Attualità

Farnesina party people

Cronaca di una festa al Circolo del Ministero degli Esteri, già presieduto da Galeazzo Ciano e ancora dotato di palazzina fascista e Piscina Storica. Presunte ambasciatrici serbe, sale lettura con opera omnia di Bruno Vespa e la crème della diplomazia romana.

di Michele Masneri

Agli ambasciatori non piace più Roma. Lo dice una ricerca fatta fare al Censis dalla Fondazione Roma Europea e presentata al Circolo del Ministero degli Affari Esteri sul Tevere, a bordo piscina, una sera dei primi di luglio.
Subito si approfitta per tornare in un luogo sinistramente mitico delle nostre post adolescenze universitarie – si era tentato il concorso alla Farnesina, si era stati giustamente bocciati, si era rimasti tutto sommato sollevati per non dover trascorrere la vita tra quei diplomatici tanto vagheggiati ma poi alla prova dei fatti poco scintillanti, con biglietti da visita fatti alle macchinette, snobismi esagerati per diarie povere quando non in missione, e frenesie accumulatorie di cognomi nobiliari finti e “De” trasformati in “de”, e i più tipici “il casato non è antico ma lo sarà presto”; compagni di concorso figli di dinastie anche importanti vestiti sempre fuori luogo a causa di sfasamenti temporali: seguendo mandati paterni quadriennali in destinazioni esotiche, dunque sempre alla moda di quattro o otto o dodici anni prima. (E poi le mogli e mamme ambasciatrici col male di vivere alcolico).

La volpe e l’uva, certo, anche. Però il Circolo Mae, stretto tra il sontuoso Aniene, vero Bilderberg romano con le sue cifre dorate su fondo blu, e il circolo “Dipendenti Ministero Difesa”, con cartello «zona militare-military zone», aveva già prodotto sensazioni di straniamento, con quelle architetture balneari e quegli interni da ufficio di Boss Hogg o saloon. Oggi, tutto ristrutturato. Dunque da vedere. Si telefona al centralino del circolo, aperto, come da ragione sociale, «ai membri del Corpo Diplomatico accreditati presso il Quirinale, la Santa Sede e gli Organismi Internazionali con sede in Roma, ai funzionari dei predetti Organismi a cui sia stato riconosciuto lo status diplomatico», dunque luogo d’eleganze da Congresso di Vienna, ma come al solito ecco in agguato la delusione incorporata nel Grande Raccordo Anulare, con una voce stentorea, molto locale, che dice «aho, io so’ er guardiano, nun so gnente, richiami tra mezz’ora». Dopo mezz’ora, un altro guardiano più urbano e informato sui fatti, a precisare che l’evento sarà alle 20, «accanto alla piscina storica». Si va dunque a questa piscina storica, si passa dai Parioli misterici e si scende giù per il lungotevere dell’Acqua acetosa, dove le mappe di Google si confondono sempre; e di fronte a un famoso bowling.

A bordo piscina storica già molti doppiopetti, molte scollature, molte anche scottature già da Fregene e Maccarese.

Si scende una rampa carrabile, evitando diverse Audi con stickers Audi Zentrum-Varese, si va giù nel trionfo di oleandri, si passa un vialetto con ufficie stampa emaciate e aria grande-borghese, ed ecco le prime signore con chignon spagnoleschi e chewing-gum che si dirigono verso la «piscina storica». Saranno ambasciatrici. A bordo piscina storica già molti doppiopetti, molte scollature, molte anche scottature già da Fregene e Maccarese. Sono però quasi tutti romani ad ascoltare il presidente di questa Fondazione Roma Europea, Cesare San Mauro, e insomma questa ricerca spiega cosa pensano di Roma i diplomatici stranieri. Pensano: questa città mi ha molto deluso. Il 62% giudica il traffico peggiore che nella propria città di origine, il 78% reputa le occasioni di lavoro peggiori che nella città di origine, mentre sull’essere «a misura d’uomo» il 56% ritiene Roma in linea con le proprie aspettative – aspettative che si presumono quindi pessime. Su «cosa mancherà di più di Roma» il 66% ha risposto arte e bellezza, il 21% il carattere dei romani, il 13% il clima. Forse non c’era bisogno di chiamare il Censis.

Tutti questi dati vengono letti infatti molto in fretta, accanto a un tendone con buffet, con degli ambasciatori forse importantissimi ma che non riconosco, tranne un signore con chioma candida e giacca di lino, molto omaggiato da ambasciatori e ambasciatrici: è il paparazzo Umberto Pizzi, che mangia scaglie di parmigiano dal buffet, e non si sogna neanche di rimanere alla cena seduta che invece è organizzata in otto tavoli, ognuno con un cartello della nazionalità degli ambasciatori. Il primo è «SVEZIA» scritto in Times new roman maiuscolo; però seduti al tavolo della SVEZIA c’è la signora con vestaglietta fiorata e capelli corvini e chewing-gum che si era incontrata sul viale della piscina storica sotto gli oleandri, e poi molto baciata al buffet da tutti, e si pensa a qualche discendente di casati diplomatici ispanico-svedesi, invece (forse portatissima per le lingue) parla romano stretto con una sua amica, bionda, con gli occhiali.

Poi c’è un tavolo della Serbia, e anche lì non si trova il vero ambasciatore. C’è invece una signora bionda molto elegante a cui tutti chiedono in italiano: ma l’ambasciatore? Noi conoscevamo quello di prima, chi è quello nuovo, chi è, perché non è qui? – lei non capisce bene, farfuglia delle domande ma a nessuno viene in mente di domandarglielo in inglese, smettono proprio di parlarle a un certo punto (intanto un trio di ragazze molto scollate e ustionate che stavano appollaiate a fumare in un tavolino di ferro accanto alla Piscina Storica, vanno al tavolo della Svezia, si fanno dei selfie ripetutamente cercando di inquadrare la Piscina Storica. L’ambasciatrice svedese-romanesca non ci fa caso e continua a parlare con la sua amica).

La piscina storica insieme al suo circolo è stata fondata nel ’37 da Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e genero del Duce, ragazzo sfortunato, e incredibilmente poco sfruttato in sceneggiature e/o fiction. La piscina storica, venticinque metri, tutto un rivestimento azzurrino di mosaico Bisazza, con trampolino d’epoca per tuffi coreografati da Istituto Luce, è da poco ristrutturata, transennata, un robottino sta risucchiando sporcizie sul fondo. È stata disegnata insieme alla palazzina a tre piani del Circolo dell’architetto molto fascista già dal nome Florestano Di Fausto, specializzato in architetture marittime in Libia oltre che autore della centrale del latte di Pescara e della villa di Beniamino Gigli a Recanati. Giusto Puri-Purini, famiglia di ambasciatori-architetti romani, scrive sul suo blog: «Quella del Circolo fu architettura dell’entertainment, del tempo libero, come già si era espressa nei vivaci stabilimenti balneari sul litorale di Ostia, in tanti altri luoghi del mare italiano, e in altri luoghi, esotici e lontani: le colonie».

La sensazione in effetti è quella d’essere in Versilia o a Punta Ala: entro nella palazzina, e qui niente più atmosfera da saloon, tutto invece un parquet chiaro e poltrone di pelle, molto sala Freccia Alata, con arie condizionate pungenti. Al piano terra, “Il caffè”, annuncia una scritta, e dentro, una sagoma di jazzista negro con tromba, illuminata al neon, a ringiovanire l’ambiente, tipo casa di Renzo Arbore. C’è anche il listino prezzi, economico: primi piatti, 4 euro, secondi di carne, 5 (ci sono anche le mezze porzioni); Falanghina mezzo litro, 10 euro. C’è una bacheca con i prossimi eventi: si ricorda che la cerimonia funebre di una certa ambasciatrice si svolgerà il 3 giugno presso la chiesa di Santa Maria in Traspontina; poi invece, per tirarsi su, una Serata di beneficenza – Cena di gala con musiche latinoamericane dirette dal Maestro Carlos Anaya, sotto il patrocinio dell’Associazione Consorti Dipendenti Mae (Acdmae) e sotto, stampato, un quadretto di Botero con una coppia grassa che balla; dei fasti della grande e famosa collezione d’arte della Farnesina qui non c’è traccia, invece grande apparato di bronzi disseminati nella palazzina e nel giardino; tante opere di tale Carin Grudda, scultrice tedesca, si apprende, forse allieva di Botero, lo stesso realismo magico animalesco e sovrappeso, tra cui un “Blau Miau”, specie di animalone mitologico mezzo gatto e mezzo cane, e un joker, sempre opera di Grudda, enorme, pesantissimo, anche questo di bronzo.

Una targa ottonata ricorda i presidenti del Circolo: Galeazzo Ciano conte di Cortellazzo (1937-1943), poi molti nomi storici della diplomazia: Francesco Malfatti (1965-1970), Boris Biancheri (1995-1998), e poi i Vattani: Umberto (1999-2011) e il fratello Alessandro (dal 2011 a oggi). I due Vattani intanto stanno parlando, fuori, parla soprattutto Umberto, ras della diplomazia romana, già presidente dell’Ice, già segretario generale della Farnesina (due volte, unico caso nella storia della Repubblica), papà del famoso console rockettaro nostalgico. Il più importante dei Vattani parla per ultimo e siccome è un politico pragmatico romano e sono già le venti e trenta, punta sull’effetto-annuncio: «in occasione del semestre europeo, sono felice di comunicarvi che tutti gli ambasciatori e le loro famiglie potranno usufruire gratuitamente di tutti gli impianti del Circolo per sei mesi». Tutti si fanno due conti: è un bel risparmio, anche se l’estate romana per ora non è stata molto afosa, e qui di ambasciatori non ce ne sono molti, ci sono piuttosto dei chirurghi e dei giudici romani, e parlano tutti in italiano, di accenti stranieri a parte la presunta ambasciatrice serba non se ne sentono.

La moglie di Vattani continua a dire, a tutti: «che bella serata, che bella serata», forse in preda ad automatismi. Si sentono dei «ma ci siamo già visti! sicuramente all’Aniene!» (il circolo confinante, di cui qui si subisce forse qualche complesso).

Comunque l’ingresso per gli esterni costa 25 euro al giorno nei feriali, e 30 nei festivi – comprese le tre piscine, quella «per acquagym, quella rotonda» e naturalmente «quella storica» (per diventare soci invece bisogna essere presentati, forse con le consuete palle bianche e palle nere come nei club che si rispettano).
I Vattani non vorrebbero rimanere a cena, hanno già un impegno «ma preso tanto tempo fa», poi arriva Margherita Boniver, la Sharon Stone della diplomazia italiana, tutta etnica, fichissima, e forse ci ripensano, e vanno a omaggiarla. Lei si mette a parlare di Iran. La moglie di Vattani continua a dire, a tutti: «che bella serata, che bella serata», forse in preda ad automatismi. Si sentono dei «ma ci siamo già visti! sicuramente all’Aniene!» (il circolo confinante, di cui qui si subisce forse qualche complesso). Altre dame si incrociano tra la segnaletica dei tavoli: «Andate alla Spagna?»; «No, noi siamo alla Svizzera!». Nell’aria, molti profumi un po’ anni Novanta, tipo Acqua di Giò. Una hostess mi chiede se non voglio accomodarmi al tavolo 8, quello in fondo verso il giardino, il tavolo degli apolidi, senza cartello e senza nazionalità; ma no, grazie, salgo invece su al primo piano della palazzina, dove un cartello annuncia una Sala di lettura: e qui, altro cartello, è consentita una «tenuta informale-giacca o cardigan senza cravatta» ma «non sono ammesse tute sportive», e qui altra delusione, si pensa subito ad ambasciatori sudati in acrilico.

Sotto, sempre al bar, un modellino in scala dell’Amerigo Vespucci, dono e costruzione «dell’ambasciatore Stefano Benazzo, 1999». Ancora su, si apprende che la Sala Lettura è intitolata a “Mino delle Site”, che si scopre essere protagonista leccese della “Aeropittura futurista”, assai apprezzato negli anni Trenta; alle pareti, solo opere sue, dunque biplani e triplani e idrovolanti in quantità, e titoli come Sintesi di virata; e Autoscafo/Aerocorsa; Il pilota/Ali-Luce, tutti con cartellino, e insomma si è tra Italo Balbo e lo showroom Telemarket.

Però si è attratti soprattutto dalla biblioteca: cosa leggeranno mai questi ambasciatori in cardigan? ecco: l’opera omnia di Bruno Vespa; poi, in ordine alfabetico, accanto a un gran libro-strenna sul Barocco, testi di Bakunin; poi molta Fallaci; un libro di Giancarlo Elia Valori: Geopolitica del cibo; poi, a sorpresa, Woody Allen, Effetti collaterali. Poi, come un’apparizione, filologico, Kaputt di Malaparte, in edizione nuova Adelphi. E qui, impossibile non pensare a quei diversi banchetti d’ambasciatori romani: il capitolo già geniale dalla titolazione, “Golf Handicaps”, con tutti i gossip e i chiacchiericci tra principi e arrampicatrici sociali, il nostro Preghiere Esaudite a chilometri zero, sempre tanto sottovalutato. Con Ciano, first genero simpatico e spaccone, la cui «corte giovanile era piuttosto facile e generosa: era la corte di un principe vanitoso e capriccioso, nella quale non si entrava che per favor di donne, e non se ne usciva che per sfavore del principe». Con tutta l’ascesa sociale balzachiana di Isabelle Colonna, con le battute della principessa Jane di San Faustino, cioè poi la nonna di Gianni Agnelli. Con le americane ricche che hanno sposato i principi romani coi buffi. Con lord Perth che con gli ambasciatori sfotte l’accento inglese di Mussolini. Al golf dell’Acquasanta, mentre stavano per cadere le bombe; qua invece siamo all’Acqua Acetosa, molto più su, davanti al bowling. Per gli ambasciatori moderni Roma (33%) è al di sotto delle aspettative; li ha molto delusi.

Il robottino della piscina storica intanto continua ad aspirare, silenzioso.

 

Nell’immagine, “Kaufman House” di Slim Aarons