Attualità

Un bunker per il 2013

E se domani finisse il mondo? C'è chi non ha voluto rischiare ed è corso ai ripari. E poi c'è chi ci ha fatto anche un sacco di soldi.

di Pietro Minto

Questo è un articolo del 10 marzo scorso che ripubblichiamo per celebrare la vigilia della presunta fine del mondo, secondo un’astrusa interpretazione dell’antico calendario Maya. Il 22 dicembre 2012 ci rivediamo qui. Buona lettura.

 

Saprete di certo che il 21 dicembre 2012, secondo il calendario Maya, il mondo finirà. A dire il vero, il popolo centroamericano parlò più che altro di un cambiamento radicale in grado di portare l’umanità in una nuova fase d’armonia ma, tant’è, la fine del mondo ha il suo appeal dai tempi del “Mille e non più Mille”, e nessuno vuole sentirsi dire che il mondo migliorerà. Quello che interessa è la fine, magari tragica, magari biblica. Per cui la versione che è passata è quella un po’ à la Roberto Giacobbo (inversione dei poli magnetici, buchi neri, iperattività vulcanica ecc.) in cui proprio sotto Natale ci toccherà morire tutti, solo per dare ragione retroattivamente a un popolo scomparso da secoli. Il fatto è che comunque la teoria apocalittica ha un certo successo – non solo nei più bizzarri forum online –  e anche chi afferma di essere scettico suda freddo pensando a un qualche asteroide deciso a farci fare la fine dei dinosauri. Ma l’Apocalisse nel XXI secolo è diversa da quelle mistiche dell’antichità. Si può risolvere, può essere evitata. Basta pagare.

Nel 1995 Edward e Dianna Peden hanno fondato la 20th Century Castles, una società che si è specializzata nel ristrutturare basi missilistiche e bunker antiatomici («quelli progettati per resistere agli effetti di un’esplosione nucleare nelle vicinanze», precisano) rendendoli a misura d’uomo. Abitazioni d’emergenza, ripulite e riarrangiate per uso civile, in cui rifugiarsi in caso di fine del mondo. I due sono diventati piuttosto celebri, sono stati intervistati da molte rivista (dal Time in giù) e ospiti di alcuni talk show (dalla mitica Oprah in giù). I loro affari vanno piuttosto bene di questi tempi: un rifugio abbandonato dai tempi della Guerra Fredda nei pressi di Washington, per esempio, può essere vostro per 4 milioni di dollari. Ma se gli chiedete come si comporteranno nel fatidico 21 dicembre 2012, avrete una piccola delusione: “No comment”, hanno risposto al reporter Joseph Flatley, che ha realizzato per il sito The Verge un lungo ed essenziale articolo sul business dei rifugi anti-2012.

Un altro imprenditore dell’apocalisse è Robert Vicino. Vicino è noto per due motivi: innanzitutto perché nel 1983 volle festeggiare il 50esimo anniversario dell’uscita di King Kong applicando un enorme scimmione gonfiabile di circa 1360 chili all’Empire State Building (la bestiaccia si ruppe e si sgonfiò finendo, secondo quanto scrisse il New York Times all’epoca, per sembrare «la commemorazione di un altro film, The Blob»). Il secondo motivo, più attinente al nostro discorso, è Vivos Group, un’azienda che dice di star costruendo «una rete di rifugi sotterranei in grado di ospitare migliaia di persone». La mission di Vivos è spiegata dal sito della società (a cui rimandiamo – non ve ne pentirete) e Vicino ha spiegato a The Verge di aver avuto la rivelazione in Africa nei primi anni ’80 (mentre cioé gonfiava scimmioni giganti a New York): «Per qualche motivo ho avuto il presentimento di aver bisogno di un rifugio per mille persone per farle sopravvivere a qualcosa che stava arrivando». Vivos Group funziona così: per investire in un rifugio sotterraneo anti-nucleare e diventarne co-proprietari bisogna prima pagare 9,950 dollari all’azienda. Un rifugio per 900 persone nel Nebraska costa 25 mila dollari ma ci sono offerte più economiche che partono dai mille dollari.

Da questi esempi si direbbe che la soluzione all’Apocalisse sia la vita della talpa, un rifugio sotterraneo. Non è così, c’è anche l’alternativa per chi ama il mare aperto: si chiama ETAP. ETAP Yachting è un’azienda produttrice di barche a vela speciali, ritenute dagli esperti “inaffondibili” (nomignolo, quello d’Inaffondabile, già utilizzato molto tempo fa in campo nautico, e non portò bene) e che da qualche tempo ha deciso di fare del 2012 il proprio modello di business. Come ha spiegato Bloomberg Businessweek, la società si è recentemente concessa un rebranding tutto basato sulla fine del mondo. Basta andare sul sito di ETAP per respirare un’aria anomala per dei produttori di barche. Innanzitutto la colonna sonora, che può variare da “I Am Sailing” (“Sto navigando”) di Rod Stewart a “The Last Farewell” (“L’ultimo addio”) di Roger Whittaker, una canzone che parla di morte, oscurità e di un inferno raggiungibile via mare. La sezione news è la più stupefacente, con brevi guide su “Come sopravvivere al 2012” e un video esplicativo in cui si alternano foto delle barche inaffondabili a messaggi come: “ETAP vi offre un modo per sopravvivere al cataclisma”.

La soluzione, secondo l’azienda, è quella di comprare una delle loro barche e prendere il largo – muniti di adeguati rifornimenti – in vista del Giorno del Giudizio, per sfruggire alle enormi onde che sconvolgeranno mare e terra e alle inevitabili, violente conseguenze che queste creeranno nei paesi e nelle città di tutto il mondo. Una specie di arca di Noè, ma con frigobar.

Come spiega Businessweek, la svolta apocalittica della società nautica è stata inaugurata da Patrick Geryl, uno scrittore belga autore di libri come La profezia di Orione, Il cataclisma mondiale del 2012 e Come sopravvivere al 2012, che dal 2007 ha cominciato a indicare i prodotti ETAP come una valida alternativa alla fine del mondo. «È l’unico produttore al mondo di imbarcazioni confortevoli e inaffondabili», ha scritto in una sua opera, assicurando i propri lettori di non ricevere soldi dalla società ma di “raccomandarla” a tutti solo perché «sono i migliori e non ci sono alternative».

Una domanda: dove sarà Geryl il fatidico giorno? In una nave ETAP? No. Geryl infatti soffre di mal di mare e per questo sta pensando di passare l’Apocalisse in un rifugio sotterraneo nei pressi di Drakensberg, in Sud Africa, dove magari starà in compagnia delle migliaia di persone che, stando alle dichiarazioni degli addetti ai lavori, si sono già assicurati un posticino nei vari rifugi che sembrano sbucare come erbaccia sottoterra e per mare (una compagnia poco invidiabile: paranoici apocalittici, uomini e donne che parlano del Nuovo Ordine Mondiale e tutte le altre teorie cospiratorie, e molto altro).

Sin dall’antichità la fine del mondo è sempre stata in agguato. Prima dello scoccare dell’anno Mille, per esempio, moltissimi cristiani si convisero che il mondo sarebbe finito e sarebbe arrivato il Giudizio Universale. Lo attesero fuori, in strada o in chiesa. In compagnia, cosicché quando si accorsero che nulla sarebbe successo, poterono festeggiare e ubriacarsi, o pregare il Signore per averli salvati. Il 22 dicembre 2012, invece, ci toccherà bussare bunker per bunker e comunicare con cautela a migliaia di persone che non solo il mondo non è finito ma che sono nel frattempo sono diventati proprietari di pregevoli bunker sotterranei. Uno spettacolo che non voglio perdermi per nessun motivo. Sarà la fine del mondo.