Attualità

“Star system” e pubblicità

di Federico Bernocchi

Durante i primi giorni dello scorso dicembre, spuntò uno spot pubblicitario che ci regalò ore e ore di entusiasmo e grosse risate. Parliamo ovviamente dello spot per il libro Il Labirinto Femminile di Alfonso Luigi Marra. Se non l’avete mai visto, avete la possibilità di recuperare ora, cliccando con decisione qui. Oltre a svariati chili di spensieratezza, lo spot di Marra ci regalò una grande interpretazione di Manuela Arcuri, giunonica attrice italiana (è stata iscritta all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma) che, dopo essere stata oggetto di milioni di preghiere al “Dio Onan” grazie ai suoi calendari, ha detto la sua anche nel mondo del cinema e della televisione. Imprescindibili pellicole come Teste di Cocco o Bagnomaria (dove è accreditata come “la bombolonaia”) o prodotti catodici quali Carabinieri o Imperia: La Grande Cortigiana. Il suo successo in Italia, durante i primi anni di questo nuovo secolo, è strato talmente esaltante che vi ricordo che il 19 luglio del 2002, sul lungomare di Porto Cesareo spuntò una sua statua a grandezza naturale, ingiustamente rimossa il 30 marzo del 2010. Poi, un po’ per colpa dell’età, un po’ per colpa di uno mondo ingiusto che non ha dato a Manuela ciò che evidentemente spetta a Manuela, la luce dei riflettori s’è fatta sempre più tenue, e la nostra ha rischiato di scomparire. Lo spot de Il Labirinto Femminile ce l’ha riportata invece in auge e soprattutto ha fatto nascere in noi una riflessione: come diamine vengono scelti i testimonial nel mondo della pubblicità.

Parliamoci chiaro: Alfonso Luigi Marra è un genio. Dopo l’esperienza con la Arcuri, ha chiamato Karima El Marough (aka Ruby), in quel momento la donna più chiacchierata del nostro paese. Successivamente, quando ormai chiunque s’era stancato di sentire parlare della nipote di Mubarak, è stata la volta Lele Mora. Poi è arrivata Sara Tommasi, per l’occasione travestita da Osama Bin Laden. Insomma, Marra, o colui che si occupa della sua strategia comunicativa, ha il polso della situazione italiana. I suoi testimonial sono azzeccati, sono sulla cresta dell’onda, sono le persone di cui tutti parlano. Per quanto il “successo” di Alfonso Luigi possa risultare misterioso, per quanto possa risultare incredibile che personaggi del genere gettino (ancora di più) alle ortiche una loro inesistente credibilità per un’opera che si occupa dello “strateggismo sentimentale che ha enormemente rallentado il cammino della civiltà”, le scelte operate in ambito comunicativo sono ineccepibili. O quanto meno, decisamente più oculate da quelle di ditte ben più note e, si immagina, danarose.

Fa un certo effetto ascoltare gli spot radiofonici in questo periodo. Immagino anche “guardare gli spot televisivi”, ma faccio parte di quella snobissima élite che nelle cene in terrazza dice distratta: “sai, io non ho la televisione”. (In realtà guardo tutto in Rete, ovvio, ma mi garba fare la figura dello scemo senza televisione). Dopo aver scelto come testimonial per la stagione invernale Sabrina Ferilli, una famosa ditta di poltrone e divani, s’è accaparrata Teo Teocoli. Punto primo: Sabrina Ferilli. Per quale motivo si sceglie Sabrina Ferilli nel 2011 per vendere una poltrona? Che tipo di pubblico si cerca di agganciare? Il calendario parla chiaro e, non me ne voglia la ancora oggi raggiante Ferilli, il fascino non è quello di una Melissa Satta. In più, se escludiamo le sue partecipazioni ai cinepanettoni e a prodotti televisivi non particolarmente esaltanti, la Ferilli non sembra essere in una fase ascendente della sua carriera. Discorso diverso per Teo Teocoli che negli spot in onda in questi giorni ricicla Felice Caccamo, personaggio apparso per la prima volta in televisione ventuno anni fa, nel 1990. Certo, chi esce di casa per comprare un divano, probabilmente non ha 18 anni, ma non per questo sembra giusto scomodare qualcosa che sembra appartenere a un’altra epoca. Lo stesso lo si può dire per il povero Diego Abatantuono che, per una serie di spot per delle autovetture, si rigioca la carta del “terrunciello”, personaggio giunto al successo nel 1981 con il film Il Tango della Gelosia, diretto dal compianto Steno. Dal 1981 ad oggi sono passati, lo dico per i più distratti, trent’anni. Non è forse giunto il momento di cambiare, di affidarsi a qualcosa di più fresco, attuale, giovanile? Il mercato pubblicitario italiano funziona: è evidentemente ricco e spesso è curato più delle produzioni cinematografiche nostrane. Quello che stupisce è il suo mondo di riferimento: i protagonisti degli spot sono quasi sempre, lavorativamente parlando, vecchi o con pochissimo appeal. Perché? Quali logiche seguono gli addetti al casting? Domande che però scompaiono, implodono, si volatilizzano, lasciando dietro di loro un alone di dubbi degno di una puntata di Mistero con Raz Degan, nel momento in cui si sente la voce di Ezio Greggio pubblicizzare una famosa macchina giapponese.