Attualità

Dalla rottamazione alla costruzione

Altro che il FATE PIANO di Alfano, i veri dossier aperti per Renzi sono il ministero dell'Economia e lo stile tutto politico e concreto da imprimere al governo. Per fare le cose e per far dimenticare in fretta com'è nato.

di Claudio Cerasa

Roma – Ci siamo. Entro domani il presidente della Repubblica convocherà la Smart di Renzi al Quirinale e la farà accomodare nel parcheggio riservato ai presidenti del consiglio incaricati. Poi entro giovedì Renzi presenterà la squadra di governo ed entro domenica nascerà il primo governo Leopolda. La giornata di ieri, almeno dal punto di vista mediatico, ha segnato un punticino piccolo piccolo piccolo in favore del compagno Angelino Alfano, che ha costretto il presidente della Repubblica ad accodarsi alla coraggiosa richiesta del capo del nuovo centrodestra, sintetizzabile con due parole semplici: FATE PIANO. La solidità degli ultimatum di Alfano, che tra le righe ha fatto capire di non voler dare la fiducia a tutti i costi al governo Renzi se non prima di aver messo a punto un chiaro patto di coalizione (traduzione: Ah Mattè, ti prego, dacce un ministro in più), sotto molti punti di vista ricorda la solidità granitica della difesa del Milan di quest’anno. E la ricorda per una ragione evidente: l’arma con cui Alfano minaccia Renzi è un’arma scarica perché non è immaginabile che il leader di un partito nato per impostare un percorso alternativo a Berlusconi, dopo soli quattro mesi decida di ributtarsi così tra le braccia della moglie tradita.

Il vero motivo per cui Renzi avrà bisogno di qualche giorno per mettere a punto la sua squadra riguarda una quota diversa, una quota di cui il segretario del Pd dovrà tenere conto, vale a dire quella che si trova nelle mani della presidenza della repubblica. Nel governo Letta, si sa, i ministri di nomina quirinalizia erano tre – Emma Bonino agli Esteri, Annamaria Cancellieri alla Giustizia, Fabrizio Saccomanni all’Economia. Di queste tre caselle Renzi sta cercando di negoziare quella più importante, ovvero l’Economia. Senza stare a ragionare troppo suoi nomi e sul totoministri – l’unica certezza oggi è che per il posto da viceministro è in corso un ballottaggio tra Enrico Morando e Yoram Gutgeld – ciò che conta è il profilo di ministro che Renzi ha bisogno di presentare per guidare il Tesoro. E il messaggio che il segretario del Pd dovrà far passare non potrà che essere questo: so perfettamente che le scelte di politica economica non possono che essere fatte in sintonia con il presidente della Bce Mario Draghi ma il presidente della Bce e il presidente della Repubblica devono capire che per un leader che vuole rottamare l’era dei governi tecnici o semi tecnici è per forza di cose necessario dare un colore politico al suo ministro più importante, quello dell’Economia appunto. Nella storia della Seconda Repubblica – passaggio di Vincenzo Visco a parte, nel governo D’Alema – tutti i ministri che hanno avuto in consegna l’Economia dalle mani di presidenti del Consiglio di centrosinistra sono stati dei tecnici puri. Quindi per un segretario iperpolitico come Renzi inserire in quella casella un ministro tecnico sarebbe un modo come un altro per dare agli elettori la percezione di essersi ancora una volta fatto commissariare dai burocrati europei.

La natura della composizione del governo, la sua capacità di non essere un figlio diretto del signor Massimiliano Cencelli, l’occasione di dimostrare che a parità di maggioranza sono i politici alla guida del governo a poter fare la differenza (parafrasando McLuhan, Renzi direbbe che il leader è il messaggio) e il dovere di Renzi di non far somigliare in nulla il suo esecutivo a un Letta Bis sotto mentite spoglie, sono tutti ingredienti fondamentali per permettere al suo eventuale governo di superare il peccato originale con cui nasce, quello di un governo che vuole gioiosamente passare dalla seconda alla terza repubblica con i rischiosissimi metodi della prima.
Ciò che il segretario dovrà realizzare per far dimenticare presto agli elettori la genesi di questa fase politica – che gli italiani, si sa, hanno la memoria degli elefanti, e sono bravi sì a triturare subito i leader ma sono altrettanto bravi a dimenticare in fretta i loro peccati  – riguarda un metodo di lavoro che potremmo sintetizzare così: certo, nelle prime due settimane di governo Renzi dovrà dare segnali importanti sul taglio alle tasse sulle imprese, taglio alla spesa pubblica, piano d’occupazione per favorire i lavoratori più giovani, semplificazione delle norme sul lavoro, riforma elettorale, e così via, ma ancora di più dovrà imporre uno stile di governo: evitare di dare l’impressione di voler governare a tutti i costi, approvare subito la legge elettorale per far trottare esecutivo e parlamento con la minaccia del voto e allo stesso tempo governare senza aver paura di perdere consenso. Dalla rottamazione alla costruzione, il passaggio è questo. Comportarsi in modo diverso sarebbe il modo migliore per trascinare la Smart del segretario nello stesso centro demolizioni in cui tre giorni fa è finita l’utilitaria del caro amico Enrico.