Attualità

Dinosauri dappertutto

Apparsi sui libri di scienza, non se ne sono mai andati: i dinosauri dalle leggende della tradizione cristiana al 20° anniversario di Jurassic Park.

di Davide Coppo

Il miglior inizio per questo articolo, sfortunatamente, l’ha già scritto W.J.T. Mitchell, professore della University of Chicago nel dipartimento di letteratura inglese e storia dell’arte. Tuttavia, essendo un ottimo pretesto per parlare di dinosauri nel 2013, lo riporterò. Il libro in questione è The last dinosaur book, un saggio sulla presenza costante dei dinosauri nella cultura pop, letteratura, cinematografia, advertising, del ventesimo secolo. Dice, in poche parole: immaginate un futuro lontano, un futuro in cui la Terra non è più abitata dalla razza umana, e una spedizione di vita aliena che vi atterrasse e cercasse di ricostruire, tramite le informazioni che ci siamo lasciati dietro nella nostra storia, il nostro aspetto, le nostre abitudini, il nostro tipo di società. Probabilmente troverebbero ai dinosauri un ruolo assolutamente centrale nella nostra storia, proprio a causa della loro sovrabbondante presenza in quasi tutte le nostre narrazioni degli ultimi secoli. Quindi, la domanda: perché i dinosauri sono ovunque?

(Il secondo ottimo pretesto per parlare di dinosauri nel 2013 è questo: il filmJurassic Park, firmato Steven Spielberg, ha compiuto quest’anno 20 anni ed è uscito nei cinema e in Blu-ray in una versione restaurata in 3D. E ci sono pochi dubbi sul fatto che sia la più influente e affascinante dino-narrazione di sempre).

Il termine “Dinosauria” vide la luce nel 1842 grazie a Richard Owen, primo direttore del British Museum

Il primo contatto tra la razza umana e i dinosauri risale al 1677, ed è parte di un aneddoto piuttosto divertente: accadde che Robert Plot, primo direttore dell’Oxford Ashmolean Museum, nel suo Natural History of Oxfordshiredescrisse e illustrò un frammento di femore probabilmente di un Megalosaurus. Il frammento di femore era, nello specifico, la parte finale dell’osso, dove l’estremità si biforca a formare la caratteristica forma che rassomiglia quella di due sfere quasi attaccate l’una con l’altra, e Plot, comprensibilmente ignorante in materia di dinosauri (parola allora inesistente sia come significato che come significante) gli diede il nome scientifico di Scrotum humanum: l’aveva scambiato per un paio di testicoli fossili. Passarono 165 anni prima che il termine “Dinosauria” vide la luce, in seguito a molte e molto importanti e continue scoperte di fossili, ossa e interi scheletri, e il merito dell’invenzione, nel 1842, è di Richard Owen, amico personale della Regina Vittoria, primo direttore del British Museum e l’uomo a cui più dobbiamo dire grazie per aver portato i dinosauri dove sono adesso, cioè nei film, nella letteratura, in televisione, nella conversazione da bar, e via dicendo. Insieme all’artista Benjamin Waterhouse Hawkins creò le prime sculture e modelli di dinosauri, un Iguanodon e un Megalosaurus, fondamentali per la creazione di un’immagine condivisa dall’umanità (almeno occidentale), e rappresentarono i dinosauri come delle specie di grossi rinoceronti corazzati e ungulati ma mammiferi, distaccandosi dall’immagine ottocentesca dell’enorme lucertola rettile e avvicinandosi alla concezione bipede del dinosauro.

A guardarlo oggi, il mostro di Crystal Palace (fu esposto a Londra nel 1853, e si può ancora vedere a Hyde Park oggi) ricorda una creatura di Maurice Sendak più che un parente di un T-Rex di Jurassic Park, e il cambiamento che l’anatomia dei dinosauri ha subito negli ultimi 150 anni dice molto del rapporto ambivalente che la razza umana ha da sempre con questi esseri ibridi che hanno occupato il pianeta terra per cento milioni di anni (che è un dato che fa impallidire se paragonato con i 200.000 anni di umanità). Da un lato, si è calcolato, ci sono forse più immagini e feticci di dinosauri nel ventesimo secolo di quanti esseri in carne e ossa siano mai apparsi sulla Terra – vale a dire che la nostra civiltà è completamente invasa da dinosauri. Dall’altro, nessun paleontologo può affermare con certezza come fosse fatto e come funzionasse un dinosauro: semplicemente non ne abbiamo mai visto uno, non sappiamo se fosse a sangue caldo o freddo, colorato o verde o marrone, non sappiamo se vivesse con altri o da solo. Non sappiamo nemmeno se il T-Rex fosse un predatore attivo o si cibasse di carcasse. Forse la nostra fascinazione deriva da questa dicotomia: le storie che creiamo sono sintomi della nostra incapacità di spiegare i dinosauri.

La rivoluzione di Jurassic Park è stata enorme, nell’estetica e nella rappresentazione fisica dei dinosauri

Gli errori e le incongruenze nelle narrazioni dei dinosauri nell’ultimo secolo e oltre sono molti, a volte voluti e a volte figli della nostra inevitabile ignoranza a riguardo. Una costante, ad esempio, è la coabitazione di esseri umani e dinosauri, stratagemma necessario per avere una trama classica, buoni contro cattivi, su cui costruire la narrazione. Questa coabitazione è, ovviamente, un falso. José Luis Sanz, professore di Paleontologia all’Universidad Autonoma de Madrid, nel libro Starring T. Rex! Dinosaur mythology and popular culture elenca sei topos che si sono susseguiti per spiegare la coabitazione di uomini e dinosauri: il primo, e più abusato e famoso, è quello del mondo perduto, divenuto celebre grazie a The Lost World di Conan Doyle (1912), ma presente anche in King Kong (che combatte con una sorta di Tyrannosaurus, nel primo film del 1933), e spesso utilizzato come metafora di un luogo proibito e dannato, una sorta di Eden rovesciato – e dannati, simboli del Male, sono anche i dinosauri – che può soltanto generare distruzione se un suo mostruoso abitante viene catturato e trasportato nel mondo civilizzato. Nel film The valley of Gwangi del 1969, l’Allosaurus Gwangi viene catturato da due cowboy e mostrato al pubblico, prima di scappare e seminare terrore e finire la sua corsa e la sua vita in una cattedrale, dove viene divorato da fiamme purificatrici. C’è il topos del dinosauro congelato, reso pop dalle scoperte paleontologiche di mastodonti e mammuth nei ghiacci siberiani, risvegliato da test atomici che fanno sciogliere la trappola dei ghiacci, ed è un topos simile, nell’utilizzo della minaccia nucleare, a quello dei “dinosauri dal futuro”: in film come The Drowned World (1962) un’Europa del 21° secolo diventa scenario di un nuovo Triassico a causa delle radiazioni solari sempre più potenti, e la Legge dell’Irreversibilità dell’Evoluzione (enunciata dal paleobiologo Louis Dollo: un organismo estinto in natura non riapparirà più) è aggirata e buggerata. C’è il viaggio nel tempo, in cui il protagonista o i protagonisti viaggiano nel Mesozoico o Giurassico, e ci sono i dinosauri che da altri pianeti arrivano sulla Terra (alla base anche di Pacific Rim di Guillermo Del Toro), e c’è il fortunato filone popolarizzato prima da Michael Crichton nel 1990 e poi da Steven Spielberg nel 1993 con Jurassic Park: quello scientifico, in cui la scienza e la clonazione riportano in vita le creature estinte, con forti richiami alle attività del dottor Frankenstein di Mary Wollstonecraft Shelley.

La rivoluzione di Jurassic Park è stata enorme, nell’estetica e nella rappresentazione fisica dei dinosauri e insieme nell’immagine comportamentale che ha presentato di loro. Ha dato una grande spinta a popolarizzare la nuova concezione di dinosauro come antenato degli attuali volatili (per quanto riguarda i bipedi), e soprattutto ha presentato i protagonisti resuscitati nel parco di John Hammond come esseri intelligenti e agili. La presunta stupidità e lentezza dei dinosauri, legate alla loro dimensione pachidermica, è stata uno dei miti più diffusi nella coscienza popolare. José Luis Sanz lo fa discendere da alcune convinzioni errate o erroneamente interpretate, come la ridotta dimensione del cervello rispetto alla grande massa corporea, e la tradizionale idea (archetipo) che lega il gigantismo alla mancanza di astuzia (do you remember Nessuno?).

Parlando di archetipi, arriviamo al rapporto tra i draghi e i “moderni” dinosauri, che è un rapporto certamente esistente, ma complicato e antropologicamente non del tutto chiarito. In Cina, da tempi immemori, la farmacia tradizionale fa grande uso di denti di drago (long chi) e ossa di drago (long gu), un uso che dura ancora oggi, pur con una maschera diversa da quella ancestrale (le ossa vendute appartengono solitamente a mammiferi fossilizzati e risalenti al Miocene, trovati in scavi di caverne del nordovest del paese). La provincia del Sichuan, inoltre, è celebre per essere uno dei siti più ricchi di fossili di dinosauri: una delle teorie vuole che gli antichi long chilong gu fossero davvero appartenenti a dinosauri (ovviamente fossili), ma non possiamo provarlo. E anche il mito europeo del drago, molto legato alla cristianità (e il pregiudizio già citato del dinosauro come leviatano dannato deriva da queste reminiscenze), aveva a che fare con le caverne: nelle caverne, tradizionalmente, i draghi vivevano, un mondo sotterraneo fatto di labirinti e tunnel, e il conflitto con gli umani deflagrava quando un drago appariva in superficie. Il collegamento con i dinosauri sembra immediato, allora: non tanto perché anche questi vivessero nel sottosuolo, ma perché i loro resti fossili lì si trovano, a causa della sedimentazione e del passaggio dei secoli e dei millenni.

Come si sono estinti i draghi nella mitologia popolare, infine, si estingueranno forse anche i dinosauri, la loro centralità nella cultura popolare occidentale e le loro immagini. W.J.T. Mitchell, in The last dinosaur book, analizza la fortuna del culto che alcuni hanno denominato “dinomania” (parentesi: negli anni Settanta la paleontologia parla di un accesissimo interesse del mondo verso i dinosauri, chiamato “Dinosaur Renaissance”) e la sua futura e forse inevitabile parabola discendente. Se, come già detto poco sopra, possiamo ipotizzare che lo straordinario fascino che l’uomo ha verso il mondo dei dinosauri sia derivante da una sete di conoscenza e di scienza su un mondo davvero perduto, allora possiamo allo stesso modo ipotizzare che il definitivo svelamento di ombre, che in un futuro (forse, o probabilmente) avverrà, toglierà qualsiasi tipo di interesse. Forse verrà a cadere anche l’uso della parola “dinosauro” in quanto, come alcuni paleontologi già contestano, il suo significato è fuorviante e retaggio di conoscenze scientifiche superate (viene da deinossauria, significa terribile lucertola), e allora la dinosaurologia verrà rimpiazzata da una semplice paleo-ornitologia. Stephen Jay Gould, uno dei più importanti divulgatori scientifici di sempre, scomparso nel 2002, disse che sarebbe stata l’eccessiva commercializzazione dell’immagine del dinosauro a causare una “seconda estinzione”: troppa familiarità uguale mancanza di mistero. Ma le teorie più recenti sembrano andare – ancora e per il momento – nella direzione opposta, con il fascino del misterioso (e le nostre incerte conoscenze) ancora intatto come un secolo fa: quella dei dinosauri con le piume, ad esempio, l’avete sentita?

 

Dal numero 16 di Studio
Immagine tratta da Calvin&Hobbes, di Bill Watterson. Video tratti da Jurassic Park, 1993.