Attualità

Quando i giovani scappano di casa

Bambini e bambine che se ne vanno alla ricerca di una vita migliore: due nuovi film del filone (uno brutto e uno molto bello) inaugurato da Moonrise Kingdom.

di Federico Bernocchi

Fa specie ogni tanto trovare una serie di film che escono più o meno nello stesso periodo e che trattano più o meno lo stesso argomento. Fa specie perché vuol dire che le ispirazioni comuni esistono. Non parliamo del caso ArmageddonDeep Impact, due pellicole uscite nel 1998 a cavallo l’una con l’altra che parlavano entrambe di un meteorite gigante che si schianta contro la Terra. Una coincidenza? Non proprio. In quel caso si trattava di studi di produzione che si spiavano e si copiavano, tentando di arrivare per primi in sala e fregare in questo modo l’avversario. Noi qui invece vogliamo parlare di piccoli filoni, di sottogeneri che attraversano il cinema e che quindi rendono assimilabili o confrontabili due o più titoli. Mi preme specificare: parliamo di cinema americano o straniero, ovviamente. Il cinema italiano, come ben sappiamo, parla praticamente solo di un argomento possiamo sintetizzare con la seguente formula matematica:

Alba Rohrwacher + Filippo Timi – Margherita Buy x [Ferzan Ozpetek + Federico Moccia] : un comico televisivo graffiante = trentasettenne in crisi

Ma non perché si tratta di un’esigenza narrativa o di un sentire comune presente nella mente e nell’immaginazione di chi in quel momento decide di fare un film. Noi in Italia facciamo il cinema che facciamo perché, ovviamente, è super interessantissimo. Giusto?

Il tema, lo possiamo finalmente svelare, è questo: giovani protagonisti adolescenti che fuggono da una vita grama, resa un inferno da orribili genitori, per rifugiarsi in un loro mondo alternativo

Solitamente esiste un film che vale come pietra angolare, come fonte d’ispirazione. Qui si tratta di Moonrise Kingdom, ormai penultimo lavoro di Wes Anderson, visto che da poco è uscito lo sfavillante trailer del suo nuovo film The Grand Budabpest Hotel. Il tema, lo possiamo finalmente svelare, è questo: giovani protagonisti adolescenti che fuggono da una vita grama, resa un inferno da orribili genitori, per rifugiarsi in un loro mondo alternativo. Ovviamente nella storia del Cinema non mancano titoli appartenenti a questo genere; basti pensare a La Rabbia Giovane di Terence Malick del 1973 o, per cambiare decade, Stand By Me di Rob Reiner del 1986. Lo stesso Moonrise Kingdom funziona come punto d’arrivo di una serie di film poco precedenti che hanno in qualche modo abbozzato o anticipato il tema. Pensiamo al trittico Nel Paese delle Creature Selvagge di Spike Jonze del 2009, il curioso Boy del neozelandese Taika Waititi dell’anno successivo o alla rivelazione Benh Zeitlin, che solo l’anno scorso ha diretto Beasts of The Southern Wild. Sono titoli che rientrano solo in parte nel nostro discorso ma che sicuramente hanno segnato dei piccoli passi dell’industria, piccola o grande che sia, verso la perfetta delineazione di questo sottogenere. In realtà è lo stesso Anderson a citare il suo film di riferimento: si tratta di Melody, pellicola inglese diretta nel 1971 da Waris Hussein e tratta da una storia e sceneggiatura originale di Alan Parker. Non chiedetemi per quale motivo (probabilmente la risposta è: Lina Wertmüller) il film in questione in Italia uscì con il bizzarro titolo di Come Sposare la Compagna di Banco e Farla in Barba alla Maestra, ma è sicuramente un precedente interessante e curioso. La storia, interamente raccontata dal punto di vista dei bambini, è questa: Mark Lester e Jack Wild, la coppia di bambini inglese che forse ricordate in Oliver!, sono migliori amici. Annoiati dalla scuola e da genitori che non li capiscono, sono due ribelli in potenza. Lester però conosce Melody (Tracy Hide) e se ne innamora perdutamente, ricambiato. A quel punto decidono di sposarsi. Non quelle promesse che forse qualcuno di voi ha anche fatto in gioventù: “Un giorno, fra 35 anni, ti sposerò”. No: decidono di andare contro ogni convenzione e vogliono realmente sposarsi a undici anni.

Moonrise Kingdom, rispetto a Melody, si concentra principalmente sulla parte della storia d‘amore tra due ragazzini e l’incapacità dei “grandi” di comprenderla e soprattutto di accettarla. Il piccolo khaki scout Sam e la bambina Suzy lasciano i loro rispettivi ambienti e decidono di andare a vivere nella natura. Una volta trovata una piccola baia, piantano una tenda, ballano Le Temps de l’Amour di Françoise Hardy, dormono insieme e fondano un loro regno: il Moonrise Kingdom del titolo. Personalmente trovo il film di Wes Anderson tra i più deboli della sua filmografia ma è una questione, come detto, personale. Il lato estetico del film prende il sopravvento rispetto alla sceneggiatura e a alla cura con cui solitamente Wes Anderson costruisce i suoi personaggi, soprattutto quelli minori. Probabilmente la responsabilità è anche di Roman Coppola, che ha scritto insieme al regista questo film e il precedente Il Treno per Darjeeling. Si può discutere sull’effettiva resa di questi ultimi due titoli della filmografia di Anderson ma quello che però è certo è che ha influenzato parte del cinema indipendente statunitense. Da Moonrise Kingdom in avanti, il tema “Adolescenti Incompresi” è diventato un vero e proprio sottogenere. Lo dimostra l’uscita quasi in contemporanea di due film. The Way Way BackThe Kings of Summer.

The Way Way Back è un film incredibilmente irritante, che risulta finto e scontato fin dalle prime sequenze. Tutto è appositamente esagerato per creare quel senso di simpatica inadeguatezza al mondo tipica del “nuovo” cinema indipendente americano

Dopo aver preso parte a qualche festival, esce nella sale cinematografiche statunitensi a fine luglio scorsoThe Way Way Back, diretto dalla coppia Nat Faxon e Jim Rash. I due attori (per gli iniziati, Rash è il Dean Pelton in Community) hanno già scritto insieme Paradiso Amaro di Alexander Payne con cui hanno vinto un Oscar, e qui decidono di esordire dietro la macchina da presa. Il loro campo d’azione è quel nuovo cinema indie americano di cui a lungo abbiamo parlato e di cui Payne è un calzante esempio. Temi un tempo appannaggio di un cinema distante dall’Industria, ora passato dall’altra parte della barricata. Questo passaggio inThe Way Way Back – che uscirà a dicembre in Italia con il titolo di C’era Una Volta Un’Estate – è ancora più chiaro ed esasperato che in Paradiso Amaro. La storia è questa: Duncan è un ragazzo di quattordici anni, estremamente timido con una situazione famigliare piuttosto difficile. Sua madre, Toni Colette, s’è da poco fidanzata dopo un matrimonio finito male, con Steve Carell, il quale si porta appresso una figlia di rara stupidità e cattiveria. L’allegra combriccola decide di passare le vacanze estive insieme in quel di Cape Cod. Dopo all’incirca trentaquattro secondi di film, capiamo che il povero Duncan non si diverte moltissimo: egli è infatti depresso. Viene preso in giro dalle amiche della sorellastra, viene insultato ripetutamente dal patrigno (che si fa pure beccare a tradire “mammà”), la madre non lo capisce, la vicina di casa alcolizzata lo costringe ad uscire con il figlio strabico. Le uniche vie di salvezza per Duncan sembrano essere la figlia della vicina di casa coetanea, che capiamo essere intelligente oltre che bella perché in spiaggia, invece di guardare il proprio fidanzato giocare a football americano, legge un libro. Ma la vera svolta è l’amicizia che si viene a creare tra Duncan e Owen (Sam Rockwell), quarantenne immaturo e simpaticissimo che gestisce un parco acquatico. Quelli pieni di scivoli e piscine, dove basta mettere due filtri e un rallentì e si hanno sottomano una serie di sequenze stranianti e sognanti che da sole fanno metà del film. Duncan rimane affascinato di Owen e del suo stile di vita distante da quello dei suoi genitori e finisce per scappare di casa per andare a lavorare al parco acquatico. Qui finalmente, circondato da gente che non vede l’ora di fare battute o faccette buffe in continuazione, Duncan potrà essere finalmente se stesso, emanciparsi, crescere, diventare un uomo, trovare l’amore, salvare la madre da una vita di tradimenti e infelicità, capire che l’amicizia vera va al di là di qualsiasi convenzione estetica, ballare scatenato, bere una birra, trovare/capire l’amore, eccetera, eccetera. The Way Way Back è un film incredibilmente irritante, che risulta finto e scontato fin dalle prime sequenze. Tutto, dalla colonna sonora agli attori passando per la sceneggiatura e la fotografia, è appositamente esagerato, esasperato per creare quel senso di simpatica inadeguatezza al mondo tipica del “nuovo” cinema indipendente americano. Non è un caso che per questo film si sia ricreata la coppia Toni Colette e Steve Carelle che non vedevamo insieme dal principale colpevole di questo filone, ovvero l’insopportabile Little Miss Sunshine. Almeno all’epoca eravamo nel 2006. Sette anni dopo un film del genere semplicemente non ha ragione di esistere.

Va molto meglio con The Kings of Summer, opera prima del produttore, sceneggiatore e regista Jordan Vogt-Roberts. Il ragazzo viene da quella cosa per noi totalmente aliena che è la televisione comica statunitense. Canali come Comedy Central o Funny or Die: comicità tagliente, scorretta e spesso surreale. Nel frattempo ha diretto qualche cortometraggio, come il sorprendente e dolentissimo Successful Alcoholics ed è finalmente arrivato al suo primo vero e proprio lungometraggio. La storia è questa: due ragazzi sui 15 anni, Joe e Patrick, sono estremamente frustrati e infelici dalla loro vita familiare. il primo vive da solo con l’asfissiante padre (Nick Offerman, ovvero il gigantesco Ron Swanson di Parks & Recreation), dopo la morte della madre. Il secondo semplicemente non sopporta i genitori, che gli rendono la vita impossibile e gli danno addirittura degli sfoghi cutanei dal nervoso. Insieme al loro stranissimo e misterioso coetaneo Biaggio (un’incredibile interpretazione da parte di Moises Arias), i tre si trasferiscono a vivere nella foresta. Trovano un posto lontano da tutti, si costruiscono una casa e cominciano semplicemente a vivere secondo le loro regole. Non sentono più alcun legame con la società che fino a quel momento li ha ospitati; non devono più rendere conto a chi li obbligava a comportarsi in un certo modo, diventano i padroni del loro piccolo mondo e passano la giornata giocando ed esplorando la Natura. Ovviamente la situazione idilliaca non potrà durare in eterno e di mezzo ci si mette anche l’amore ma come sappiamo tutti i regni, anche i migliori, sono destinati alla fine.

The Kings of Summer è un film effettivamente capace di rielaborare gran parte dello stile cinematografiche a cui i 90 secondi di youtube o di vimeo ci hanno abituati, ma allo stesso tempo riesce a inserirlo in un lungometraggio di 90 minuti

Il trailer del film è montato con una serie di frasi tratte da alcune recensioni. Una di queste, presa dal sito firstshowing.net a firma di Alex Billington dice: «The perfect film for the youtube generation. And i meant that in a good way». In italiano la frase suona più o meno così: «Il film perfetto per la generazione di youtube. Inteso in senso buono». Non si tratta di una di quelle frasi che siamo abituati a leggere sulla nostra stampa, dove la distanza tra chi scrive e l’internet sta tutta nell’insistenza con cui i tweet vengono chiamati “cinguettii”. The Kings of Summer è un film effettivamente capace di rielaborare gran parte dello stile cinematografiche a cui i 90 secondi di Youtube o di Vimeo ci hanno abituati, ma allo stesso tempo riesce a inserirlo in un lungometraggio di 90 minuti. Gli esasperati rallentì girati a un altissimo numero di fotogrammi per secondo o le sequenze sognanti in controluce, non sono una stanca riproposizione di luoghi comuni ma diventano qui lo sguardo dell’adolescenza sul mondo. Certo, ogni tanto forse in questo senso si esagera e il film non è privo di difetti, ma lo scopo del regista è quello di farci riassaporare ancora una volta quell’innocenza e quello stupore nei confronti del mondo che avevamo verso i quindici anni. E che qualcuno di noi forse conserva ancora. Un film toccante, divertente ed emozionante. Esattamente come dovrebbero essere i film di questo genere. Ovviamente non si parla di un’uscita italiana per cui recuperatelo in ogni modo possibile.

 

Immagine: una scena di The Kings of Summer (Cbs Film, 2013)