Attualità

Data visualization, una storia

Mappe, grafici e infografiche: come e quando abbiamo cominciato a disegnare la realtà

di Pietro Minto

L’arte di visualizzare graficamente i dati è piuttosto antica e può regalare grandi gioie agli occhi, oltre che servire il suo scopo principale: spiegare qualcosa. Se grafici e tabelle (e le più moderne e cool infografiche) sono nate e si sono sviluppate, è proprio perché sono  – spesso mica sempre – in grado di illustrare un fenomeno con una semplicità che parole e numeri, da soli, non hanno. Oppure, di spiegare fenomeni e tendenze troppo grandi e incredibili per essere raccontate in modo tradizionale. È come avere carta e penna sotto e mano mentre si cerca di dire qualcosa di complesso. È utile.

Non è quindi un caso se il primo grafico di cui siamo venuti a conoscenza – risalente al decimo secolo d.C. – rappresenti proprio il movimento delle Cose Grandi Per Eccellenza: le stelle. A realizzarlo, come spiega Michael Friendly della York University di Toronto (pdf), fu un anonimo illustratore, a corredo alle glosse di A. T. Macrobius all’opera di Cicerone In Somnium Scripionus.

Il disegno mostra il movimento ciclico dei sette più grandi corpi celesti (a sinistra) osservabili dalla Terra, ed è uno dei primi tentativi di rappresentare graficamente un fenomeno così complicato: è l’embrione della visualizzazione dei dati. Per millenni l’uomo aveva disegnato quello che vedeva in cielo di notte: il disegno qui sopra è un passo in vanti. Punta a essere scientifico, a insegnare. È l’inizio di un processo lungo di cui oggi vediamo i frutti maturi. Sono solo linee nere su fondo bianco: non siamo ancora lì, ma la strada è quella giusta

Questo succedeva circa mille anni fa. È nel ’500, però, che si sviluppano i rudimenti necessari alla visualizzazione di dati: la camera oscura, gli sviluppi della trigonometria in matematica (necessaria nella rappresentazione di concetti complicati) e, su tutti, Teatrum Orbis Terrarum, ovvero il primo atlante moderno, firmato Abraham Ortelius (vedi immagine seguente). La data di stampa del volume è il 20 maggio 1570, un giorno da incorniciare, almeno in quest’area di interesse. E non si parla di stelle in questo caso ma di un altro elemento piuttosto importate: la Terra. I primi tentativi in questo settore riguardano spesso la cartografia, come vedremo: disegnare il mondo in cui si vive (un mondo non più piatto) per comodità commericale e militare, ma anche per curiosità. Ci vorrà ancora molto tempo per assistere a esperimenti più coraggiosi, su fenomeni sociali e politici.

 

 

Il Seicento è il secolo in cui possiamo cominciare a parlare di rappresentazione grafica di dati: si esce dal guscio della pura geografia e astronomia per tentare di rappresentare altro. È ancora Friendly a raccontarlo, citando come esempio il lavoro di Christopher Scheiner sullo studio delle macchie solari, che vengono studiate e “raccontate” con le immagini attraverso una piccola invenzione, quella delle “unità multiple”. Scheiner, in pratica, disegna tante piccole lune, ognuna delle quali ha macchie diverse, a seconda di quali sono visibili dalla Terra nel corso dell’anno. Un processo, quello delle unità multiple, che è alla base delle moderne infografiche ma che ha origine in questa incisione, datata 1630.

Bisogna attendere un altro secolo, però, per stringere la mano all’inventore del grafico come lo intendiamo oggi. I grafici a torta, quelli a barre, quegli insieme di linee, forme, tabelle e numeri di cui costelliamo qualsiasi libro o pagina di giornale sono stati infatti ideati da un signore scozzese, esperto in economia politica e desideroso di spiegare fenomeni e tendenze nel modo più chiaro possibile. Si chiamava William Playfair, era figlio di architetti e matematici di grande fama, e in pochi anni sconvolse un mondo, producendo opere come le tre che seguono: la prima illustra la differenza tra import ed export dell’economia inglese; la seconda è una timeline (termine recentemente rispolverato da Facebook), ovvero una linea del tempo che – secondo testimonianze dell’epoca – «ebbe un incredibile successo di pubblico e fu stampata parecchie dozzine di volte»; e infine un grafico a barre orizzontali in cui i dati economici di alcuni Paesi sono messi a confronto visivo.

La seconda parte del XIX secolo vedrà fiorire quella che oggi chiamiamo information graphics, come vedremo, ma è nella prima del secolo che si comincia a sperimentare sul serio, incrociando il mondo delle mappe a quello dei fenomeni umani. Negli anni ’20 il barone Charles Dupin, francese, si inventa quella che oggi chiamiamo cloropeth map, ovvero una mappa in cui regioni e zone sono divise da linee e contrassegnate da colori diversi. Dupin utilizza questa tecnica, spiega Friendly, per rappresentare il problema dell’analfabetismo nel suo Paese. E si inventa pure la legenda, ovvero la spiegazione dei vari segni e colori: utilizzati più scura è una regione, più alto è il numero di analfabeti. Una trovata che sarà copiata da tutti e che è utilizzata ancora oggi – per esempio dopo le elezioni, per spiegare come si è votato regione per regione.

 

Come anticipato, la fine dell’Ottocento è un momento glorioso per il settore (e voi che vi lamentavate di come le infografiche siano onnipresenti oggi), che si impone come strumento informativo e di studio, e si evolve. La «tempesta perfetta» arriva anche in Italia, dove Luigi Perrotto apre le ascisse e le ordinate alla terza dimensione, con questo studio sui “nati vivi” svedesi.

 

 

Se in questi anni il neonato settore ha fatto passi da giganti, però, è soprattutto merito di un ingegnere civile francese, Charles Minard, autore di grafici che sembrano spuntare dal computer di un affermato grafico attuale. Modernissime, le sue opere fanno un grande uso delle linee di flusso, le cui dimensioni dipendono dall’informazione che contengono e rappresentano: una linea grossa indica una tratta commerciale molto trafficata, come nella prima illustrazione; oppure si usano gli stessi mezzi per narrare la marcia di Napoleone (secondo grafico); o, ancora, per illustrare il business dell’export di vino.

 

 

 

 

C’è però da dire che nell’Ottocento ne sono successe di cose. Se, per esempio, il primo aprile del 1875, passando per Londra, aveste comprato una copia del Times, ci avreste visto una strana mappa della Gran Bretagna con frecce, linee e quant’altro. Una cosa a cui oggi siamo più che abituati ma che allora era una novità: il meteo. L’autore dell’illustrazione è un signore inglese, cugino di Charles Darwin, che risponde al nome di Francis Galton, noto anche per essere stato il primo a individuare un anticiclone – fenomeno atmosferico opposto a quello del ciclone. Fu lui a incrociare due settori fino a prima distanti, la meteorologia e la visualizzazione di dati, realizzando grafici, tabelle e mappe che confluirono in Meteorographica (MacMillan, 1863), pietra miliare della meteorologia oggi consultabile online. Un piccolo passo per un uomo ma un grande passo per l’Umanità, come si suol dire. Se oggi abbiamo fin troppi modi per capire che tempo farà domani senza avere una laurea specifica, è anche grazie a lui.

 

 

 

 

E poi arriva il Novecento, col suo carico di speranze e fiducia nel progresso. Il futuro era alle porte, dovevamo solo andarlo a prendere. Certo, oggi sappiamo sappiamo com’è andata a finire ma all’alba del Nuovo Secolo, la tensione era enorme per tutti. Anche per la piccola cerchia di persone interessate a rappresentare graficamente la realtà, una cerchia che nella prima metà del Secolo sbatté il naso contro la crisi del settore, scatenata un po’ dal boom della fotografia, ormai utilizzata anche nei rotocalchi più cheap e in molti libri, un po’ da un raffreddamento artistico generale. Quelle strane illustrazioni piene di informazioni erano state l’avanguardia per decenni. All’improvviso erano la normalità. È sempre Friendly a raccontare come dai primi del Novecento i grafici fecero capolino sui libri di testo inglesi, sui documenti ufficiali di molti Paesi, applicandosi anche efficacemente al commercio. Il momento dell’avanguardia era finito, il settore doveva ritornare a puntare in alto.

La crisi è stata forse solo artistica, non generale. E durò fino al 1950, quando il settore seppe rinnovarsi, ricominciando a rischiare. Ma della storia recente ne parliamo la prossima volta.

(continua)