Jerry Maguire inizia con il protagonista, interpretato da Tom Cruise, intento a scrivere una relazione programmatica. Per scrivere quel discorso il regista e sceneggiatore Cameron Crowe prese spunto da The World Is Changing: Some Thoughts of Our Business, un memo di 28 pagine scritto nel 1991 da Jeffrey Katzenberg, dirigente a capo della sezione cinematografica della Disney tra gli anni Ottanta e Novanta. Katzenberg è stato uno dei protagonisti del “Rinascimento Disney”, l’uomo dietro a quasi tutti i vostri cartoni animati preferiti, e adesso, dopo un periodo di annaspamenti produttivi con la sua Dreamworks, sta cercando la riscossa nel nuovo mercato cinematografico della Cina.
Di contro, John Lasseter, padrino di Disney e Pixar, viene dalle scuole d’animazione californiane ed è cresciuto nel vivaio Disney, rimasto a lungo tempo un affare di famiglia, fuori dai grandi circoli hollywoodiani e chiuso in una mentalità quasi rurale, da provincia di paese con sceriffo e speziale. Si fa fatica a immaginare Lasseter andare per convention politiche con le sue camicie hawaiane. E questo poi si proietta sulle rispettive case d’animazione.
Alla fine degli anni Ottanta, quando Katzenberg ancora regnava alla Disney, tentò di strappare Lasseter alla Pixar per fargli dirigere uno dei loro cartoni. Il regista preferì restare con la sua scalcagnata compagnia e la sinergia Disney-Pixar avrà luogo solo anni dopo, con Toy Story. Katzenberg all’epoca stava spingendo per un’idea diversa di animazione. Voleva renderla un terreno abitabile anche dagli adulti e l’animazione al computer, con quell’aspetto realistico – quasi respingente rispetto alla linea morbida della matita – era il campo di prova ideale.
«Il risultato finale è un film creato da sette registi terrorizzati e venti sceneggiatori incazzati»
L’esempio più pratico è il loro primo sforzo in Cgi, Z la formica, che esce due mesi del pixariano A Bug’s Life, causando una faida tra i due studi per via dell’ambientazione simile che porta la Disney ad accusare di plagio la rivale. Seguono scenate, isterismi e minacce da parte di entrambe le fazioni. Alcuni dicono che John Lasseter, sentitosi tradito perché aveva raccontato a Jeffrey l’intera storia di A Bug’s Life anni prima, gli telefonerà esclamando una delle sue rarissime parolacce. Dopo l’incidente le due compagnie hanno cercato di «non pestarsi i piedi a vicenda» (parole di Katzenberg, che pure ci ricascherà nel 2004 con Shark’s Tale, uscito un anno dopo Alla ricerca di Nemo).
Forse a Jeffrey un paio di quelle camicie farebbero comodo, visto il periodo travagliatissimo che sta passando la DreamWorks. Aveva aperto la strada all’ansia postmoderna da rivisitazione favolistica e della parodia, ma i fasti di Shrek sono terminati e ora, salvo sparute eccezioni, la casa d’animazione non imbrocca, non dico un fuoricampo, ma nemmeno una buona battuta da diversi anni. Magari recupera con gli incassi esteri, ma in America sono davvero pochi i biglietti strappati per un loro film. Home, Turbo, Le 5 leggende, Mr. Peabody & Sherman sono state delle delusioni che hanno dato seguito a un ridimensionamento dell’azienda.
Il panorama dell’animazione vede sovrana la Disney e i giornali hanno smesso da tempo di insistere sulla rivalità tra le due compagnie. Se la Pixar domina il mercato spartendoselo con la Disney (John Lasseter supervisiona entrambi i dipartimenti d’animazione) è anche perché la DreamWorks ha dovuto indietreggiare e lo spazio rimasto è stato riempito solo in minima parte da altri giocatori. Una delle grandi differenze tra Pixar e DreamWorks, a parte il prestigio e la nomea che sono rispettivamente associate ai loro nomi, è sempre stata la mole di film che la seconda ha sfornato. Due, a volte tre, all’anno per la DreamWorks, uno – a volte nessuno – per la Pixar. Dietro a questa scelta ci sono modelli di business diversi e, forse, la volontà di non spremere gli artisti e di non dover cedere in qualità di fronte a una data d’uscita già fissata. La DreamWorks si è riscoperta fucina di prodotti iperclassici come Kung Fu Panda e Madagascar, un franchise che guarda allo stile bidimensionale dei corti Warner. Entrambe le serie vanno fortissimo tra i bambini, segnale che la Pixar ha vinto la partita dei film d’animazione per adulti.
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