Attualità

Presidente Clooney. What else?

Composto un pezzo dopo l'altro il puzzle della sua Sacra Famiglia Americana, l'ultima star-galantuomo è pronta a rendere di nuovo cool la Casa Bianca.

di Mattia Carzaniga

Washington D.C., un venerdì di fine gennaio 2021. Tira un vento freddo sul Campidoglio, ma così tanta gente nelle strade non si era vista mai. Il tappeto rosso e blu è steso, le bandiere sono elettriche, la banda borbotta le sue marcette stanche. Seduta in prima fila c’è Anna Wintour. Subito dietro Joel e Ethan Coen. Ecco Steven Spielberg. Meryl. Brad, con la nuova moglie Scarlett, chiacchiera con Leonardo. Le popstar hanno fatto a gara per cantare l’inno nazionale, l’ha spuntata Lady Gaga: a febbraio 2019 ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista per È nata una stella di Bradley Cooper. Le telecamere inquadrano il corridoio all’interno del palazzone bianco, l’ultimo miglio. La First Lady, cappottino rosso fragola, tiene i gemelli per mano. Fa il suo ingresso sulla scena. Un boato: «Amal!». Dopo un istante tocca a lui. Si vede solo la nuca. Il passo sicuro. Il 46esimo presidente degli Stati Uniti va a fare il suo discorso.

George Clooney sta davvero studiando per aggiungere questa scena madre al suo curriculum da attore, regista, produttore più figo di tutti? Chi lo sa, noi certamente lo pensiamo da un pezzo. È già tutto scritto, non c’è cosa più certa (lo si diceva anche di Hillary Clinton presidente numero 45, si capisce). I gemellini Ella e Alexander, praticamente un sequel del capolavoro di Bergman, hanno dato il colpo di grazia a chi ancora immaginava Mark Zuckerberg nella prossima tornata presidenziale. Barack e Michelle – e il fotografo di corte Pete Souza, soprattutto – ci hanno fin troppo viziati con i balli, gli abbracci, i tacchini del Ringraziamento che sembravano bellissimi pure loro. Finché era scapolo, George era solo un sogno spezzato. Adesso, composto un pezzo dopo l’altro il puzzle della Sacra Famiglia Americana, è tutto ciò di cui il mondo – messo in ginocchio dall’anti-fotogenico Trump – ha bisogno.

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Il Clooney Impact è del resto ineguagliabile, nello star system internazionale. È l’unico divo capace di far dimenticare i passi falsi, di produrre una sorta di rimozione collettiva del passato. Nessuno ricorda più che è stato un Batman stupidissimo (era il 1997): il povero Ben Affleck – che pure è altrettanto stimato e oscarizzato come attore, regista, produttore e sceneggiatore – non si leverà mai più di dosso la faccia triste comparsa da che si è messo la tutina da pipistrello. Nessuno riesuma i suoi fidanzamenti impossibili, persino noi terzo mondo abbiamo cancellato dalla memoria la nostranissima Elisabetta Canalis: altro che First Lady, lei fu eliminata dal Ballando con le stelle americano alla seconda puntata, se non ricordo male. Nessuno si occupa più delle voci di omosessualità: secondo le solite fonti vicinissime alla star, Clooney avrebbe avuto almeno 57 fidanzati comaschi. Nessuno sbeffeggia gli spot del caffè: se ogni collega famoso, non appena arriva in Italia a reclamizzare le scatolette di tonno o la fibra ottica, viene preso per il culo all’istante, il suo «what else?» è ormai entrato stabilmente nel lessico famigliare. È la sindrome Lost in Translation al contrario: anche come testimonial delle cialde dell’espresso George sa essere un figo senza pari.

Il primo ricordo del Clooney passato è E.R. – Medici in prima linea, ma quella mica era tv per casalinghe: quello è stato l’inizio della serialità moderna, del binge-watching senza vergogna, della “tv che è meglio del cinema”. George è stato lungimirante con la televisione, figurarsi quello che può fare con la politica. Lui non ha mai detto di no, nicchia, lascia che gli opinionisti da rotocalco si rifacciano al dna famigliare: il papà giornalista fu candidato (e però sconfitto) al Congresso in Kentucky, ovviamente nelle fila del Partito democratico. Il figliolo non conferma né smentisce l’eventuale discesa in campo: da superstar dell’ultima generazione di divi pre-Instagram, sa che i sogni del pubblico vanno sì alimentati, ma senza concedere indizi.

George Clooney Addresses National Press Club On Darfur

Nel frattempo, tra una nobile causa liberal e una moglie che sicuro farà una maternità velocissima per tornare a interrogare tutti gli Assange del mondo sui banchi dei tribunali internazionali, fa finta che il suo interesse prioritario sia ancora quello a cui ci ha abituati: il Cinema. Con tutta probabilità il 30 agosto aprirà la 74esima Mostra di Venezia col suo nuovo film da regista, Suburbicon, nel cast Matt Damon, Julianne Moore e Oscar Isaac. Per iniziare la sua campagna elettorale, va nel luogo che più di tutti l’ha celebrato come Autore. Al Lido si è preso i primi applausi col gran debutto Good Night, and Good Luck. Sempre lì ha portato Le idi di marzo, il film che raccontava – guarda un po’ – quanto è difficile fare la buona politica (copyright Walter Veltroni). È bello immaginare il futuro presidente George come un super-sindaco d’America: se le feste di Obama alla Casa Bianca erano il save the date della stagione, provate a pensare alle sue. Già si prevedono i titoli scemi: «No President, no party». Perché Clooney è anche quella roba lì. È il gruppone di amici fraterni, il maiale Max (R.I.P.) nel giardino di casa, l’uomo che ama le donne ma tenendole alla giusta distanza. È l’ultimo galantuomo dell’era moderna, ma in fondo anche il più medio dei maschi americani. Anche questo è un requisito da presidente perfetto. Nessuno vuole un commander in chief in odore di hipsterismo: quanto potrebbero durare le ciabatte Adidas di Zuckerberg nella curva positiva dei sondaggi?

Il quadro è pronto, ora bisogna solo che diventi vero. Pete Souza, richiamato all’ordine dopo i quattro anni più bui della fotografia di Stato, si siede sul prato della Casa Bianca. «Ella! Alex! Smettetela di correre! Venite qui!», urla mamma Amal. George è sotto il portico, sta finendo una telefonata. Lancia un sorriso verso il set, annuisce come per dire: «Un momento, arrivo». Congeda il primo ministro italiano Alessandro Di Battista alzando gli occhi al cielo, si avvia verso la sua famiglia. La famiglia di tutti. La Sacra Famiglia Americana. L’effetto Clooney è una calamita pure per i figli, che si ricompongono in un attimo. La posa non va nemmeno studiata, con tutte quelle copertine di Esquire degli anni passati. Il fotografo della nuova Camelot fa un segno per aria con le dita: «Guardate qua!». Clic. In quello scatto c’è tutto quello di cui il mondo ha bisogno. What else?

Immagini Getty Images