Attualità

Diversamente ricchi

La rappresentazione iconica, economica e industriale dell'Italia negli ultimi due grandi film "sui ricchi": Il Capitale Umano e The Wolf of Wall Street.

di Michele Masneri

Nella settimana dei film sui ricchi, tra Il Capitale Umano di Paolo Virzì e The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese (nelle sale dal 17 gennaio), parallelismi e connessioni su un’Italia anni Ottanta ormai remota e su attualità impresentabili rimosse.

Nel “Lupo” italoamericano di Scorsese-Di Caprio, molte citazioni del primo Wall Street di Oliver Stone (1987), dove si celebrava una italianità anche tecnologica, con ruoli fondamentali per una Pastamatic allora status symbol internazionale dell’elettrodomestico bianco, progenitore di nespressi, con un Charlie Sheen-Bud Fox che impastava e apriva scatole di Pomì sulle arie di un Rigoletto («questa o quella per me pari sono»); qui invece, in questo Lupo, anche uno yacht ormeggiato a Portofino proprio sotto la villa Altachiara Agusta, ma l’elicottero di bordo non più Agusta bensì modesto e autarchico Bell, forse per questioni di appalti Finmeccanica-Casa Bianca.

Però scelte invece automobilistiche sofisticate italiane, ma solo vintage: non ci si sognerebbe di mettere Cinquecento (pur testimoniata in spot americani da Charlie Sheen, oggi), invece trionfo di italian style anni Settanta e Ottanta, con una Ferrari Testarossa, «bianca come Don Johnson in Miami Vice», e una Lamborghini Countach, mitologica anni Ottanta, disegnata da Marcello Gandini, con naming anglofono ma radice in piemontese stretto che significa “stupendo” e secondo la leggenda espressione filologica di stupore del carrozziere Nuccio Bertone alla vista del prototipo. Lo stesso produttore Bertone poi della magnifica Alfa Romeo Gt Veloce 2000 con cui Pasolini esplorava periferie, e oggi pezzo migliore e molto ready made del riallestimento in mostra in questi giorni al romano museo Maxxi, in copia conforme con fari e quadro inquietanti accesi, opera di Elisabetta Benassi (mentre ci si chiede se oggi PPP con le attuali Alfa in produzione avrebbe lo stesso successo presso i pischelli).

Moralismi da Quattroruote, anche: il Suv customizzato del rampollo simil-trota, con cui si compiono investimenti colposi e alcolici, in quanto veicolo del Male è straniero.

Che anni, quelli, per la macchina italiana, comunque; ma non si ripesca niente invece di questo capitale motoristico nel Capitale Umano; qui per product placement aggressivo Fiat, nessun ripescaggio o astuta citazione, nemmeno un Duetto osso di seppia come nel vanziniano Sapore di te; invece produzione automobilistica italoamericana di serie. Una Maserati Quattroporte, più da presidenza della Repubblica dolente e ottuagenaria che da nordovest aggressivo-isterico, e addirittura una Lancia Thema vittima del co-branding transatlantico, cioè poi la solita Chrysler 300 che ha mandato in depressione i lancisti, son la flotta improbabile del Bernaschi-Gifuni finanziere spietato di Virzì. Scelte poco congrue in una Padania che tra le sue poche certezze conserva quella dell’Auto Tedesca; e poi berline sempre scure, più da congresso Dc all’hotel Ergife che non da animal spirits del tondino e dell’hedge fund (e Gifuni sembra sempre De Gasperi anche quando fa il Madoff di Ornate).

Moralismi da Quattroruote, anche: il Suv customizzato del rampollo simil-trota, con cui si compiono investimenti colposi e alcolici, in quanto veicolo del Male è invece straniero: ma incredibilmente né Audi né Porsche né Bmw. Quindi sul piano reale irricevibile per un qualunque Trota ad alto reddito: il quale Trota poi invece che aspirare cocaina come tutti tutto il tempo in The Wolf, annusa con trasporto i sedili in pelle del suo fuoristrada cheap, come se fosse figlio del magutt che ce l’ha fatta e non del meglio Wolf della macroregione. Mah.

Nel film americano, dunque, tormentoni forse più frivoli però attuali e mainstream: «Non voglio morire sobrio», dice Leonardo Di Caprio alias Jordan Belfort, chiedendo il suo ennesimo Quaalude.

Da prendere anche con le cosiddette molle l’entusiasmo registico italiano per l’immobiliare; in The Wolf c’è naturalmente l’ascensione catastale della coppia protagonista ma memori della crisi dei subprime si sorvola abbastanza su prezzi e metri quadri, a differenza del Wall Street originario in cui si spiegavano al popolo le strade e i quartieri giusti dove abitare («cos’ha l’Upper West da offrire? Sean Penn e Madonna?»). Nel Capitale Umano invece non solo il tormentone già classico «avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto»; ma soprattutto «case e bare non posson mancare», detto da Fabrizio Bentivoglio alias l’immobiliarista Dino Ossola, con entusiasmi esagerati per il real estate anche da parte di banche non informate che finanziano un Roberto Carlino ad alto profilo di rischio, come se si fosse nei ruggenti anni Ottanta o Duemila, e non in un presente immobiliare di Imu e Tares, con cali di rogiti e “tutti vendesi e affittasi”, alla Battisti.

Nel film americano, dunque, tormentoni forse più frivoli però attuali e mainstream: «Non voglio morire sobrio», dice Leonardo Di Caprio alias Jordan Belfort, chiedendo il suo ennesimo Quaalude, mentre il comprimario Jonah Hill – Donnie Azoff chiede sinceramente: «Come fate a divertirvi senza essere completamente strafatti?».

E sarà un caso ma poi si riemerge dal film italiano riflessivo con nuovi bisogni di Xanax, mentre dal Lupo drogatissimo e catartico si va a letto abbastanza soddisfatti per le cene eleganti visionate e la coca e le banconote (forse poi grazie anche a altre italianità vintage e immaginarie, le sole presentabili oggi e esportabili: nel mezzo di un naufragio tra Portofino e Monaco – dove si poteva invece usare l’elicottero – addirittura tutto un musical con marinaretti italiani, e la gloriosa Gloria di Umberto Tozzi a palla, mentre e a casa, nel frattempo, su Rai 1, c’è lo stesso Tozzi in persona, che canta sempre Gloria in diretta sulla prima tv nazionale. Anno di incisione, 1979).

 

Nell’immagine, una scena da Il Capitale Umano