Attualità

È che mi disegnano così

Chuck Testa: riflessione sull'utilità del Nope, o del perché i meme sono più studiati di quanto sembri

di Violetta Bellocchio

Tra le ricchezze più sottovalutate della lingua inglese c’è la negazione nope. E’ per quando non basta il semplice “no”, e deve scattare il “proprio no”. La cosa che direste se aveste in braccio una carcassa di cervo e qualcuno la scambiasse per un animale vivo grazie alla vostra competenza in materia di tassidermia.

Per fare trentuno, poi, potreste aggiungere il vostro nome e cognome. Così:

«Ehi, guarda, c’è un’antilope che guida una macchina.»

«NooopeIt’s just Chuck Testa

Questo spot è finito su Reddit, è stato visto milioni di volte. Piace a tutti. E quindi, dopo cinque secondi di abbraccio collettivo, sono emersi i primi dubbi. Ma no, dai, è una parodiaNon può essere reale.

La verità sta più o meno nel mezzo. Il signor Chuck Testa esiste davvero, fa davvero il tassidermista, e lo potete davvero trovare all’opera nel suo laboratorio della Ojai Valley. Ma lo spot era stato concepito e prodotto all’interno di uno show televisivo, Commercial Kings. L’obiettivo: prendere piccole aziende locali, offrire loro una campagna pubblicitaria volutamente povera e sopra le righe, e vedere cosa succede. Se la gloria virale è toccata a Chuck Testa invece che ad altri, è merito della sua estrema semplicità come personaggio. Per trasformarlo in un costume da Halloween non servono più di tre minuti, e il suo motto non ha bisogno di un contesto per essere apprezzato o per trasmetterti qualcosa. (Tupac Shakur è uscito dalla tomba? Nooope. E Gesù Cristo? Nooope.)

Ciò non toglie che Chuck Testa sia stato – in una certa misura – disegnato così. Mentre il signor Jack Rebney, più noto come Winnebago Man o come Angriest Man in the World, non era stato ritoccato in nessun modo. Quello che vedevi era un collage di scene tagliate, ma  davanti a te c’era soltanto un uomo preso in una gran brutta giornata, che non stava recitando la parte del buffone o dell’esaurito. (E che non immaginava di diventare un fenomeno, tra l’altro: il documentario del 2009 dedicato a Rebney fa un ottimo lavoro nello spiegare il perché lui non avesse corteggiato la fama, e fino a quale punto ne fosse consapevole.)

Ecco, in questo la relativa fortuna dell’operazione Commercial Kings è un buon esempio del passaggio del tempo. La maggior parte dei meme di oggi nascono da materiale semi-lavorato: indecisioni, smorfie, entusiasmi eccessivi o parole sbagliate, ma sempre forniti da chi sa benissimo di essere fotografato o filmato in quel determinato momento. Che sia un professionista o un privato cittadino, un civileAntoine Dodson aveva calcato i toni durante l’intervista televisiva che molti di noi ripetono a memoria nel sonno (e cantano, grazie a Auto-Tune the News) perché considerava quell’intervista l’unico modo di attirare l’attenzione su un fatto grave, l’aggressione alla sorella Kelly, che la polizia della sua città non stava prendendo sul serio. Ci è riuscito? No. Ma un minuto in primo piano ha prodotto frasi citate da chiunque, dovunque. La versione popolare di Charlie Sheen. Tornando un attimo indietro, c’era già stato The Spirit of Truth, il tele-predicatore che insultava il suo pubblico, risorto anni dopo la limitatissima esposizione grazie a una serie di spezzoni caricati su YouTube; come i monologhi di Sheen, mantiene intatta la sua carica disturbante perché tu sai di stare davanti a una persona poco lucida, ma passi il tempo a chiederti se per caso non sia tutta una finzione più elaborata del solito. (No.)

L’altra faccia della medaglia sono i video per pochi intimi che diventano pubblici, ma non si possono definire “rubati” o “ritrovati”. Così come l’industria dei sex tape deve giocare sull’elemento “attenzione: immagine non autorizzata” per vendere qualcosa, e i protagonisti devono dichiarare la loro non-complicità e parlare (giustamente) di diritto alla privacy, e tu devi dare la colpa alla società se l’autoscatto dove consideri con malinconia le tue tette diventa il mio salva-schermo, e ogni tanto lo lascio partire apposta per tenere viva la fiamma: la performance è comunque rivolta all’obiettivo. I tuoi occhi stanno guardando verso di me. Tanto basta. Oggetto di derisione globale la scorsa primavera, la cantante tredicenne Rebecca Black aveva girato un videoclip che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere guardato dai soli addetti ai lavori e dagli amici personali. A lanciarla, con tutte le virgolette del caso: The Daily What, in un segmento intitolato Dov’è il vostro Dio adesso?, dopo un mese che il video era online e non se lo filava nessuno. Cos’ha innescato l’amore-odio? La relativa legnosità di Rebecca, la bruttezza della canzone. Non tanto peggio di quello che avrebbe fatto chiunque a quell’età. Non peggio della musica che oggi potete produrre con Songify, campionando l’audio di un servizio televisivo. (Ovviamente c’è una varietà di brani dedicati a Chuck Testa, ma il leader carismatico della categoria è il tizio appena scampato a un incidente stradale che riassume l’esperienza con la frase «Reality Hits You Hard, Bro».)

In effetti, i meme sono i nuovi cantanti da un successo solo. La celebrità non ha alcun impatto significativo sulla situazione economica del protagonista, il pubblico è naturalmente distratto e volubile, l’oggetto può riemergere se diventa un evergreen da discoteca o se viene remixato con qualcosa di nuovo da qualcuno che non era lì al momento giusto. Ma godiamoci il lato positivo: gli ultimi tre mesi del 2011 sono diventati la finestra di tempo in cui è accettabile rispondere nooope a qualsiasi domanda, e farlo con orgoglio. Vuoi un panino? Nooope. Il gatto è vivo? Nooope. Mi stai ascoltando? Nooope. Tu non ti arrendi mai, vero? Nooope.

La massa critica non si raggiunge con un solo esempio, però. Qui è intervenuto un altro nooope, emerso da tutt’altro contesto, ma con le stesse conseguenze e una motivazione scatenante abbastanza simile. Ne parliamo la prossima settimana.