Attualità

L’unico amore vero è quello interessato

Cos'è amare se non l'essere disposti a perdere tutto? Storie di giovani donne cadute in disgrazia quando lui invecchia, da Arcore a Versailles.

di Anna Momigliano

Da qualche tempo a questa parte, non riesco a non interessarmi al destino di Francesca Pascale. Corre voce tra i maldicenti che sia stata allontanata da Arcore. Lei, giovane compagna del re in declino, c’era al compleanno di Silvio, a festeggiare quei «quattro volte venti», così, detti alla francese, arrivati dopo un’operazione che ha segnato un ridimensionamento della vita pubblica di lui. Un brusio diffuso riferisce però di un repulisti in corso, di figli che vogliono liberare Silvio dal turbinio di cortigiani, adesso che l’età si fa sentire: «Si è spezzato il cosiddetto cerchio magico allacciato di comune accordo dalla fidanzata Francesca Pascale e da Maria Rosaria Rossi, ex “badante”. La sola figura femminile di riferimento sopravvissuta è Deborah Bergamini», scrive Alessandro Giuli su IL. Fonti ufficiali negano vigorosamente che l’epurazione riguardi in prima persona la favorita, ma intanto Dagospia si domanda, con la consueta malizia: «Che fine avrà fatto, visto che ad Arcore nessuno l’ha più vista? Ah, saperlo. Marina Berlusconi nell’impacchettamento non la batte nessuno». E ancora: «Dudù sembra sia stato sfrattato al seguito di Francesca Pascale».

Ciò che m’interessa, quello che tocca qualche corda, non è la veridicità di questi pettegolezzi, bensì una domanda antica che evocano. Che ne è della giovane amante di un uomo potente, quando per lui la notte s’avvicina? Che cosa ti resta, quando il sole della cui luce riflessa risplendi comincia a invecchiare e s’ammala? Quando gli appetiti si fanno sentire meno, e se si fanno sentire sono meno appagabili, quando la salute lo abbandona, la forza di volontà vacilla e figli e ciambellani tutto d’un tratto contano più di te? Esiste un altro destino se non essere “impacchettata”? Nel suo bell’articolo intitolato “La destra dopo Berlusconi”, Giuli suggerisce un accostamento a Camelot, paragonando Silvio a una «versione profana d’un “re ferito” in attesa di un cavaliere chiamato a restaurare il reame», ma in questa storia c’è anche molto di Versailles.

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Luigi XV, successore del Re Sole a sua volta succeduto da quel Luigi XVI che fu ghigliottinato, contrasse il vaiolo nel 1774. La malattia del re, ormai prossimo alla tarda età, portò alla caduta in disgrazia della sua favorita, la temutissima contessa Du Barry, particolarmente invisa a Maria Antonietta: finché il sovrano era stato in buona salute, da questa rivalità tra prime donne era sempre uscita vincitrice la contessa, ma con l’arrivo del morbo la situazione si capovolse rapidamente, fino a portare alla sua cacciata nel giro di pochi giorni. La sua improvvisa rovina è raccontata brevemente nel film Maria Antonietta di Sofia Coppola: Luigi XV scrive dal letto di morte una lettera, «carissima Du Barry, sono malato e devo fare ciò che è giusto, sappiate che nutro per voi i sentimenti d’amicizia più sincera», Asia Argento viene scortata a una carrozza nel cuore della notte, il re domanda di lei a un servitore e, quando questi gli risponde «se n’è andata come ordinato», scoppia in lacrime. La vicenda è narrata anche in una puntata di Lady Oscar (il film del 2006 è overrated, per contro i cartoni giapponesi andrebbero rivalutati): non appena Luigi cade infermo, la cortigiana cerca alleati, ma persino gli amici di vecchia data non la ricevono, così s’accosta al capezzale di lui, occhi febbricitanti, «maestà, dovete guarire, senza di voi sono perduta». Gli resta accanto fino alla fine, mentre i delfini attendono il potere in un’altra ala della reggia. Sei la donna del capo, tutti ti temono e ti rispettano; poi lui si ammala e i figli, i ciambellani, i segretari ti allontanano; allora fai le valigie, sali su una carrozza con un mantello viola indosso, finisce tutto in un soffio. Hai sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, perché non sei altro se non la donna del capo: che è moltissimo, ma anche assai poco.

Se brilli di luce riflessa, allora l’assunto è che la vostra storia sia insincera. Ma è così vero?

Si dice spesso un gran male delle giovani amanti degli uomini potenti. A furia di ripeterlo, ci siamo convinti che dove c’è interesse non c’è amore, e che dove non c’è amore c’è una relazione putrida. Già su questo ci sarebbe da ridire, perché implica dimenticare che, in quell’angolo remoto del nostro subconscio dove originano i sentimenti, il confine tra passione e interesse è più labile di quanto non piacerebbe pensare. In modo ancora più gesuitico, poi, ci siamo convinti che la sincerità di una relazione dipende dalla parità tra le parti coinvolte, quasi a scongiurare che esista un tornaconto. Viviamo in un’epoca ossessionata dall’eguaglianza, dove l’indipendenza è un valore incontestato anche nelle relazioni di coppia: se devi tutto ciò che sei al tuo compagno, se senza di lui rischi di perdere tutto, se brilli di luce riflessa, se cioè sei tutto quello che ci si aspetta dalla giovane amante di un uomo potente, allora l’assunto è che la vostra storia sia insincera. Eppure che cos’è l’amore – è banale, lo so, ma non per questo è meno vero – se non l’essere disposti a perdere tutto? Se è così, c’è qualcosa che non torna nella nostra fissazione per l’autonomia e la mancanza di secondi fini.

L’impressione è che, perlomeno quando si parla di relazioni romantiche, il disinteresse sia sopravvalutato. Perché se volere bene significa concedersi senza rete di protezione, mettersi nelle mani dell’altro, rendersi vulnerabili al suo potere, allora poche storie parlano d’amore quanto quella della giovane amante di un uomo potente, pronta a cadere in disgrazia non appena per lui la fine s’avvicina. Cos’aveva da perdere Ginevra? La vita, certo, con il tradimento, ma assai poco con la vecchiaia di lui. Se Artù, come il padre di Parsifaal, fosse diventato un re ferito, la sua regina avrebbe avuto un’intera schiera di cavalieri a difenderla. La contessa Du Barry invece da perdere aveva tutto. Si racconta che quando Luigi cadde da cavallo, prima avvisaglia del morbo, gli abbia sussurrato nell’orecchio: «Ho soltanto voi, per me voi siete il sole».

Immagini Andreas Solaro, Alberto Pizzoli/Afp/Getty Images