmaid’s Tale agli Emmy, il servizio di streaming prova a pensare al suo futuro, a metà strada tra i grandi broadcaster e Netflix.

di Silvia Schirinzi

Può un solo show determinare il successo di un intero canale? La risposta più logica sarebbe no, certo, ma allo stesso tempo non si può negare che  la rilevanza culturale di una serie televisiva sia un fattore di cruciale importanza nello sviluppo del network che l’ha prodotta. Sappiamo bene come il plauso di critica e pubblico nei confronti di prodotti quali House of Cards e Orange is the new black abbiano “creato” il fenomeno Netflix apparentemente dal nulla, aprendo la strada alla spettacolare programmazione della piattaforma e, soprattutto, iniziandoci all’esperienza del binge watching. Sebbene da più parti è stato fatto notare come esista un forte scollamento tra quello che i critici osannano e quello che poi la maggior parte della gente guarda per davvero, è legittimo chiedersi allora come il trionfo di The Handmaid’s Tale agli scorsi Emmy (dove la serie tratta dal romanzo di Margaret Atwood si è aggiudicata 8 statuette su 13 nomination, tra cui miglior serie, miglior attrice protagonista e miglior regia per una serie drammatica) condizionerà l’immediato futuro della sua relativamente piccola emittente.

Lanciata nel 2008 e frutto di una joint venture tra Disney, Fox, NBC e Time Warner, Hulu è stata una piattaforma di streaming che è rimasta gratuita fino al 2010, quando è stata introdotta la possibilità di abbonarsi. Nell’agosto del 2016, poi, ha annunciato una partnership con Yahoo e il passaggio definitivo al modello su abbonamento, abbandonando quello fondato sulla sola pubblicità. Oggi Hulu offre ai suoi iscritti la possibilità di rivedere on demand un considerevole numero di film, programmi e serie tv (la cui lista è personalizzabile a partire da una base di 39,99 dollari al mese) subito dopo la messa in onda sul loro canale originale e, negli anni, ha costruito un catalogo che punta a specifiche nicchie di telespettatori. Per fare qualche esempio, ha salvato The Mindy Project dalla cancellazione, acquistato i diritti di serie cult, come Seinfeld e The Golden Girls, e prodotto show come Difficult People, Casual e The Hotwives, tutti accolti favorevolmente dalla critica e dal pubblico di riferimento. Si è specializzata in anime, cosa che rende particolarmente fiero il Ceo Mike Hopkins, come riporta Josef Adalian su Vulture, e può anche vantare il suo adattamento di Stephen King: la miniserie 11.22.63 con protagonista James Franco, prodotta da J. J. Abrams. Nessuna di queste pur pregevoli cose, però, ha minimamente eguagliato l’impatto mediatico ottenuto di The Handmaid’s Tale che, come più volte è stato sottolineato anche su Studio, è sembrata il perfetto contraltare televisivo della presidenza di Donald Trump. Non è stata l’unica serie “distopica” ad aver ottenuto, nel recente passato televisivo, un così vasto successo e, contemporaneamente, ad aver portato agli onori della cronaca un network semi-sconosciuto. Era già successo due anni fa con il Mr. Robot di Sam Esmail: anche in quel caso c’era stato il premio prestigioso (il meritato Emmy al protagonista Rami Malek) e anche in quel caso ci si aspettava che USA Network diventasse la nuova destinazione della serialità d’autore. Le cose poi sono andate un po’ diversamente: la seconda stagione ha perso molta della brillantezza che l’aveva caratterizzata in prima battuta, e di USA Network non abbiamo saputo più nulla.

FYC Event For Hulu's "The Handmaid's Tale" - Arrivals

Quelli di Hulu, invece, non hanno nessuna intenzione di farsi scappare il momento d’oro e lo dimostra l’insistenza con cui il Ceo Hopkins parla della necessità di investire sui contenuti originali in tutte le sue interviste pre e post Emmy. Molti analisti ritengono che il modello fondato sui diritti comprati non avrà vita lunghissima e che in un futuro non troppo lontano tutte le grandi case di produzione e reti televisive, comprese quelle che nella stessa Hulu ci hanno investito, avranno il loro servizio di streaming personalizzato. Ed è qui che i contenuti originali faranno la differenza. Come ha dichiarato Hopkins sempre a Vulture, infatti, l’obiettivo è quello di raggiungere i grandi canali che hanno dalla loro almeno venti grosse produzioni l’anno, cifra dalla quale bisogna escludere Netflix che, come sappiamo, ha un catalogo ben più poderoso nonostante gli ultimi tagli. Allo stesso tempo, verranno incrementate le possibilità di “personalizzazione” dei pacchetti (con l’inclusione, ad esempio, delle news locali) così da attrarre tutti gli utenti stanchi dei pesanti abbonamenti delle tv via cavo e allinearsi a servizi come Sling Tv o DirecTV Now. A fare la differenza per Hulu, infine, sarà la modalità di rilascio, che non sarà univoca e non sarà sempre orientata al binge watching: alcuni programmi saranno infatti disponibili integralmente da subito, altri no. Non è un caso, allora, che di The Handmaid’s Tale siano stati diffusi solo i primi due episodi, prima di ritornare alla classica scadenza settimanale. Oltre a non far calare l’attenzione dei media e del pubblico social, da Hulu vogliono recuperare anche «l’esperienza condivisa» del guardare la tv insieme e consumarla di conseguenza, senza la voracità degli ultimi anni. Cercano, insomma, una terza via tra la classica televisione e il modello Netflix. Chissà se ci riusciranno.

 

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