Attualità

Bruce Jenner non è necessariamente un eroe

Perché parlare di gender è diventato – finalmente! – "normale", almeno in America, e perché l'Italia è terribilmente indietro.

di Mattia Carzaniga

Da dieci giorni il mondo – quello civilizzato – parla di una cosa sola: l’intervista di ABC News a Bruce Jenner.

Per quelli che ancora non lo sanno (in Italia si contano a milioni), Bruce Jenner è, sintetizzando, un ex campione olimpico di atletica, specialità decathlon. Poi sposa Kris Houghton, già maritata Kardashian in prime nozze. Lui ha già quattro figli da due mogli precedenti, lei gli porta in dote tre femmine: Kourtney, Kimberly, Khloé (più il maschio Rob, ma non fa abbastanza Cenerentola quindi scusa, Rob: di te non si parlerà più). Con Kris, Bruce fa altre due figlie: Kendall e Kylie. Bruce e Kris si sono separati lo scorso ottobre.

Nell’intervista a ABC News, Bruce ha confermato le voci che circolavano da un pezzo sul suo conto. Sì, d’accordo, va bene: «Io sono una donna». Rendendo pubblica, davanti a 17 milioni di telespettatori (più l’internet tutta), la sua cosiddetta transition.

Bruce Jenner non è necessariamente un eroe. È un uomo che si sente nato nel corpo sbagliato e che si ritrova nella famiglia sbagliata: non è facile passare dall’essere uno sportivo medaglia d’oro all’essere una Kardashian. È chiaro che non puoi nasconderti: se sei il patrigno di Kimberly (detta Kim), se hai come genero Kanye West, se le tue figlie biologiche sono la prima (Kendall) una delle top model attualmente più richieste al mondo e la seconda (Kylie) una per cui esiste un trending topic su Twitter sul fatto che le sue labbra di diciassettenne siano in realtà siliconate; ecco, se in sorte ti è capitato tutto questo e tutto insieme, è dura interrogarsi in privato su un qualsivoglia quesito d’identità sessuale ed esistenziale.

Uno stralcio dell’intervista con Diane Sawyer

Bruce Jenner non è necessariamente un eroe. È la modalità con cui ha scelto di dare l’intervista a renderlo paradigma di quel può accadere oggi, e soprattutto di dove può accadere. L’intervistatrice Diane Sawyer, che ha un peso diverso da – che so – Barbara d’Urso, sembrava la giornalista bionda che denuncia i mariti cattivi in Gone Girl. Sapeva esattamente ciò che aveva di fronte, conosceva il peso e le sfumature di quella storia privata e uguale a mille altre. Ma fingeva sorpresa, a favore dell’immedesimazione del pubblico a casa. La notizia c’è: Bruce-patrigno-delle-Kardashian vuole ufficializzare il suo sentirsi donna da sempre. Il fatto è come raccontarla. ABC, nella figura ad alto tasso di immedesimazione di Sawyer, ha scelto di farne un documento sociologico, una Magna Charta dei diritti civili sancita dalla televisione. Certo, c’erano tutti i dati biografici salienti dell’intervistato («Quando ho iniziato a prendere gli ormoni», «Qual è la prima persona a cui l’ho detto», «Come ha reagito la mia famiglia alla notizia»), ma il taglio era soprattutto didattico. L’intervistatrice e gli autori volevano principalmente dare risposta alle domande – immaginarie ma plausibili – della maggioranza della platea: chi sono i transgender? C’è differenza tra l’indossare abiti femminili e il voler essere una donna? Chi si sente una donna è anche, per proprietà trans-itiva, un omosessuale?

Jenner alle Olimpiadi di Montreal nel 1976, quando vinse la medaglia d'oro

Bruce Jenner non è necessariamente un eroe. Ma – in quella famigerata terra di libertà, opportunità, seconde chance e seconde vite in cui gli è toccato nascere – diventa parabola da insegnare nelle scuole. Forse domani ci saranno i cartelloni in tutte le classi, come quelli dell’analisi logica. «Guardate Bruce Jenner, bambini: non è bellissimo con quel vestito a righe?». (Lo si vede così nella prima immagine paparazzata di lui vestito da donna, e per la quale Bruce pare ora pronto a denunciare il fotografo).

Agli ultimi Golden Globe, Transparent ha vinto come miglior serie comica, anche se comica non lo è per niente. Prodotta da Amazon Studios, da noi al momento ancora senza data di messa in onda, racconta di un uomo (lo interpreta Jeffrey Tambor, anche lui premiato col Globe) che annuncia pure lui di sentirsi donna: da Mort diventerà Maura. Lo fa perché viene accidentalmente beccato da una delle sue figlie («Kim è stata la prima a trovarmi per caso vestito da donna», ha detto Bruce Jenner a Diane Sawyer), un poco alla volta sceglie come e quando svelarsi agli altri membri della famiglia. «Penso che Bruce Jenner abbia tutto il diritto di fare il suo coming out come e quando crede. Nessuno di noi può insegnargli niente», ha detto Tambor commentando l’intervista. Lo stile di Transparent è molto indie, molto Sundance Film Festival, molto siamo-tutti-così-californianamente-liberal-da-accettare-persino-un-padre-ultrasessantenne-in-longuette (nella vita vera, Bruce Jenner ha 65 anni). È scritta bene, sarà perché all’autrice Jill Soloway è successo realmente, di avere un padre transitioning. La tesi, forzata come ogni tesi che si rispetti, è: come sono normali quelli che chiamiamo transgender, come sono confusi e irrisolti quegli altri che chiamiamo normali. Lo si diceva anche in quel vecchio capolavoro di Muccino: «È la normalità la vera rivoluzione». Ecco, la normalizzazione della sessualità anche più difficile da decifrare per le masse («Sei un uomo, ti senti una donna, ma continuano a piacerti le donne: allora che cosa sei, una lesbica?», chiedeva Sawyer a Jenner parlando a nome di tutto il suo pubblico) è il punto chiave.

Il 9 giugno dell’anno scorso Laverne Cox, attrice di Orange Is the New Black, è stata la prima transessuale ad apparire sulla copertina di Time. Il tema («The transgender tipping point») era diventato una di tutte quelle cose di cui si può liberamente discutere in società, che siano i single o il bonus bebè: i transessuali come argomento di dibattito normale. «Tutti l’altra sera si aspettavano di assistere a un grande show, invece si sono trovati di fronte a una persona come tutte: piena di sfumature, complicata, straordinaria», ha detto Laverne Cox a proposito dell’intervista a Bruce Jenner. Una persona normale.

Il trailer di Transparent, s01

Bruce Jenner non è necessariamente un eroe. Ma sui social network lo è stato senza dubbio, nelle ore che hanno seguito l’intervista e ancora oggi. Il processo di normalizzazione passa anche dai tweet e dalle fotine di Instagram. Da Lady Gaga a Miley Cyrus, da Oprah Winfrey a Ellen Degeneres, da Lena Dunham a Jimmy Fallon: per tutti il tono era del genere «un grande passo per l’umanità», che noi celebriamo qui, normalmente, tra lo scatto di un cheeseburger #foodporn e un tramonto #nofilter. Anche figlie e figliastre si sono sentite in dovere di postare, soprattutto dopo i pezzacci da tabloid sulle presunte liti famigliari per il coming out del padre/patrigno. Il mondo normale andava da un’altra parte, e loro dopotutto avevano un reality show da promuovere: la decima stagione di Keeping Up with the Kardashians, in onda negli Stati Uniti dal 15 maggio. Del processo di normalizzazione attuato col contributo del jet-set hollywoodiano fa parte anche una delle battute di Bruce Jenner durante l’intervista ad ABC. Sarebbe stato Kanye West – il rapper ex duro, oggi marito di una multinazionale del marketing – a convincere la moglie Kim ad accettare la scelta del patrigno. «Posso avere la moglie più bella del mondo: e ce l’ho. Posso avere la figlia più bella del mondo: e ce l’ho. Ma se non fossi libero di essere chi sono veramente, sarei forse felice?»: pare Kanye abbia detto più o meno questo, in barba ai tempi in cui faceva il cattivo. Già da anni i colleghi più stronzi di lui lo chiamano “frocio” per i suoi versi troppo morbidi. La normalizzazione, forse, è anche questa.

Kim-Kardashian-and-Bruce-Jenner-2-703x1024Bruce Jenner non è necessariamente un eroe. Sta di fatto che da noi non s’è posto nemmeno il problema: praticamente nessuno ha idea di chi sia. Chiedi chi erano le Kardashian, vedrai le risposte che riceverai da parte di gente anche non ottuagenaria. Il fenomeno di cosiddetto costume più mastodontico del mondo (pure Barack Obama s’è dovuto ricredere: da «I Kardashian sono un pessimo modello per la nazione» agli inviti alla coppia Kanye-Kim alla Casa Bianca) da noi ha impatto zero. Sarà che i colonnini destri dei quotidiani online hanno i loro tempi: sono fermi all’Ice Bucket Challenge, o poco oltre. Sarà che da noi dici trans e pensi subito a un servizio delle Iene, a uno sfottò a Marrazzo, ai manifesti che sponsorizzano i libri di Efe Bal affissi ai pali delle circonvalla di Milano. Sarà che Papa Francesco che riceve in Vaticano un transessuale (nella fattispecie spagnolo, e con moglie al seguito) è la mossa pubblicitaria di un signore anziano e un po’ pittoresco: dove siamo, in un film di Nanni Moretti?

Bruce Jenner non è necessariamente un eroe. Ma io non ho il coraggio di dire – a lui, a Diane Sawyer, alle Kardashian tutte – che poco più di un mese fa, Anno Domini 2015, su RaiTre, a Un posto al sole, è andato in onda il primo bacio gay.

 

Nell’immagine in evidenza, Jenner a Las Vegas nel 2014. Ethan Miller/Getty Images