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Una (nuova) vita da mediano

Pirlo e gli altri: i calciatori che iniziano a giocare in un ruolo, per poi cambiarlo avanzando o arretrando a seconda delle proprie qualità, dell'età o dell'intuizione di un mister. Ne parla anche Chicco Evani, ex jolly del Milan, poi selezionatore dell'Under 20 italiana.

di Roberto Procaccini

Brett Angell è un lungagnone dal fisico possente e i capelli crespi. Il Daily Mail nel 2009 lo ha inserito al quindicesimo posto nella classifica dei peggiori attaccanti che hanno mai calcato i campi della Premier, in virtù di un solo gol nelle 19 presenze con l’Everton nella stagione ’94-’95. Fino alla mediocre avventura con i Toffees, Angell era stato accompagnato dall’etichetta di bomber di categoria (cui si è aggiunta, poi, quella di bidone): nelle serie minori la sua vena realizzativa era apprezzabile, in massima serie si è rivelata invece asfittica. Angell, cosa che qui più ci interessa, era un difensore inventato attaccante all’età di 19 anni alle prime esperienze da professionista. È un giocatore che si iscrive in maniera anomala (e, dati gli esiti non lusinghieri, a suo modo anche significativa) nella storia dei calciatori che nel corso della carriera hanno cambiato ruolo, spingendo in avanti il proprio baricentro oppure, più spesso e con maggiore successo, arretrandolo da posizioni offensive a quelle d’impostazione o di rottura.

Nel football c’è una legge non scritta che lascia ampi spazi di manovra all’intuito degli allenatori e che permette ai calciatori di rigenerarsi lungo tutto la carriera: qualsiasi ruolo si è interpretato fino a un dato momento, qualunque età si abbia, si può sempre cambiare posizione in campo. La stessa legge, però, vuole che il gioco funzioni meglio quando si tratta di prendere un attaccante e portarlo indietro, sempre più indietro, magari fino alla linea dei difensori. Ma che il meccanismo stenti a trovare applicazione quando si tratta di far compiere a un giocatore il percorso inverso. Certo, per un Angell che fallisce ci sono ad alzare la media un Andrea Caracciolo, che da stopper a 18 anni si trasforma in Airone, o un John Charles, mediano gallese che ha imparato ad applicare la propria forza fisica alla casacca numero 9. Ma rimane che la casistica dei portatori d’acqua ritrovatisi con successo in avanti schianta di fronte a quella degli attaccanti che han fatto grandi cose tornando indietro.

Solo a guardare la rosa dell’Italia campione del Mondo nel 2006 spiccano Andrea Pirlo e Gianluca Zambrotta, due nati con caratteristiche offensive, ma affermatisi nel grande calcio dopo aver arretrato di una quarantina di metri la posizione in campo. Se si vogliono citare carriere meno iperboliche, basta pensare ai percorsi di Gennaro Scarlato, che veniva presentato da Renzo Ulivieri nel ’98 come il nuovo Casiraghi e che poi ha fatto le cose migliori da difensore all’Udinese, o di Simone Giacchetta, preso giovanissimo dal Napoli per fare il vice Careca e che poi, da stopper, è stato l’anima della Reggina che dalla C1 è arrivata in A.

Una quota minoritaria, ma sensibile, arretra la posizione per adeguare lo stile di gioco all’incedere dell’età. Come Nils Liedholm, che ha retto in serie A fino ai 38 anni solo scendendo dall’attacco alla mediana.

Non tutti i giocatori che cambiano posto sulla direttrice verticale della formazione lo fanno per la stessa ragione. C’è un’eziologia variegata. Una quota minoritaria, ma sensibile, arretra la posizione per adeguare lo stile di gioco all’incedere dell’età. Come Nils Liedholm, che ha retto in serie A fino ai 38 anni (risultato affatto scontato nel calcio in bianco e nero) solo scendendo dall’attacco alla mediana, e poi da quest’ultima alla difesa.

È riduttivo, però, pensare che sia semplicemente un’evoluzione auto-conservativa, uno stratagemma per rimanere in pista oltre il tempo massimo. Per abbandonare la fase offensiva quando i capelli cominciano a farsi bianchi bisogna poter sopperire a polmoni meno potenti e a gambe meno veloci con tecnica e visione di gioco. È una girandola che a certi livelli fanno solo i giocatori dalla classe conclamata. Vedi Zibì Boniek, che ha potuto chiudere a centrocampo (e da libero) dopo anni da funambolo in avanti perché i piedi glielo permettevano.

Poi c’è il capitolo di quei giocatori la cui carriera è stata rivoluzionata da un mister. Rino Marchesi prende Salvatore Bagni e lo trasforma da tornante a mediano. Gigi Radice vede nel giovane Antonio Comi un ottimo regista, anziché un attaccante. Sebastiao Lazaroni trova nella Fiorentina Alberto Di Chiara, 22enne ala di belle speranze, e lo rende un terzino da Nazionale. Venendo a tempi più recenti, il maturo Gigi Cagni ravvede in Hugo Campagnaro, sbarcato a Piacenza con un nomignolo che rispecchia più forza fisica che tecnica individuale (El Toro), le doti dell’esterno di difesa e non dell’esterno d’attacco.

Molti osservatori del calcio riducono il ruolo dell’allenatore alla funzione di motivatore dello spogliatoio. Ma nello sguardo che il tecnico proietta sul capitale umano su cui lavora può covare la scintilla per grandi cambiamenti. «Pensa a Carlo Mazzone e Pirlo. L’abbassamento in cabina di regia ha consegnato Andrea a una carriera che altrimenti non avrebbe avuto». A parlare è Chicco Evani, ex del grande Milan di Sacchi e Capello, un passaggio alla Samp, autore di pochi gol ma sempre decisivi (come quello contro il Medellin che è valso ai rossoneri la Coppa Intercontinentale dell’89).  Ha giocato da ala, da terzino tutta fascia “alla Asamoah”, da centrocampista. Evani appartiene all’ultima categoria di giocatori globetrotter del ruolo: quelli che riescono a svariare, con più andirivieni nel corso della carriera, grazie alla propria duttilità tattica. Gruppo di cui fa parte gente del calibro di Carlo Ancelotti, Sergio Battistini e Ruud Gullit.

Non è un caso che Evani, oggi selezionatore dell’Under 20, parta da Andrea Pirlo. Certo, ogni parabola professionale è segnata da contingenze particolari, il percorso del centrocampista della Juve e della Nazionale è esemplare entro certi limiti. Ma la sua trasformazione da numero 10 a regista davanti alla difesa è la dimostrazione di maggior successo, da quindici anni a questa parte, di come il cambio di ruolo possa trasformare un giovane promettente in un campione conclamato.

Carlo Mazzone, che al Brescia doveva far convivere Pirlo con Roby Baggio, ha capito che per non disperderne il talento doveva allontanarlo dalla porta avversaria e metterlo nel cuore del gioco.

«Pirlo non aveva la velocità per giocare da rifinitore delle punte», spiega Evani. Al trequartista moderno è chiesto non solo di inventare, ma di saltare l’uomo, segnare a grappoli, attaccare gli spazi, affondare nell’area avversaria e poi difendere quando non si è più nel possesso del pallone. Non basta avere velocità di pensiero e di esecuzione: servono anche gamba e la necessaria forza fisica, doti in cui Pirlo difetta. Carlo Mazzone, che al Brescia oltretutto doveva farlo convivere con Roby Baggio, ha capito che per non disperderne il talento doveva allontanarlo dalla porta avversaria e metterlo nel cuore del gioco. Intuizione condivisa in seguito da un altro Carlo, l’Ancelotti che ha raccolto Pirlo dopo l’ondivaga esperienza all’Inter per consacrarlo nell’empireo dei campioni.

Ma perché, invece, passare dalle retrovie in avanti è più difficile? «C’entra il bagaglio tecnico di base«, risponde Evani. «Nel calcio d’un tempo, allo stopper non era richiesto di saper giocare coi piedi». Non che nel calcio odierno, dove i difensori sono protagonisti pure in fase di costruzione, il problema si sia risolto da solo: «Un conto è impostare l’azione e inserirsi partendo da dietro – osserva l’ex jolly rossonero – molto più difficile è farlo trovandosi già davanti. Non ci si scopre attaccanti a quarant’anni neanche oggi». Evani, che ormai si è abituato a osservare il campo dalla panchina e forgiare le nuove leve, sa che il convincimento del giocatore nel cambio di ruolo è parte essenziale del lavoro. «Coi giovani può capitare che chi è abituato a stare vicino alla porta avversaria e a fare gol viva come una bocciatura l’arretramento», racconta. Chi ha già esperienza, invece, può avere timore a cimentarsi in un ruolo non suo». Fatto sta che la persuasione è un tassello fondamentale: «Bearzot provò a portare Baresi in mediana. Ma non ha funzionato proprio per le perplessità di Franco a giocare in quella posizione».

A Evani non è mai capitato di storcere il naso davanti a un allenatore. «Forse solo con Eriksson alla Samp, quando mi chiedeva di giocare sulla fascia mentre io, sentendo calare la potenza dei motori, preferivo stare in mezzo». Ma non ha fatto storie, e altrettanto si aspetta che facciano i giocatori in attività: «Velocità, corsa, visione. Il mister può capire in anticipo che le caratteristiche di un ragazzo possono essere una debolezza in un ruolo avanzato e un vantaggio in uno arretrato. Per i ragazzi vale la pena fidarsi».
 

Nell’immagine, Pirlo durante l’Europeo U21 del 2000. Phil Cole / Getty