Attualità

Dentro La Zanzara

Gli ascoltatori bistrattati, i politici, gli scherzi. Una retrospettiva sul più famoso programma radiofonico e una chiacchierata col suo protagonista.

di Francesco Caldarola

cruciana

Sull’armadio in redazione, ben visibile, è appeso un fax. È la lettera di uno studio legale: «Attraverso l’Associazione Lombarda dei Giornalisti si sono rivolti a questo studio i membri del comitato di redazione di Radio 24 – Il Sole 24 Ore, nei cui confronti Lei (maiuscolo, sic) ha rivolto espressioni offensive (.) accusandoli di romperle i coglioni, di attaccarla per cose ridicole, spesso patetiche, in merito alle quali Lei se ne fotte» e avanti così. «Lei», per la cronaca, è Giuseppe Cruciani, giornalista, radiostar, inventore e conduttore de “La Zanzara”, quel programma che si sente sempre nei taxi prima di cena e dove, di norma, i politici che vi partecipano come ospiti tendono a “suicidarsi” (o a essere suicidati) con dichiarazioni aberranti. Ma il dettaglio che da solo racconta il personaggio e tutto quello che fa, è che sotto al fax è appeso un altro foglio con su disegnata una medaglia in formato A4, come a dire, se non proprio un dannunziano “me ne frego”, almeno un più prosaico “e sticazzi”. Di episodi di questo tipo è costellato l’universo della Zanzara (che oramai sui giornali si scrive senza neanche più le virgolette: dove l’ha detto? L’ha detto alla Zanzara) che Cruciani conduce tutti i giorni proprio su Radio 24 con il supporto di David Parenzo, una coppia inverosimile che negli ultimi anni è diventata prima cult e poi mainstream, sino ad assurgere al ruolo – incontrastato, in radio – di must, con tutto quello che il termine, odioso in sé, comporta: ascolti record, critiche feroci, ammiratori entusiasti, aperture sui giornali e casini di ogni genere. Uno dei più recenti ha irritato persino il Quirinale: fingendosi l’astrofisica Margherita Hack, un imitatore assai capace (Andro Merku) ha chiamato al telefono il professor Valerio Onida, Presidente emerito della Corte Costituzionale (in quel momento uno dei dieci “saggi” scelti da Giorgio Napolitano per provare a uscire dalle sabbie mobili delle elezioni dello scorso febbraio), e gli ha fatto dire quello che molti pensavano ma che nessuno osava esplicitare, tantomeno uno dei protagonisti, e cioè che i suddetti “saggi” servivano ben a poco e altre amenità. Il resto è cronaca, con fazioni di pro e contro, dibattito sui giornali e in tv, firme importanti che si scomodano per riflessioni, talvolta condivisibili, talaltra meno. E una scia di polemiche giunte, appunto, sino al cerchio magico del Presidente della Repubblica: «Dopo sono arrivate telefonate davvero di fuoco», ammette lo stesso Cruciani.

«Vedi», racconta, in un pomeriggio milanese, «io faccio ovviamente differenza tra le intercettazioni ordinate dalla magistratura e uno scherzo telefonico, capisco cosa passa tra il pubblicare le une o trasmettere l’altro. Però non posso neanche non rivendicare la libertà di scherzo: in Francia è venuto fuori un casino per una cosa simile con Marie Le Pen, ma poi è stato tutto archiviato. Quello che non puoi dire, come ha fatto Onida, è che si tratta di un’operazione politico-mediatica! Po-li-ti-co-me-di-a-ti-ca! Ma di cosa stiamo parlando, suvvia. Io comunque non ce l’ho con quel mondo lì, il mondo di Repubblica che mi ha attaccato: loro lo conoscono di persona, Onida, lo frequentano, capisco perché lo difendano. Ma è legittimo chiedersi perché tutto questo casino non sia scoppiato quando Parenzo imitava Bossi e sputtanava altri politici e altri giornalisti. Anzi, quando mettevamo alla berlina gli altri, quelli di sinistra poi chiamavano David e gli dicevano “bravo, bravi, così si fa”. Adesso invece siamo dei farabutti, vedi un po’ te».

 

Lo show

Quello che non tutti sanno è che invece, proprio nell’armadio con sopra attaccato il fax del Cdr, di cassette con altri scherzi ce ne sono parecchie, ma non sono state mandate in onda, né mai probabilmente lo saranno: «A volte perché sono riusciti male, a volte perché sarebbe solo sciacallaggio: il dubbio ce lo poniamo sempre, non è che siamo dei ricattatori, non li usiamo come arma. Ovviamente non siamo dei pazzi, quando vengono fuori delle cose private ci fermiamo e muore lì. Io faccio uno show, non il ricattatore».

«È vero, noi oramai facciamo il caravanserraglio, mettiamo dentro tutti: mostri, pazzoidi, persino la nostra vita privata»

Già, lo show: alla Zanzara è show tutto, è show sempre. E show tra Cruciani e Parenzo: quando il secondo manda un sms a cinque minuti dalla diretta «mi dispiace sono nel traffico, non riesco ad arrivare», Cruciani si infuria e gli dà a voce alta del «coglione», che «mi ha rotto il cazzo», solo che poi quello sbuca da dietro una scrivania dove si era appostato al grido di «amico mioooo», venendo mandato regolarmente a fare in culo da tutti. Oppure, quando, sempre Parenzo, inventa visite mediche in orari in cui gli studi sono chiusi, vacanze improbabili, impegni assurdi, che però diventano a loro volta show, perché Cruciani lo manda in onda sempre e comunque: dal torpedone mentre torna a casa chiedendogli di farsi passare gli altri passeggeri, dall’aeroporto dove molesta quelli in fila al banco del check in, dal treno dove incontra i volti dello spettacolo e del giornalismo e li interrompe con la scusa che «il direttorissimo Cruciani vorrebbe farti un salutino», senza fermarsi se quelli ne ignorano l’esistenza, anzi.

Ma è show, loro malgrado, anche in redazione, dove vivono sepolti i due assistenti del programma, Riccardo Poli e Laura Marchesi: la parola impossibile non esiste nel loro vocabolario e, chiamando con numeri nascosti, imitando voci, rintracciano tutto e tutti, dall’olgettina al ministro, leggono tutto, sanno tutto, si ricordano tutto. E in più stanno ore ad ascoltare in cuffia programmi tv del giorno prima, audio di siparietti, di video cazzoni di Youtube – come di conferenze dell’Arel, gli stessi che poi la sera vanno in onda commentati dai due conduttori.

Lo show, nel loro caso, è garantito dal rapporto con Cruciani: «Mettime l’audio de coso, llà», e loro, non si sa come, capiscono chi sia “coso” e, in una frazione di secondo eccolo in onda. Una regola, quella dello show per lo show, cui non sfuggono nemmeno gli amici: Oscar Giannino prima esaltato e poi bastonato, solo per fare un esempio, o gli scazzi infiniti (persino un allontanamento temporaneo voluto dai vertici della radio causa frasi infelici su Emma Marcegaglia) con Luca Telese, «che però resta un mio amico, nel bene e nel male».

«È vero, noi oramai facciamo il caravanserraglio, mettiamo dentro tutti: mostri, pazzoidi, persino la nostra vita privata, ma è tutto spontaneo, io a fare il vigile urbano che dirige gli interventi mi romperei i coglioni da morire, voglio la passione, lo stomaco. Mi chiamano e mi dicono “vaffanculo” e allora lo dico anch’io, se i politici le parolacce le dicono nel privato noi le diciamo anche in diretta, togliamo solo i veli. Poi forse è vero, con il cambio di rotta del programma magari ho perso per strada qualche intellettuale. Ma me ne fotto, perché per tre professori di meno ho guadagnato dieci tassisti e venti camionisti».

È inutile appellarsi alla privacy, ventilare il bon ton, perché per Cruciani il pubblico è quasi sempre privato, non c’è storia, non c’è discussione. «La Zanzara – ha scritto Marianna Rizzini in un bel pezzo apparso qualche tempo fa sul Foglio– non è propriamente un talk show politico né propriamente un programma di intrattenimento, è tutte e due le cose insieme e nessuna delle due cose al tempo stesso». «Io non voglio dare un contributo al mondo, mi diverte alzare o provare ad alzare sempre l’asticella, spostarla un po’ più in là. Pannella che si incazza con noi due e mi distrugge mezzo studio – ma davvero, ha cominciato a sbattere tutto – è stato uno dei picchi più alti». Così alti che poi è difficile: «Sì, è difficile, tanto. È difficile tornare indietro e infatti non ti nascondo che nei giorni successivi sono stato vittima di una sorta di depressione artistica».

 

Gli ascoltatori

Poi ci sono gli ascoltatori, linfa del programma, che – contrariamente al luogo comune (comune mica poi tanto) per cui si beccano sempre insulti – Cruciani tiene invece in massima considerazione. Chi non ha mai provato a intervenire durante la diretta ignora che la procedura non è affatto semplice: bisogna chiamare, farsi rispondere dalle centraliniste che – pazienti, vista la maggior parte dei soggetti – si annotano una sintesi dell’intervento. Poi queste sintesi passano in regia, dove viene valutata l’attinenza con i temi della puntata o l’efficacia delle cose espresse. Passato questo vaglio l’ascoltatore è richiamato e messo in attesa. Ecco, il punto è proprio questo: l’attesa. Perché tanti, ma davvero tanti, con spirito di sacrificio e quasi votivo, in attesa ci restano anche parecchio per poi, magari, sentirsi rispondere: «Senta, non ho capito niente, arrivederci». E via così.

Perché tanti, ma davvero tanti, con spirito di sacrificio e quasi votivo, in attesa ci restano parecchio

Non si può dire che esista una tipologia unica di ascoltatore della Zanzara, anche perché negli anni il programma si è modificato, e non di poco: chiama sempre il professionista intraprendente, lo studente protestatore, il pensionato che si è smarronato, la signora che guarda i talk show ma anche l’umanità più varia, che Cruciani ha un’abilità particolare a riconoscere e a far diventare, come si diceva, subito show. E così negli anni ecco “l’imbelvito” dalla Versilia («chiamate l’imbelvito, va, che facciamo un po’ di casino»), oppure un genio che – visto che le regole della radio prevedono che si possa fare un solo intervento al mese, per evitare mitomani – si era attivato più schede telefoniche e chiamava con nomi falsi («ma lei non è tizio da Padova! Lei è caio da Treviso, ha chiamato ieri, l’ho riconosciuta» e quello che in diretta getta la maschera e racconta tutto, per la gioia dei due al microfono e di chi ascolta).

Sempre alla Zanzara deve qualcosa, in termini di notorietà, anche Annarella, la vecchina che parla in dialetto romanesco e staziona davanti a Montecitorio, diventata ormai un po’ mascotte e un po’ tappabuchi di qualunque programma di informazione. Quando era ancora sconosciuta ai più, dalla Zanzara la notarono e Cruciani prese a fare appelli in diretta: «Ci chiami!» E quella un pomeriggio chiamò davvero al centralino: «So’ Annarella, chi me cerca?», salvo diventare poi anche lei parte dello show: «‘A Giusè, ar telefono co’ te n’ora ce starei, ma devo annà, appronto». Ultimamente, seguendo il trend più battagliero del programma (non a caso l’espressione “come lottiii” è un cult), si affacciano personaggi più, per così dire, complessi. Ecco Riccardo da Roma, un berlusconiano che appena prende la linea vomita insulti sul povero Parenzo, o il camionista Angelo da Bari, che parlando come Banfi insiste sempre su Parenzo che, chissà perché, soprattutto tra il pubblico avverso, si è costruito una fama che farebbe invidia a Cristiano Malgioglio. Una delle ultime “scoperte”, si fa per dire, è “Susy trans”, un vero transessuale della zona di Vasto, che dopo aver visto il conduttore in tv ha preso a chiamare raccontando tutto e anche di più, dove “di più” sono i servizi che offre, arrivando laddove la radio della Confindustria uno si immagina non potrebbe arrivare mai.

 

Politici e colleghi

Più che altro, ci si chiede, perché mai un politico dovrebbe accettare di farsi gratinare così, perché è matematico che se accetti (e infatti molti non lo fanno o non lo fanno più) il più delle volte non ne uscirai bene: «Mah, cosa vuoi che ti dica, alla fine però le conseguenze sono anche sempre relative, pensano sempre di cavarsela. Le conseguenze sono spesso per addetti ai lavori. A me per strada non chiedono conto di questa o quella dichiarazione politica: si ricordano invece sempre delle cose che li fanno indignare, dello stipendio alto, dello strafalcione». Nel cosiddetto ambiente dei colleghi, poi,ça va sans dire, appena incontrano Cruciani e Parenzo (quasi) tutti li accolgono con dei “mitici!!”, o con dei “grandii!”, e giù pacche sulle spalle e tutto un darsi di gomito cercando di ricordare il più velocemente possibile l’ultima malandrinata sentita per caso su un taxi: i due, tendenzialmente, se ne fregano, e offrono le spalle o ascoltano pazientemente l’aneddoto, sottostando alla terribile, ma a volte anche comoda, regola degli “amici di tutti.”

Ovviamente tutto ciò è anche arma potente: quasi tutti si prestano, sottostanno, e, anzi, sperano di essere chiamati per qualche minutino a fare da spalla, a dire una frase, a ghignare su questo o quello, sapendo di avere in onda con i due della Zanzara un uditorio amplissimo che difficilmente raggiungerebbero con i loro articoli, le loro opinioni da salotto del mattino tv, i loro libri che resistono sugli scaffali sì e no il tempo di una puntata del programma. E così è tutto un chiamare, un cinguettare su Twitter, un farsi sentire, un “mandare qualche idea”, un offrire letture e interpretazioni, che i due leggono e ascoltano sempre, ma che poi, con la freddezza del samurai, decidono se usare perché funzionali allo show o se cassare e buonanotte, anzi sticazzi. Eppure un’opinione, una presunta idea, e soprattutto un libro in uscita ce l’hanno (quasi) tutti: e così la scrivania di Cruciani è un’opera d’arte di equilibrio e polvere da quanti volumi dedicati “al mitico”, “al caro amico”, “al grande Giuseppe”, che al 99% nemmeno legge, perché lui, per sua ammissione (ma sarebbe meglio dire provocazione), non ama leggere.

Giuseppe e David

Questa del re degli ignoranti è una costante del programma e del conduttore, soprattutto all’inizio, quando, ad esempio, parlando con Pasquale Squitieri, Cruciani ammise (o millantò) di non aver mai visto Umberto D di De Sica, di non conoscerlo e tendenzialmente di fottersene. Così, per settimane, la redazione fu sommersa di dvd del film sceneggiato da Zavattini mandati dagli ascoltatori, con il quale loro andarono avanti per puntate e puntate, rispondendo citando a sfregio Oronzo Canà e la Bizona.Eppure non è così: perché Cruciani di libri ne ha scritti più di uno (quello sul caso Battisti è ricco e completo anche se a tesi) e soprattutto, ovviamente, non è un bifolco, essendo laureato, lui ex giovane romano right oriented, con una tesi, guarda un po’, su Sendero Luminoso.

«Ma prima di adesso non ero io (dove prima erano gli anni romani all’Indipendente, cronaca di Roma, il Minzolini del Campidoglio, e poi anche in Francia a Euronews), farei un falò delle cose di prima, solo adesso ho trovato la mia strada». Che è quella che l’ha portato ad essere considerato il Rush Limbaugh italiano, «anche se – ha detto una volta – il vero Limbaugh italiano è Giannino». Meno incline al giochino è invece Parenzo, più classico, più ampolloso, con le sue citazioni latine da liceo bene del nord est e probabilmente retaggio della tradizione giurisprudenziale di famiglia.Di scuola riformista Parenzo (che invece per buona parte degli ascoltatori è un comunista), apolide politicamente Cruciani: gli inizi a Radio Radicale (meriterebbe un pezzo a parte il suo racconto delle trasferte low cost dove condivideva la camera con Marco Pannella), poi il voto dato a quasi tutti di volta in volta: «Sì, alle ultime ho votato Grillo, ma a me la piazza fa orrore, gli assembramenti di persone mi terrorizzano».

C’era chi lo vedeva vestito allo stesso modo la sera e la mattina dopo. Cruciani allora diceva: “Ho dormito a casa secondo te?”

Altro dettaglio utile a capire il personaggio: Cruciani corre le maratone. Corre tanto, si allena, la mattina non è difficile incontrarlo sul Naviglio in tuta tecnica e scarpini professionali. È serio, rispetta tabelle, è un professionista. E questo però ha anche delle controindicazioni: carico e scarico, cioè l’assunzione o meno di carboidrati in vista delle gare, sono concetti che i suoi collaboratori hanno imparato a conoscere bene: «Oddio, ha cominciato lo scarico» si dicono guardandosi tra loro quando lo vedono mangiare solo bresaola, e alzano gli occhi al cielo sapendo che per tutta la settimana sarà in down anche cognitivo/emozionale. Stesso discorso all’inverso: «Ma che cos’ha, che oggi non ci lascia vivere, più del solito?». «Ma, boh, sarà in carico, domenica c’è la maratona». La serietà con cui si approccia alla corsa rispecchia esattamente la concezione, a tratti idolatrica, che Cruciani, a differenza di Parenzo che ha preso ad andare in palestra solo di recente, ha per lo sport. E per il calcio, soprattutto. Perché Cruciani, ovviamente, è della Lazio.

Discorso a parte meriterebbero le sue trasferte per i Mondiali (quando prende ferie dalla radio per seguire da freelance tutti gli incontri, scrivendo sotto pseudonimo per il Foglio, e alloggiando spesso in condizioni disdicevoli per una radio star come lui), ma i campionati sono per lui qualcosa di irresistibile, i commenti imprescindibili, figurarsi le polemiche post partita. Siccome dietro la sua scrivania a Radio 24 c’è la redazione sportiva, non è raro che scatti in piedi dal nulla e corra di là inserendosi nella discussione e gridando che quello su Klose era fallo o che Marchetti è rimasto fermo perché, l’hanno visto tutti, era fuorigioco netto.

Infine il capitolo cuore, lasciato per ultimo per clemenza anche se la bibliografia sarebbe infinita: parte comunque integrante del programma, visto che i due non si risparmiano all’insegna, come detto, del tutto fa show: entrambi padri, entrambi innamoratissimi delle rispettive figlie (sentirli parlare al telefono con loro, conoscendone solo l’aspetto radiofonico, è quasi choccante ma li rende anche molto umani: «Domani papà torna..»), con l’altro sesso sono agli antipodi: innamoratissimo Parenzo, cui vanno gli auguri per l’arrivo del secondo figlio, scavezzacollo l’altro, per cui, sempre la Rizzini, ricordava gli aneddoti di gioventù: «C’era chi lo vedeva vestito allo stesso modo la sera in ufficio e la mattina dopo. Cruciani allora – imperturbabile – diceva: “Ho dormito a casa secondo te?”». Lui, ora, a distanza di anni, si trattiene: «Ma no…». Poi non ce la fa: «La differenza è che adesso passo a cambiarmi». Va bene lo show, ma a quasi tutto c’è un limite.

Dal numero 14 di Studio
Fotografie di Marco Pietracupa