Attualità

Frieze Art Fair 2012

Report dalla capitale inglese per il decimo compleanno di Frieze, la fiera d'arte contemporanea che quest'anno "raddoppia" con Frieze Masters

di Sara Dolfi Agostini

Due candeline sulla torta non bastavano a Frieze per celebrare il raggiungimento, con successo, del suo decimo anno di vita. Ci voleva qualcosa di grandioso, inedito e sfrontato. E così da una costola della fiera più all’avanguardia del panorama artistico internazionale è nata Frieze Masters, che abbraccia idealmente tutta la storia dell’arte e mostra come ogni coraggioso conseguimento nella proposizione di un canone artistico sia stato sì dirompente ma anche complementare a ciò che andava sostituendo. Quest’anno, dunque, le fiere sono due, situate nel verde di Regent’s Park a dieci minuti di distanza a piedi l’una dall’altra e collegate da un comodo minibus.

Frieze London, così è stata rinominata la sezione dedicata al contemporaneo dopo il lancio di Frieze New York la scorsa primavera, presenta 175 gallerie e il premio per il migliore stand lo ha dato a Vitamin Creative Space, una galleria con sede a Canton in Cina. Inoltre, in aggiunta alla sezione “Galleries” che accoglie espositori affermati come Gagosian e Mattthew Marks, e a “Frame” che è una selezione di gallerie con mostre personali di artisti emergenti a cura di Rodrigo Moura e Tim Saltarelli, quest’anno ha proposto anche “Focus”, che ospita una rosa di gallerie create dopo il 2001 con non più di tre artisti. Ed è proprio qui che si trovano le proposte emergenti più interessanti, tra gli stand di Plan B, Ancient Modern, Raeber Von Stenglin e Raster Gallery. Per quanto riguarda i nomi più affermati, invece, da Lisson ci sono due nuove produzioni scultoree di Anish Kapoor, attualmente in mostra alla sede londinese della galleria, e anche opere di Julian Opie, Ryan Gander e Haroon Mirza; lo stand di Standard è invaso dal padiglione in legno costruito da Oscar Tuazon per la piazza di Basilea nel 2010, mentre quello di Casey Kaplan ospita una personale di Geoffrey Farmer, visto qualche mese fa a dOCUMENTA13 con una scultura fatta di ritagli che occupava tutta l’ala della Neue Galerie.

Durante la visita quest’anno non sfuggono gli eclettici “art projects”, cinque interventi artistici site-specific a cura della Frieze Foundation e selezionati da Sarah McCrory. Tre di questi, in particolare, trasformano l’esperienza del visitatore in qualcosa di simile ad un rito iniziatico. Il primo, in ordine, è situato come di consueto nel lungo corridoio che collega Regent’s Park al candido tendone bianco di Frieze London, sempre presidiato da uomini e donne di nero vestiti, impettiti e seri. Thomas Bayrle lo ha rivestito di un tessuto pop bicolore che ha un effetto spaesante. Tra i corridoi, poi, la monotona geometria degli stand è stata spezzata dall’intervento architettonico di Grizedale Arts / Yangjiang Group, che tra due giganti come Whitecube e Werner hanno costruito una bizzarra struttura in legno che emana caos e odori gustosi. Loro affermano che si sono ispirati al Colosseo e a un padiglione da cricket: ci vuole un po’ di fantasia a vederceli, comunque all’interno si mangia, si discute e si assiste a performance. All’uscita di Frieze, infine, la fila di transenne che riconduce ordinatamente alla strada si apre su un triangolo di prato dove l’artista Joanna Rajkowska si dimena ogni giorno in danze sciamaniche affinché il terreno origini tenui esalazioni di fumi e incensi, metafore dei pensieri dei visitatori.

Nonostante il buio autunnale di Londra aggiunga un ulteriore elemento di misticismo a questa performance, quest’anno è però nella nuova sezione storica di Frieze, Masters, che lo spirituale dell’arte incontra il suo lato più commerciale. Tra spazi ariosi ed eleganti allestimenti, si alternano stand devoti all’opera di un artista e presentazioni collettive che con discrezione attraversano luoghi e culture in un intrigante dialogo fuori dal tempo. Nel corridoio all’estrema sinistra del padiglione, ad esempio, a pochi passi dalle preziose pale d’altare e le imperturbabili madonne con bambino trecentesche portate dal giovane gallerista italiano Fabrizio Moretti, ci sono le tormentate fotografie e sculture di Thomas Schutte selezionate da Faggionato, che ha voluto approfittare della visibilità dell’artista in mostra alla Serpentine Gallery dal 25 settembre. Di fronte ad una serafica nobildonna ritratta dal pittore della Belle Époque Giovanni Boldini nello stand di Robilant + Voena c’è poi, da Hauser and Wirth, una straordinaria antropometria di Yves Klein in cui il corpo della donna, nudo e intinto nel colore blu, ha lasciato tracce così leggere da indurre a pensare al sovrannaturale.

Alcuni galleristi situati al centro del padiglione hanno preferito offrire gli spazi dello stand alla personalità di un artista del Novecento e anche in questo caso la selezione è di altissimo livello qualitativo. Tra questi spiccano Thomas Gibson, che ha portato Alberto Giacometti; Gagosian, che ha proposto una mostra della celebre serie “American West” del fotografo Richard Avedon; infine, Bruce Silverstein, che ha scelto le fotografie ancora poco conosciute di Constantin Brancusi, che investigava con l’occhio meccanico del suo apparecchio il modo in cui la luce si rifletteva sulle superfici delle sue essenziali sculture di marmo e bronzo. Masters è, insomma, un tuffo nella storia dell’arte, quella che merita di essere conosciuta o riscoperta e da cui non si può prescindere per affrontare i paradigmi estetici del nostro contemporaneo. Per sperimentare la verità di questo assioma è sufficiente entrare nello stand del gallerista di Anversa Axel Vervoordt, il raffinato curatore della trilogia di mostre realizzate a Palazzo Fortuny a Venezia dal 2007 al 2011 e dedicate al rapporto tra l’arte e il tempo. Il percorso si apre con un’intima riflessione sul tema dell’identità attraverso sette autoritratti di Roman Opalka giustapposti a volti e busti del periodo ellenistico e prosegue con uno sguardo sul mondo con una sequenza di opere figurative e astratte che spaziano dall’antichità agli anni ’70 del Novecento. Come dice una rivelatrice scritta al neon dell’artista italiano Maurizio Nannucci: “all art has been contemporary”.