Attualità

Condannare con le cattive

Perché oggi, di fronte alle stragi siriane di Assad, è veramente difficile non dirsi interventisti (e quanto ci vorrebbe una sinistra che si professasse tale).

di Claudio Cerasa

Roma – Se in Italia ci fosse ancora una sinistra interventista convinta che gli stati occidentali abbiano il dovere morale di condannare non solo con le buone (ovvero con le parole) ma anche con le cattive (ovvero con l’azione militare) i regimi che stanno facendo carne da macello dei diritti umani, oggi, di fronte alla posizione terzista del nostro paese rispetto al possibile intervento in Siria, quella sinistra avrebbe dovuto alzare la mano, dirne quattro al ministro degli Esteri Emma Bonino e chiedere per quale ragione è giusto rimanere neutrali di fronte a un massacro come quello che da mesi si osserva quotidianamente sul territorio siriano.

Da qualsiasi punto di vista la si voglia osservare, la posizione del governo italiano rispetto all’azione militare che Stati Uniti e Francia hanno promesso di portare avanti in Siria (congresso americano permettendo) per non lasciare impunito il massacro compiuto dal presidente Assad, porta il nostro paese su un fronte alternativo rispetto a quello scelto dal presidente Obama e dal presidente Hollande. La scelta del ministro Bonino e del governo Letta di prendere in considerazione l’intervento in Siria solo a condizione che (a) il consiglio di sicurezza dell’Onu voti a favore dell’intervento militare e che (b) il Parlamento italiano approvi la decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, altro non è che un modo molto diplomatico per dire ad America e Francia che questa volta, molto semplicemente, l’Italia non ci sarà.

A meno di non voler osservare lo scenario geopolitico con gli affettati sugli occhi, anche le pietre oggi sanno che il consiglio di sicurezza dell’Onu non darà mai l’ok per un intervento in Siria (non fosse altro che la Russia di Putin sostiene il governo Assad). E sostenere che sia l’Onu (che per tre volte negli ultimi mesi a causa del voto opposto da Russia e Cina al Consiglio di sicurezza non è riuscito ad adottare risoluzioni di condanna nei confronti della Siria) a doversi muovere per decidere cosa fare della Siria è un ovvio atto di furbizia: specie se poi la richiesta di intervento dell’Onu arriva da ministri (come Emma Bonino) che da sempre, in varie forme, hanno denunciato la manifesta incapacità di agire dell’Onu di fronte a chiare violazione delle norme di diritto internazionale (per chi se lo fosse dimenticato l’uso delle armi chimiche, tra l’altro, è stato bandito dalla convenzione di Parigi del 1993).

Il non interventismo dell’Italia e il sostanziale silenzio di quella sinistra italiana che da anni sostiene la necessità di agire con le cattive in quei paesi dove i diritti umani vengono sistematicamente violati (e che oggi dice di sì al fatto che questa dottrina debba essere invece subordinata alle decisioni dell’Onu) – pur essendo almeno in parte giustificabile con la volontà di non mettere a rischio la vita dei nostri militari già impegnati in “missioni di pace” nel Libano –  segna, inutile girarci intorno, la fine della dottrina della guerra umanitaria. La posizione di Emma Bonino non è isolata e anzi è in sintonia con la linea di alcuni giganti del nostro Continente (vedi la Germania). Ma il nostro ministro degli Esteri dovrebbe quanto meno essere sincero e spiegare perché ieri “professare la pace dinanzi a un macellaio ha lo stesso spessore politico-culturale del famoso facciamo l’amore non la guerra degli anni Sessanta” mentre oggi è legittimo non muovere un dito di fronte a un macellaio che da mesi sta massacrando un paese.

Non agire subito, ha scritto qualche giorno fa Tony Blair, significa non voler toccare lo status quo della Siria, voler lasciare il paese chissà ancora per quanto nella situazione in cui si trova oggi e considerare la presenza di centomila morti e di due milioni di profughi una condizione non sufficiente per dichiararsi interventisti. Da un ministro come Emma Bonino ci si sarebbe aspettata una critica feroce al governo Obama per aver scelto un intervento sbilenco, pasticciato, senza prospettive, non sufficientemente coraggioso. Invece oggi ci ritroviamo con un Ministro che da sempre si celebra come ultra atlantista e che invece di fatto oggi proietta il nostro paese su un fronte più vicino alla Russia di Putin che all’America di Obama.
Sicuri che l’Italia se lo possa permettere?