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Capire cosa succede in Grecia

Due specialisti della materia, i docenti Schelkle e Takis Pappas, spiegano lo scenario greco all'indomani del nuovo accordo tra il governo di Atene e la Troika.

di Alberto Mucci

Bluff del nuovo governo greco prima della resa alla troika o un primo passo verso una coalizione anti-austerità del sud Europa? Per fare il punto della situazione dopo l’accordo firmato da Atene e troika sull’estensione del programma di aiuti da 172 miliardi di euro per altri quattro mesi e porre luce sui pilastri del dibattito economico europeo delle settimane a venire, Studio ha intervistato Takis Pappas, docente dell’European Univesity Institute e dell’Università di Friburgo oltre che autore di Populism and Crisis Politics in Greece, e Waltraud Schelkle, docente di politica economica dell’European Institute presso la London School of Economics and Political Science (LSE). Di seguito, le risposte editate dei due.

Alberto Mucci: È cambiato qualcosa dopo l’accordo Atene-troika?

Waltraud Schelkle: Non molto. L’accordo raggiunto tra il governo greco e la troika (Commissione europea, Banca centrale e Fondo Monetario internazionale) è più che altro un modo di guadagnare tempo, per l’Europa come per la Grecia. Il governo Syriza, presieduto dal primo ministro Alexis Tsipras, dovrà innanzitutto usare i quattro mesi ottenuti per dimostrare di avere sia la forza sia il capitale politico per portare a casa almeno una delle riforme promesse nella famosa lettera dello scorso 18 febbraio. Per la Germania invece, l’accordo è un modo di testare il nuovo governo ellenico, capire se è un partner affidabile e con cui una collaborazione è effettivamente possibile. Nella capitale tedesca sono in tanti a non fidarsi dei greci. Opinione comune – tra i cittadini come tra tanti politici – è che Atene promette, ma non mantiene.

L’accordo raggiunto tra il governo greco e la Troika è più che altro un modo di guadagnare tempo.

Takis Pappas: Non troppo. Al di là dello scenario di queste settimane, Berlino, come molte altre capitali europee, sa che nel lungo periodo dovrà fare altre concessioni al governo Tsipras in modo da evitare il default tecnico del paese. L’Europa non può però ammetterlo adesso, quando l’esposizione mediatica è ai massimi livelli. Il motivo è che fare concessioni oggi sarebbe impossibile da giustificare davanti agli elettori di molti paesi, quelli tedeschi in primis. In questo contesto i quattro mesi di credito aggiuntivi sono anche un modo per far calmare le acque in vista di un nuovo più agguerrito round di negoziazioni e concessioni Atene-troika. Per capirlo basta pensare che in quattro mesi un governo non ha il tempo materiale per portare a casa le riforme e, soprattutto, godere dei suoi eventuali benefici. Un esempio: tra le proposte più sbandierate dal governo Tsipras ci sono la lotta alla corruzione e nuove tasse da imporre sui più ricchi (i famosi armatori). Entrambe ottime idee, necessarie a fare cassa. Tuttavia, anche se queste fossero davvero votate  e implementate dal parlamento greco nei tempi concessi dall’accordo (quasi impossibile), ci vorrebbe almeno un anno prima di ottenere un qualche risultato, soprattutto dal punto di vista delle nuove entrare necessarie per il puntuale servizio del debito.

 

AM: Chi ha vinto?

Pappas: Dichiarare la vittoria di una parte o di un’altra ha poco senso. Al momento non si può né parlare di una sconfitta greca – come molti commentatori e giornali hanno fatto nei giorni scorsi – né di un trionfo tedesco – come hanno sostenuto diversi altri. Da un lato è certamente vero che la piattaforma elettorale alla base del successo di Tsipras è politicamente molto ambiziosa e molto probabilmente non diventerà mai realtà, dall’altra è altrettanto vero che con l’accordo raggiunto tra Atene e la troika del 19 febbraio qualcosa e’ cambiato, e non soltanto a livello di lessico (da “troika” a “istituzioni” come hanno sottolineato tutti i giornali): la narrativa sulla crisi umanitaria su cui Tsipras ha battuto in queste settimana ha costretto le istituzioni europee ad ammorbidirsi su alcuni punti.

Per esempio, la troika potrebbe concedere – anche se nulla è sicuro ed è ancora tutto da vedere – a Tsipras di andare avanti con il piano sui sussidi per il pasto e la fornitura gratuita di elettricità a persone sotto una certa fascia di reddito in cambio di altre riforme. Oltre al tempo, il governo greco ha guadagnato un leggero spazio di manovra. Quale? Il focus del dibattito  si è spostato dal rapporto debito/Pil all’avanzo primario, ovvero alla differenza tra entrate e spese dell’amministrazione pubblica al netto della spesa per gli interessi. Al momento la Grecia riesce a generare un avanzo primario (stimato intorno all’1.5%). Un risultato che il precedente governo, sotto pressione dalla troika, ha firmato per triplicare. Ma sarà difficile: se la Grecia avesse voluto ottenere questo risultato avrebbe dovuto finanziare con nuovi tagli e nuove misure di austerità; Tsipras è riuscito a svincolarsi dall’obbligo di triplicare il disavanzo primario, evitando così di dover imporre nuovi tagli e nuove misure di austerità.

Questa, come argomenta Paul Krugman, è di per se una vittoria. Alla base di questo successo c’è probabilmente la creazione della narrativa sulla crisi umanitaria in Grecia e la necessità di fermarla. È bene ricordare che la struttura imposta dalla troika e i suoi termini rimangono rigidi e immutati; qui Atene ha pochissimo spazio per negoziare. Se riuscirà a strappare qualche altra concessione sarà a giugno, al termine dei quattro mesi di prova, se sarà riuscita a guadagnare in credibilità a livello internazionale.

Individuare un solo responsabile, un solo nemico, una sola causa fa sempre comodo, ma non è mai giusto.

È giusto additare la Germania come unica responsabile della situazione?

Schelkle: No. Individuare un solo responsabile, un solo nemico, una sola causa fa sempre comodo, ma non è mai il modo giusto di analizzare il problema. Sono numerosi, e non soltanto la Germania, i paesi UE a opporsi a nuove concessioni al governo greco. Se per esempio alla Grecia fossero fatti ulteriori sconti sul debito il Portogallo potrebbe giustamente chiedersi “perché loro si e noi no?”. Lo stesso vale per gli irlandesi. E non soltanto. In Spagna il governo guidato da Mariano Rajoy, impaurito dal successo di Podemos (partito con una piattaforma elettorale simile a quella di Syriza e in testa secondo gli ultimi sondaggi) è apertamente critico di Tsipras e sì oppone a ulteriori concessioni al suo governo, in modo da indebolire il suo omonimo in Spagna. Se si guarda al nord dell’Europa poi, oltre alla Germania, un’opposizione decisa a un nuovo round di concessioni alla Grecia arriva forte e deciso anche da paesi come l’Olanda e la Finlandia.

 

Tra quattro mesi ci ritroveremo daccapo in questa situazione?

Schelkle: Molto probabilmente sì. Il debito della Grecia è e continua a essere enorme. Al momento rappresenta circa il 176% del Pil e si avvicinerà sempre di più al 200%. La domanda è: come farà lo stato a ripagarlo? L’economia del paese non cresce, la compressione della spesa pubblica non è sufficiente e ha effetti negativi sulla domanda interna, le banche greche dipendono da Bruxelles per la liquidità, sono sull’orlo della bancarotta, chi ha i soldi li porta all’estero per paura del rischio di ridenominazione, di una patrimoniale e di un blocco sull’uscita dei capitali, in caso si avvicinasse uno scenario Grexit. L’unico modo – e le possibilità sono minime – in cui la Grecia potrebbe eventualmente ripagare il debito è quello di tornare a crescere. Il motivo per cui, soprattutto in tempi brevi, uno scenario economico del genere è quasi fanta-finanza è che a differenza di un paese come l’Italia, per esempio, le piccole e medie imprese internazionalizzate nonostante mille difficoltà hanno ripreso a crescere, in Grecia le imprese hanno un’incidenza sul Pil molto bassa.

Pappas: Probabilmente si. Come dice la Schelkle la domanda interna, perlomeno in tempi brevi, non si riprenderà. A questo va aggiunto che un’eventuale vendita di asset statali porterebbe ben poco alle casse dello Stato. La loro vendita – porti, isole, concessione aeroportuali – non basterebbe a ripagare nemmeno una piccola parte dei 317 miliardi di euro di debito pubblico. Data la situazione è dunque molto probabile che tra quattro mesi, quando il ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis si siederà al tavolo con la Troika, dovrà trattare su un terzo salvataggio (che secondo indiscrezioni attuali potrebbe essere compreso tra i 30 e i 50 miliardi di euro).

 

Un’uscita della Grecia dall’euro è uno scenario credibile?

Pappas: Al momento non molto. Nonostante ci siano critiche interne al partito, secondo gli ultimi sondaggi, la maggior parte dei greci sostengono ancora Tsipras, vogliono rimanere nell’euro e nell’eurozona. Di uno scenario Grexit parlano più i giornali che i politici. Syriza ha improntato la sua campagna elettorale dichiarando di voler rimanere nell’eurozona. A Bruxelles, almeno per il momento, il capitale politico di chi si augura un’uscita della Grecia dall’euro è ancora basso. Al momento su un’eventuale Grexit – questa è la tesi di Wolfgang Munchau – pesa anche la situazione dell’Ucraina. L’Europa sta tentando di confrontarsi con la Russia come un’entità singola. L’uscita di un suo membro, anche se soltanto dall’eurozona (dunque non necessariamente dall’Unione europea), diventerebbe un sintomo evidente della sua debolezza. Nel rispondere a questa domanda c’è anche da considerare che Tsipras e i suoi, nonostante una situazione quasi disperata in cui la carta della minaccia Grexit potrebbe essere d’aiuto, si sono ben guardati dal giocarla.

 

Se un’uscita della Grecia dall’euro ci fosse: quali sarebbero le conseguenze più immediate per l’Italia?

Schelkle: Secondo Bloomberg, l’Italia è esposta verso la Grecia per 40 miliardi di euro circa. Questo numero è stato calcolato sommando i volumi dei prestiti bilaterali, le quote di partecipazione nel fondo salva-Stati Esm, nella Bce e nell’Fmi.  In questi 40 miliardi, secondo un recente rapporto del centro studi Brugel, 800 milioni sono invece detenuti dagli istituti di credito privati del nostro paese. Numero che rende le banche italiane tra le più esposte di oggi. Nonostante la cifra sia alta, tuttavia, un’eventuale shock sarebbe assorbibile. Il problema principale è quello della reazione dei mercati finanziari nei confronti delle economie più fragili del sud Europa, se il default della Grecia oltre che tecnico diventasse reale. In uno scenario speculativo come questo ci sarebbe il rischio di un ritorno a uno spread alto, e soprattutto ciò che questo implicherebbe per l’Italia. Il debito del paese è già altissimo – il 132,1% del Pil – e le prospettive di ripagarlo, data la crescita anemica risicate. Se lo spread e dunque il costo di rifinanziamento sui mercati del credito internazionale si alzassero di nuovo, per l’Italia ripagare il debito e rimanere dentro il 3 per cento dei rapporto debito/pil imposto da Bruxelles sarebbe una missione ancora più difficile di quella di oggi.

Nell’immagine in evidenza: Il ministro delle Finanze greco Varoufakis in visita a Berlino, 5 febbraio 2015. (Carsten Koall / Getty Images)