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L’uomo duplicato, ancora

Due corpi, due persone, due vite identiche in una città vuota. Denis Villeneuve torna con Enemy, film in cui parte dal capolavoro di Josè Saramago per andare nel Surrealismo.

di Federico Bernocchi

Uno dei film più interessanti della passata stagione, almeno per chi scrive, è stato sicuramente Prisoners. Per chi non l’avesse visto, si tratta del primo film americano diretto dal regista e sceneggiatore canadese Denis Villeneuve, già noto ai più attenti per una serie di bizzarri film di genere girati in patria e accolti con successo di pubblico e critica. Film come Maelström del 2000 o Polytechnique del 2009, ma soprattutto Incendies, che nel 2010 s’è guadagnato una nomination come miglior film straniero agli Oscar. Dopo una lunga e proficua gavetta, Villeneuve è riuscito ad approdare a una grossa produzione americana e ha realizzato per l’appunto Prisoners, un film estremamente personale e coraggiosamente anti spettacolare. In più di due ore e mezza viene raccontata l’ossessione di un genitore, interpretato da Hugh Jackman, che cerca con tutti i mezzi possibili, spesso i più violenti, di estorcere una confessione ad un inquietantissimo Paul Dano, quello che lui sospetta essere l’assassino di sua figlia. Mentre tutti coloro che gravitano attorno a gli affetti famigliari di Jackman finiscono nella sua spirale di paranoia e pazzia, un detective con il volto di Jake Gyllenhaal tenta di scoprire la verità.

Lo spettatore finisce per essere più interessato a quello che accade alle persone coinvolte nel caso piuttosto che alla “soluzione”. Il famoso Whodunit, quel meccanismo narrativo che sta alla base del giallo deduttivo, va dunque a perdere di significato

Il film, per atmosfere, per ritmo e per l’approccio che ha alla narrativa noir, ricorda in parte il miglior film in cui c’è stata data la possibilità di vedere in azione il talento del bellissimo Gyllenhaal, ovvero Zodiac, diretto nel 2007 da David Fincher. In entrambi i film lo spettatore finisce per essere più interessato a quello che accade alle persone coinvolte nel caso piuttosto che alla “soluzione”. Il famoso Whodunit, quel meccanismo narrativo che sta alla base del giallo deduttivo, va dunque a perdere di significato. Forzando leggermente la mano, si può dire che tutte e due le pellicole raccontino di come un fatto di sangue possa cambiare radicalmente le vite di alcune persone, portandole a scoprire lati fino a quel momento nascosti della loro personalità. Certo, nel caso del film di Fincher si ha a che fare con la Storia (si indaga sul famoso killer dello zodiaco che terrorizzò la West Coast alla fine degli anni ’60), ma le cose fondamentalmente non cambiano. ZodiacPrisoners sono due titoli con fortissimi similitudini tematiche, ma altrettanto evidenti differenze produttive. Se il primo sembra essere una pausa autoriale per un regista famoso, che usciva da un film come Panic Room e che poi sarebbe approdato a quel pasticcio che è Il Curioso Caso di Benjamin Button, il secondo titolo segna l’affacciarsi di un regista “da festival” a un circuito fino ad allora più grande di lui. Per renderla nel modo più semplice possibile, Prisoners è il film commerciale di Villenueve. Ed è anche per questo motivo che nessuno poteva prevedere un seguito più inquietante e coraggioso di Enemy.

Enemy, presentato in anteprima al Toronto Film Festival e avvistato in questi ultimi mesi in altre manifestazioni cinematografiche, è tratto da L’uomo duplicato di José Saramago, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2004 con il titolo di The Double. La storia è questa: Jake Gyllenhaal questa volta è un triste professore universitario di Storia. Una sera, sotto consiglio di un suo collega, affitta un film. Guardandolo nota un attore che è esattamente identico a lui. Angosciato, ma al tempo stesso intrigato dalla coincidenza, decide di mettersi sulle tracce del suo doppelgänger. Una volta che i due entrano in contatto, le loro vite, le loro storie personali e i rapporti con le rispettive donne (Mélanie Laurent e Sarah Gadon), si andranno inevitabilmente a sgretolare. Il film si apre con una citazione dal libro di Saramago, «Chaos is order yet undeciphered», traducibile come «Il caos è un ordine non ancora decifrato». La frase in questione sembra fare riferimento a un conferenza del 1920 del filosofo francese Henri-Louis Bergson. In quel caso si diceva: «Il disordine è semplicemente l’ordine che noi non cerchiamo». Il film di Villeneuve sembra prendere ispirazione proprio da qui.

Quello che sembra interessare al regista, che per questa volta s’è affidato allo sceneggiatore spagnolo Javier Gullón, è la creazione di un film che richiami alla memoria i quadri del Surrealismo

Da una parte il testo letterario di partenza, dall’altra le teorie dell’autore di Materia e Memoria. Come già in Prisoners, pur utilizzando una struttura cinematografica almeno nelle premesse apparentemente canonica, Villeneuve deraglia poi progressivamente verso l’astrazione. Da un certo punto in avanti Enemy si fa via via più sfuggente, risultando un oggetto cinematografico frustrante e interessante al tempo stesso. Viene rispettato il testo originale (pur con qualche inevitabile differenza), si strizza l’occhio ai tanti film che abbiamo visto nella nostra vita di spettatori sul tema, ma poi si spinge in un’altra direzione. Quello che sembra interessare al regista, che per questa volta s’è affidato allo sceneggiatore spagnolo Javier Gullón, è la creazione di un film che richiami alla memoria i quadri del Surrealismo. Non ci sembra dunque un caso che la locandina richiami lo Slenderman, opera creata nel 2004 da Victor Surge, nom de plume adottato da Eric Knudsen nel forum del sito Something Awful. Un terrorizzante uomo altissimo, vestito con abito elegante, con il volto privo di qualsiasi lineamento, protagonista di una serie di videogiochi e meme sparsi in Rete. Una figura inquietante e spaventosa, a sua volta rielaborazione dei più famosi dipinti di Magritte.

E ancora: è proprio a questo pittore e al Surrealismo in generale che molti critici hanno successivamente applicato la sopracitata frase di Bergson. Enemy mira altissimo e decide di giocare in questo campionato. Si parla dunque della concretezza di due corpi uguali in tutto e per tutto, fino alla più piccola cicatrice, per perdersi poi nell’immaterialità di una città come quella di Montréal, vista come insieme caotico di enormi palazzi, che sembrano essere vuoti quanto splendenti involucri. Anzi, come fintamente rassicuranti bozzoli, da cui prima o poi spunteranno orribili ragni giganti.

 

Immagine: una scena di Enemy