Attualità

Club Dogo

Quarta puntata della miniserie Cafoni. In cui la Santa Romana Sinistra incontra l'intelligansta milanese

di Francesco Pacifico

A noi cafoni c’hanno sempre chiamati. 4. (1/2/3)

Club Dogo

La serie in quattro parti “A noi cafoni c’hanno sempre chiamati” è un tentativo di raccontare lo scandalo del giovane borghese di Santa Romana Sinistra. Nel portarlo avanti mi rendo conto che in Italia non c’è spazio per il genere dell’autocritica o della confessione, anzi per il genere del disprezzo di sé. O sei di Studio e ti vanti di stare oltre la sinistra pur essendoci cresciuto dentro, o sei di TQ/XL/PD/Lo Straniero/il fanclub di Jovanotti e sei saldo nei principi.

Perciò Martino*, commentatore del mio pezzo della settimana scorsa, che costituiva la terza parte della serie sul giovane borghese di sinistra, pensa che mio racconto della visione della manifestazione del 15 ottobre a Roma su serviziopubblico.it sia schierato e snob e altezzoso e radical chic. Martino dice: “Per quanto riguarda Roma (e anche Genova) i più chic hanno sempre fatto l’apologia della violenza. La quiete rimane una scelta un po’ più cheap per la borghesia da tinello. Questo articolo reitera lo status quo”. E capisco perché lo pensa e un po’ mi vergogno di esser stato così poco sottile da dargli quell’impressione.

Io faccio talmente poco l’apologia della violenza che me la sono data a gambe in entrambi i casi (Genova 2001, Roma 2011). Nel primo non presentandomi, nel secondo andando a trovare un amico fuori dall’Italia proprio quel fine settimana. Voglio solo fare un po’ di autocoscienza.

Il giovane borghese di Santa Romana Sinistra è un personaggio qui usato per raccontare lo scandalo e sbigottimento che si può trovare – previa una certa formazione culturale ed estrazione sociale – di fronte all’Italia in cui la storia la fanno i cafoni. Io mi ci posso immedisimare perché il personaggio è ispirato in gran parte alla mia biografia. Lo uso per raccontare alcune cose che mi scandalizzano e mi incuriosiscono e mi fanno conoscere meglio il paese che a furia di dire “L’Italia non è un paese normale” ho smesso di sentire come mio.

Tante cose dell’Italia cafona mi danno una sensazione di pericolo e soprattutto mi scandalizzano. Cerco di elencare una serie di cose che scandalizza il giovane borghese di sinistra:

chi fa i soldi (ce li ho già, di famiglia);

chi ha il potere (non mi serve per ottenere ciò che voglio: un lavoro che mi piace);

chi “non crede nel dialogo e tira sampietrini” (ho ancora i soldi per andare al cinema).

Questa posizione del giovane borghese di sinistra è un po’ ridicola e la conosciamo. È dura fingere di non appartenere a questa categoria, per chi vi appartiene; ma pur essendo dura, molte energie vengono spese nel tentativo di fingere di non appartenervi.

Esiste un conflitto di classe. C’è chi sta più tranquillo di altri, in questa crisi. Ci sono le case di proprietà e le case in affitto. In queste quattro puntate si parla dei sentimenti contrastanti e imbarazzanti di chi ha la casa di proprietà e credeva in un umanesimo per tutti, che si è rivelato essere l’umanesimo di chi ha la casa di proprietà e ama andare al cinema, leggere Franzen e vedere Mildred Pierce e Mad Men. E questa è solo una descrizione di un tipo di cittadino italiano, giuro. Qui si parla dei sentimenti contrastanti che prova questa categoria di cittadini italiani di fronte all’apocalisse zombie dei cafoni.

Per raccontare un quarto aspetto dell’orda di cafoni di cui il giovane ecc. o ha paura o fa finta di niente chiuso in casa a guardarsi tutto Breaking Bad in streaming, è l’hiphop italiano. Cafonaggine di alto livello, espressa con talento. L’esempio migliore sono i Club Dogo, di cui devo citare due pezzi.

DISCLAIMER: Ovviamente a Milano lo sapevano da un pezzo, tanto che a parlare dei Club Dogo fai brutta figura, a Milano. A Milano non hanno le paurine che ha il giovane di Santa Romana Sinistra. Quindi ovviamente la gente molto più avanti del Giovane Borghese Romano di Sinistra è autorizzata a provare compassione per noi che ancora parliamo dei Club Dogo.

Detto questo. Quali paure è lecito avere, per l’ex giovane di sinistra? Quali paure sono solo pregiudizi da superare? Su quali paure possiamo fondare un sistema sano? Conosci il nuovo o conosci il tuo nemico? O entrambe le cose? L’ex giovane di sinistra romana è un membro della classe dirigente per diritto di nascita anche quando non ha un lavoro fisso, quindi va tenuto in conto. Quali sentimenti possiamo salvare di Santa Romana Sinistra un po’ Cattolica? La nostra crescita personale la percepivamo – anni fa, prima che gli anni Zero si rivelassero un incubo cafone – come l’aggiornamento più recente dell’umanesimo, e la cocaina era la droga dei cattivi, non un elemento portante della struttura chimica dell’aria di città. La droga dei buoni era l’erba e il fumo, quella dei cattivi la coca. Il mondo era un luogo giusto.

Dieci, quindici anni dopo, mi trovo ad ascoltare “Droga Rap” dei Club Dogo.

Comincia con la vocetta di una zoccoletta: “Club Dogo, MI, sostanza, dipendenza, non c’è più tempo, no qualità, prezzo, dettaglio, ingrosso”.

Poi già il ritornello: “Ti dico fra non ti passa più, qua la cassa trema / Mi richiami e ne vuoi di più, zio non c’è problema / Finché porti tutti i soldi per pagarmi / Io ne ho vari chilogrammi”.

Strofa: “Ho finito tutti i soldi devo fare un altro disco / Ho finito tutti i sogni di far soldi con un disco”.

Anche il sogno di far soldi con la creatività è una cosa che non si è mai potuta dire, a sinistra. Si poteva dire solo che tanto comunque non si facevano molti soldi, tanto. E di certo non si poteva dire, in generale, che si erano finiti i soldi. Perché i soldi non si possono spendere male e dunque finire: ricordo in ogni stagione della mia vita la vergogna prima di ogni acquisto non necessario, dall’iPod alla PS3. Mi sono vergognato anche di comprarmi un portatile più leggero, e il portatile è l’unico strumento di lavoro comprabile che richiede la mia professione.

Se quello dei Club Dogo è un brag continuo in cui a volte quasi sei contento di non capire cosa stanno dicendo, e anche se c’è chi sostiene che bisognerebbe essere più ghetto di loro per poter scrivere certe cose (giuro che a me non importa niente – e Jake la Furia ha la voce più bella di tutta la musica italiana), i Club Dogo hanno la quantità di talento letterario che serve per rendere uno stato d’animo, e anche uno stato fisico: qui lo spacciatore dice al compratore: “Tu mi dici “dove sei?” prima di “ciao, come stai?” / Tu mi dici “dove sei?” prima di “ciao, come stai?””. Mi piace anche la ripetizione.

Droga Rap mi ha fatto conoscere con ritardo da giovane dabbene il talento letterario dei Club Dogo. Quando avevo ormai assorbito lo scandalo della nuova canzone italiana che parla della cocaina, ho dovuto affrontare un altro scandalo. Nel disco successivo, Che bello essere noi, c’è una canzone intitolata “Le nuove Nike”.

Sono passati i tempi in cui il letterato o aspirante tale fa “l’operazione ironica pop” di descrivere con toni seri una cosa pop. Tra Umberto Eco e Aldo Nove, avevo già ricevuto a sedici anni l’intero libretto d’istruzioni su come farlo, con l’avvertenza però di non farlo mai. Quindi il testo di “Le nuove Nike”, un colpo duro per la mia sensibilità, mi limito a riportarlo.

(Dopo gli scontri di Roma, una giornalista del Foglio, durante una puntata dell’Infedele, arrabbiandosi di fronte all’invito di non so chi a comprendere il fenomeno violenza di piazza, ha detto: “Comprendere è giustificare”. Commento di un mio amico filosofo appartenente alla categoria di giovane che stiamo trattando: “Ti faccio notare che la frase Comprendere è giustificare implica che giustifichiamo tutto quello che comprendiamo, e dunque è impossibile che ci sia qualcosa di ingiustificato. Può esserci solo qualcosa di incomprensibile”. Ecco dunque il testo incomprensibile in cui si esaltano le Nike.)

“Ho un armadio in casa solo per le scarpe. Tutte con il baffo, fra, fanculo le altre marche. Frate per le Nike sono un tossico come Morgan. Ho solo cappellini che matchano con le Jordan. Dai tempi delle Agassi averle sporche mi ripugna se solo me le guardi me le passo con la spugna. Fra ti chiedi come mai sta gente mi ama: perché le mie Airforce sono meglio di quello di Obama”.

Ritornello: “Sono il bastardo con le Nike più nuove. Dici che mi spacchi il culo ma dove? Nelle Nike ci nascondo uno 09. Con tutte queste Nike mi sarei preso un Range Rover”.

Poi: “Sono infognato con le nike ci vado sotto. Dell’artista impegnato me ne fotto. Non ha le Nike ma per suonare prende un botto”.

Poi: “Non mi scordo dello stress da Footlocker. Fissare la vetrina con le tasche sempre vuote”.

 

*martino 4/11/11

Per quanto riguarda Roma (e anche Genova) i più chic hanno sempre fatto l’apologia della violenza. La quiete rimane una scelta un po’ più cheap per la borghesia da tinello. Questo articolo reitera lo status quo.
La (prima) parte sullo self-hating di sinistra è una sega mentale di proporzioni ciclopiche, ma mi ha fatto capire un paio di cose sulla mentalità clanico-tribale della sinistra.

…and this is why we can’t have nice things.