Attualità

Contro Apatow

In occasione dell'arrivo nelle sale italiane di This is 40, una presa di posizione contro un "grande moralista" di Geeks and Freaks.

di Francesco Pacifico

Ho sempre odiato Judd Apatow e ho visto tutti i suoi film da regista e gran parte di quelli che ha prodotto. Trovo che i suoi film contengano sempre una morale soffocante e la impongano a tutti i costi regolando con sapienza gesuitica i conati di vomito e gli amplessi mancati per approdare sempre e comunque, con la stlapstick e la volgarità, al porto sicuro delle scelte giuste e dei finali perbene con maturazione dei protagonisti – proprio come non succede quasi mai nella realtà. Due cose mi sono state rimproverate quando sul sito di Studio ho espresso il mio odio in un pezzo in tre parti di diciassette cartelle complessive, una specie di processo con battute di dialogo e giri di trama sul banco degli imputati: 1) è solo una commedia, non vale questo sforzo di comprensione; 2) devi vederti Freaks and Geeks, la sua serie clamorosa ambientata negli anni Ottanta, andata in onda nel ’99-2000, chiusa dopo un solo anno, che ha lanciato Seth Rogen, James Franco e Jason Segel: quella sì è una commedia fuori di testa e ti farà ricredere.

Allora di recente me la sono procurata e ho iniziato a guardarla (per il punto uno: vale lo sforzo di comprensione, perché quando ridiamo diamo giudizi e se ridiamo insieme a un conformista diamo giudizi conformisti – lo so perché ho fatto gli scout in un gruppo fascista e li si rideva di chi era vestito male e di chi non scopava).

Si capisce perché è diventato un culto: Apatow aveva già la mano leggerissima e una convinta, rotonda mancanza di nichilismo.

I freak sono il gruppo di Segel, Rogen e Franco, disadattati del liceo che fanno sega, girano in macchina, bevono e sono scemi. I geek sono tre secchioni caratteristici, uno con gli occhiali spessi, uno grassoccio ed ebreo, un altro bianchissimo ed efebico. Intorno ai due gruppi fermenta l’adolescenza americana cosiddetta normale: cheerleaders, bulletti, jocks della squadra di football. Il solito materiale di tutte le sitcom e i fumetti e i film americani, ma si capisce perché è diventato un culto: Apatow aveva già la mano leggerissima e una convinta, rotonda mancanza di nichilismo.

I due gruppi di disadattati orbitano attorno alla famiglia americana perfetta da sitcom. Padre e madre emotivi, buffi, saggi, e un figlio maschio e una figlia femmina. Il maschio è l’efebico bianchissimo del giro dei geek: è un po’ represso, vorrebbe piacere alla cheerleader buona, è un figlio obbediente ma a volte si surriscalda perché vorrebbe uscire dal suo personaggio. La figlia femmina è il centro della serie: già perfettamente grunge nonostante si sia all’inizio degli Ottanta, Lindsay è una ragazza studiosa (con compagna di studi fanatica religiosa) che sta scoprendo di non amare le regole e di essere stufa del conformismo che si respira nella sua scuola. Perciò ha cominciato ad accompagnarsi ai freak, a saltare la scuola, a distruggere le zucche di Halloween, a fregarsene di tutti.

Dai suoi giri in macchina con gli spostati Franco, Segel e Rogen ci si aspetterebbero cose varie da racconti liceali: la scoperta di sesso, droga e rock and roll, un conflitto serio con i genitori, un crollo del rendimento scolastico. Invece, il tema centrale di ogni puntata Freaks and geeks è questo: Lindsay sente la voglia di ribellarsi, vuole la libertà, vuole fare di testa sua, la segui, sei dalla parte sua, la vedi sbocciare insieme ai freak, e invece a un certo punto il suo desiderio di ribellarsi la mette nei guai e la saggezza della tradizione la riporta al suo posto. Il che è visto come un finale degno, va in scena con musiche lente e inquadrature ravvicinate.

Nella prima puntata, la famiglia è preoccupata perché Lindsay non vuole partecipare alle olimpiadi matematiche. Per tutta la prima parte, la faccenda viene messa in scena come un progresso per Lindsay. Lindsay si rifiuta di andare al ballo della scuola perché è anticonformista. Viene mandata dallo psicologo, un rimasuglio hippie coi capelli lunghi e radi dalla parlata strana che cerca di convincerla ad andare al ballo e a partecipare alle olimpiadi matematiche. Nel frattempo Lindsay si intestardisce in una missione idealista: far cessare le prese in giro a uno studente ritardato. Nel tentativo di difenderlo da due bulli, si ritrova a farlo sentire ancora più inadeguato. Allora per compensare dichiara che andrà al ballo con lui.

L’anticonformismo di Lindsay si risolve nell’andare comunque al ballo (simbolo del conformismo più assoluto), ma andandoci da persona libera e brava – a braccetto con il ritardato, e a servire punch al tavolo delle bevande. Apatow trova molto carini i finali in cui un misfit finisce col fare la cosa che fanno tutti – solo con un po’ di spirito: Apatow vuole offrire all’anticonformista una via personale al conformismo. (Mentre rileggo il pezzo mi chiedo se non sia il suo un tentativo politico – direi quasi democristiano – di far sentire il misfit parte della società, come a scongiurare la deriva da caso umano che porterebbe, secondo l’interpretazione più ovvia del problema, a episodi come la sparatoria di Columbine)

Qui il moralismo dell’impianto narrativo è ancora più sfacciato: si capisce che tradire la fiducia dei genitori è stata una pessima idea.

Nella seconda puntata, si parla dell’altro grande tema della commedia adolescenziale americana: la festa quando partono i genitori. Qui il moralismo dell’impianto narrativo è ancora più sfacciato: Lindsay organizza una festa a casa sua per risultare interessante agli occhi di James Franco (jamesdeaniano, cazzonissimo, bello, psicologicamente piatto, buffo), e nel corso della puntata si capisce che tradire la fiducia dei genitori è stata una pessima idea, perché alla festa sarà pieno di sconosciuti scrocconi molesti, e in fondo a James Franco di lei importa poco, si metterà a pomiciare sul letto di Lindsay con la nemica di Lindsay. Intanto, i geek, per evitare che la festa degeneri e la casa vada distrutta, hanno svuotato il barilotto riempiendolo con birra analcolica. Alla festa si dimostrano tutti dei poser fingendosi ubriachi. Il che mostra a Lindsay che tutta l’impresa della festa è maligna: i giovani vogliono solo fare casino e distruggerle casa. Suo fratello la guarda malissimo. Lindsay si pente.

Nella terza puntata si parla di Halloween. Lindsay gironzola in macchina con Franco e gli altri, lanciano uova addosso ai bambini e con una mazza da baseball sfondano le zucche appese fuori dalle case: sono un simbolo indecente del conformismo suburbano e i freak le odiano. Per andare con loro, Lindsay si è rifiutata di stare alla porta con la madre consegnando biscotti ai ragazzini mascherati. Risultato del giretto in macchina e dell’abbandono della madre: in un lancio delle uova indovinate chi prendono in pieno? Ovviamente il fratellino inerme di Lindsay, che ci rimane malissimo e la guarda male. Come finisce la cosa? Lindsay si pente e passa il resto della serata in casa con la madre a perpetuare la tradizione del dolcetto o scherzetto.
Fin dall’inizio, tre su tre, Apatow ha messo in scena una ribelle che alla fine dell’episodio si pente di essere ribelle. Com’è possibile che Apatow sia considerato uno che ha rinnovato la commedia americana? Dalle prime tre puntate il progetto era chiaro: Dio, patria e famiglia, e avete dieci minuti per andare a pomiciare in cortile.

 

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Dal numero 12 di Studio

Illustrazione di Stefano Monfeli