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AmarConcorde

Uno dei prodotti più fini dell'ingegneria aeronautica, il Concorde fu anche un grande simbolo culturale del Novecento. Ricordarlo a 45 anni dal primo volo.

di Davide Piacenza

«Questa è un’occasione che non tornerà». Con queste parole accorate il ministro dell’Aviazione di Sua Maestà, Julian Amery, arringava gli MP della House of Commons il 29 novembre del 1962. Amery, subentrato nel luglio precedente alla guida del dicastero, quel giorno a Londra aveva firmato con l’ambasciatore francese uno degli accordi più importanti della storia dell’aeronautica: con un’inedita intesa bilaterale – adeguatamente provvista di una clausola deterrente nei confronti della ritirata di una delle parti – nelle stanze di Westminster veniva ratificata la nascita del progetto del Concorde, l’aereo più veloce della storia. Il 2 marzo del 1969, quarantacinque anni fa, il prodotto della partnership avrebbe poi effettuato il suo primo volo di prova, dando inizio a una stagione rivoluzionaria per l’Europa e il mondo.

Il progetto di un velivolo supersonico destinato all’aviazione civile, per la verità, non era nuovo nemmeno all’epoca: nel 1956 il governò inglese organizzò il primo meeting del Supersonic Transport Aircraft Committee, un organismo formato da politici britannici, rappresentanti delle linee aeree e addetti ai lavori il cui fine era proprio discutere la possibile implementazione nelle rotte passeggeri di aeromobili capaci di superare la velocità del suono.  Morien Morgan, l’ingegnere gallese che lo presiedeva, fu di fatto il primo difensore istituzionale dello sviluppo di un aereo simile in ambito europeo. Oggi è conosciuto come “the Father of Concorde”.

In realtà, le motivazioni che spinsero la Gran Bretagna a impegnarsi nel settore furono diverse: pesò innanzitutto una hubris post-bellica, che portò i britannici a cercare un ambito in cui riaffermare la loro preminenza a livello mondiale (anche se, com’è noto, le insegne del potere avevano già preso altre strade, attraversando l’Atlantico in senso opposto). E c’entrò a tutti gli effetti anche la condizione di prosperità di cui il Regno Unito ancora godeva: il ’56 fu l’anno della crisi di Suez, la fine dell’impero era ancora relativamente lontana. Per finire, Londra sperò di poter far leva sul progetto per accedere al MEC (Mercato europeo comune), entrato in vigore nel 1958.

Ecco perché nel 1960 l’esecutivo britannico diede il compito alla British Aircraft Corporation – il principale costruttore aeronautico del Paese, che guardava a vista – di effettuare uno studio di praticabilità per la realizzazione di un aereo supersonico, in collaborazione con gli omologhi francesi di Sud-Aviation. I piani dell’azienda di Tolosa, però, vertevano sulla costruzione di un velivolo destinato a rotte di medio raggio, mentre gli inglesi (il richiamo dell’impero, si diceva) avevano pensato dall’inizio a un apparecchio da usare per rotte transcontinentali. Alla fine la spuntò quest’ultima linea. Nel 1967 il reparto vendite della BAC prospettò la vendita di almeno 225 Concorde entro il 1975. Ma non andò così bene: ne vennero realizzati in tutto soltanto venti. Quando il Tory Edward Heath si stabilì a Downing Street nel 1970, un report sull’avanzamento dei lavori non si limitava a sottolinearne l’importanza strategica e diplomatica, ma definiva prima di tutto il Concorde «un disastro commerciale».

I motori portavano il mezzo oltre una velocità di crociera Mach 2; a pieno regime, il Concorde superava i 2450km/h

Se sul piano dei costi l’impresa anglo-francese fu piuttosto avventata, l’aereo che il 2 marzo 1969 – quattro mesi prima di Armstrong sulla Luna – decollò da Tolosa era senza dubbio un prodigio della scienza e della tecnica, nonché un concentrato di avanguardie tecnologiche ancora senza eguali nella storia umana. Di forma riconoscibilmente snella e appuntita, il Concorde aveva le caratteristiche ali a delta, indicate per il volo supersonico, a bordo d’entrata (il punto fisico in cui l’aria le attraversa) insolitamente lungo, e montava motori anch’essi prodotti da una joint venture tra UK e Francia: gli Olympus 593 di Rolls-Royce/Snecma, modellati sugli ultimi ritrovati dell’aeronautica militare e capaci di portare il mezzo oltre una velocità di crociera Mach 2. Ovvero, in altri termini, a più del doppio della velocità a cui si propaga il suono; a pieno regime, il Concorde superava i 2450km/h.

A completare la raffinatezza del progetto concorrevano poi dei propulsori dotati di un sistema di controllo simile a quello utilizzato oggi, cinquant’anni dopo, i vani motore posti in cassette costruite appositamente sotto le ali, i carrelli rinforzati e il celebre muso inclinabile, che permetteva ai piloti di abbassare la cabina in fase di decollo e atterraggio al fine di migliorare la visibilità. E poi diversi assetti pensati specificatamente per le condizioni inusuali in cui volava il Concorde (molto più velocemente, più in alto, con più pressione all’interno della cabina rispetto ai voli subsonici): i materiali di costruzione, il sistema idraulico ad alta pressione, quello di frenata (che al decollo e all’atterraggio si serviva di un antesignano dei moderni ABS) e la gestione della gravità del mezzo durante il viaggio.

L’arrivo dell’ultimo volo del Concorde nei cieli di Londra. (Bruno Vincent/Getty Images).

Nonostante le ottimistiche previsioni della fase di sviluppo, i clienti delle preordinazioni (colossi dell’epoca come la compianta Pan Am e BOAC – poi British Airways – nonché Lufthansa, American Airlines, Qantas, Japan Airlines e TWA) si ritirarono dopo aver scoperto i costi di gestione conclusivi dei velivoli, e alla fine, nemmeno a dirlo, le uniche due compagnie ad acquistare Concorde furono British Airways e Air France, più che incoraggiate dai rispettivi governi nazionali (che, nel caso inglese, arrivarono addirittura a garantire le perdite). Un epilogo comprensibile, dato che già nel 1977 il prezzo di un singolo aeroplano era vicino ai 28 milioni di euro, ovvero sei volte più di quanto prospettato inizialmente. Nonostante questo, i voli di British e Air France da e per New York (battezzati alla fine del 1977, dopo una lunga e clamorosa contesa con le autorità americane concernente il rumore causato dai boom sonici degli apparecchi) segnarono un’epoca indimenticabile del trasporto aereo mondiale.

Pur costringendo a spazi non propriamente comodi e privi a bordo degli svaghi e i dispositivi che oggi diamo per scontati, il Concorde era capace di viaggiare da New York a Londra in 2 ore e 54 minuti (come fece nell’aprile del 1990). Vista l’assurda velocità di crociera, muovendosi verso ovest i passeggeri sorpassavano la zona crepuscolare; il che significa che i voli verso New York arrivavano a destinazione nella Grande Mela in pieno giorno anche quando erano partiti dopo il tramonto. British Airways seppe sfruttare adeguatamente questo effetto col famoso slogan «Arrive before you leave».

Dal 21 gennaio 1976 – giorno dell’avvio congiunto delle rotte Parigi-Rio (gestita da Air France) e Londra-Bahrain (British) – in ventisette anni di attività la flotta dei Concorde ha portato più di due milioni e mezzo di persone oltre la velocità del suono a 17 chilometri d’altezza. Dall’81 al ’95 fu anche l’aereo presidenziale ufficiale della Repubblica francese, anche se il primo titolare dell’Eliseo a utilizzarlo era stato Georges Pompidou nel 1971, quand’era ancora in fase di test («Sono colpito dalla stabilità dell’apparecchio a più di 2.000 chilometri all’ora. Non me ne sarei nemmeno accorto, tanto il volo è tranquillo, dolce e silenzioso», ebbe a dire il Presidente dopo l’atterraggio).

«Per più di trent’anni, il Concorde ha acceso una passione nelle persone» (Peter Marlow, agenzia Magnum)

A distanza di più di un decennio dal suo ultimo volo di linea, avvenuto il 24 ottobre 2003, il Concorde occupa ancora un posto di primissimo piano nell’immaginario culturale, oltre a essere una (se non “la”) star indiscussa della storia dell’aviazione mondiale. Come disse Peter Marlow, il fotografo dell’agenzia Magnum che immortalò gli ultimi giorni di attività del velivolo, «per più di trent’anni, il Concorde ha acceso una passione nelle persone». A tutt’oggi esistono diverse comunità di affezionati e nostalgici del mezzo, sia online che offline, aerei della flotta sparsi in spazi espositivi di mezzo mondo, libri dedicati alla sua storia, siti specializzati nel tenerla in vita, una pagina di British Airways.com titolata “Celebrating Concorde” e molto altro. Recentemente, il New Yorker ha scoperto anche in Jimmy Webb, il celebre cantautore americano, un ossessionato dal richiamo del fascino dell’irripetibile macchina volante anglo-francese.

Quando si pensa al Concorde, però, il ricordo va istintivamente al 25 luglio 2000, la pagina più nera della vita della freccia dei cieli, quella del suo unico incidente fatale. Poco dopo le quattro di un caldo pomeriggio estivo, un volo charter di Air France prese fuoco durante la fase di decollo dall’aeroporto Charles de Gaulle e si schiantò, poco dopo essersi staccato dal suolo, su un hotel nei pressi di Gonesse. Morirono i 100 passeggeri, le 9 persone in servizio sul volo e altre quattro a terra. Questa tragedia e la crisi internazionale del trasporto aereo, poi acuitasi coi fatti dell’11 settembre dell’anno seguente, portò in breve all’insostenibilità dei costi del Concorde. Il 10 aprile del 2003 British Airways e Air France dichiararono congiuntamente il ritiro dei mezzi entro la fine dell’anno. L’ultimo Concorde decollò il 26 novembre dall’aeroporto di Londra Heathrow per raggiungere Bristol, la città dov’era stato fabbricato e dove lo attendevano migliaia di appassionati intenti a scrutare il cielo per l’ultimo, rispettoso saluto. Quando toccò terra, il duca di York lo definì «un’icona del ventesimo secolo». Il capitano Adrian Thomson – l’ultimo a farlo atterrare – disse invece «questa macchina meravigliosa è stata disegnata da uomini con una visione, costruita da uomini appassionati e, spero verrà detto, fatta volare da persone capaci, anche di osare».

Probabilmente uno dei più grandi output ingegneristici del pensiero umano, oggi l’eredità di questo aereo talvolta è vista come poco più che un pezzo da museo, o una voce particolarmente lunga di un manuale specialistico. C’è stato un tempo, però, in cui salirvi a bordo significava innanzitutto fare capolino da minuscoli finestrini e osservare la perfezione della curvatura della superficie terrestre, attraversare il mondo più velocemente dei fenomeni che lo plasmano, impadronendosene come una divinità ancestrale, e sconfiggere i limiti imposti dalla natura – nonché, per un po’ di tempo, anche quelli dell’economia. E alla memoria di questo tempo, il tempo del Concorde, l’articolo che avete letto vuol essere un deferente e affascinato tributo.

Nell’immagine in evidenza: il 24 ottobre 2003 una piccola folla saluta l’ultimo Concorde partito dall’aeroporto John F. Kennedy di New York (Mario Tama/Getty Images).