Attualità

E se il 2017 fosse peggio del 2016?

Gli attentati di Berlino e Ankara non fanno presagire nulla di buono per l'Europa, specie in un anno con molte elezioni.

di Anna Momigliano

attentato mercato Berlino

Pensate che il 2016 sia stato un anno da dimenticare? Aspettate il 2017, perché quello che è successo ad Ankara e Berlino non fa presagire nulla di buono. È stato un lunedì nero, e non soltanto per i fatti di sangue, che sono già abbastanza grave di per sé, ma per le conseguenze che rischiano di avere per l’Europa e il Medio Oriente. A Berlino un camion ha travolto di proposito la folla raccolta per un mercatino natalizio, con dinamiche che ricordano l’attentato di Nizza della scorsa estate, uccidendo 12 persone e ferendone una cinquantina: la polizia ha arrestato un immigrato pachistano sospettato, ma l’autore dell’attentato non è ancora stato identificato con certezza. Ad Ankara l’ambasciatore Andrey Karlov è stato assassinato da un poliziotto turco mentre visitava una galleria d’arte: l’attentatore ha urlato «Allahu Akbar» e «Non dimenticate Aleppo!». Come se la giornata non fosse abbastanza tragica, a Zurigo un uomo ha aperto il fuoco in una moschea utilizzata soprattutto da rifugiati somali, ferendo tre persone: per il momento non sono noti movente e identità del criminale.

Tutto questo non è accaduto nel vuoto, ma in un contesto ben preciso. Mentre in Germania, dove si vota nel 2017, il sostegno ad Angela Merkel sta vacillando proprio sulla politica di accoglienza dei rifugiati, e mentre i populismi xenofobi sono in ascesa in tutto il continente. Mentre Russia e Turchia, che nella guerra civile siriana sono coinvolte su fronti opposti (Mosca con Assad, Ankara con i ribelli) stanno faticosamente cercando di trovare una quadra. Mentre in patria Erdogan sta reprimendo le opposizioni come mai prima d’ora; e mentre la Turchia si trova ad affrontare praticamente ogni mese atti terroristici, spesso collegati al conflitto siriano (si stima abbiano fatto 380 vittime in un anno).

ambasciatore russo ucciso Ankara

Il 2017 sarà un anno cruciale per l’Europa, dove molti nodi verranno al pettine, e, si teme, non necessariamente nel senso buono del termine. Immigrazione, terrorismo, xenofobia e populismi sono in temi che, uniti alla stagnazione economica, stanno dominando il dibattito politico; e non bisogna essere dei fini notisti per rendersi conto che la strage di Berlino tocca molti di questi temi. La Germania, che alla fine del 2015 era diventato un modello di accoglienza, si è rilevata più in difficoltà sul tema del previsto: le violenze di Colonia, dove seicento donne sono state molestate durante la notte di Capodanno da gruppi di uomini, alcuni dei quali immigrati recenti e rifugiati, aveva contribuito a creare un clima di risentimento, e la strage di Berlino non fa che peggiorare le cose (in un primo momento i fatti di Capodanno erano stati riportati, specie sulla stampa italiana, con un altro ordine di grandezza, che poi è stato ridimensionato). Il risultato? Angela Merkel, che dal 2016 sembrava essere uscita come unica superstite dello tsunami che ha sconvolto gli assetti politici mondiali (basta guardare questa foto) adesso è a rischio. Il problema, per carità, non è tanto la rottamazione della Kanzlerin, quanto l’ipotesi che Berlino a cada in mano ai populisti e che non sia la sola.

Non si vota soltanto in Germania: nel 2017 andranno alle urne anche Francia, Paesi Bassi, e forse anche l’Italia. È inutile ricordare che si tratta di tre Paesi dove i rigurgiti populisti si fanno sentire chiari e forti: qualche tempo fa il New York Times definiva il Movimento 5 Stelle «il primo partito populista con serie possibilità di vincere in uno dei Paesi europei più importanti». Da tenere d’occhio, poi, ci sono anche Austria e Svezia, che dovrebbero votare nel 2018, e dove le pulsioni xenofobe si stanno facendo sentire. A complicare le cose, gli sviluppi della Brexit: Theresa May ha detto che la procedure di uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea dovrebbe iniziare a marzo.

attentato mercato Berlino

Per l’Europa, insomma, sarà un anno di redde rationem, dove la crisi dei profughi e la sicurezza non sono che due dei temi cruciali. Ma ogni attentato terroristico rischia di rendere la situazione ancora più tesa, specie se coinvolge profughi o richiedenti asilo. La questione dei profughi, che non può essere scissa dai populismi, non può essere separata neppure dalla guerra in Siria. Ed è qui, si diceva, che l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara non fa presagire nulla di nuovo.

A lungo Putin ed Erdogan sono stati nemici, l’uno con Assad e l’altro coi ribelli, ma adesso finalmente sembravano determinati a cercare un compromesso. Certo, l’idea di due leader autoritari che decidono le sorti di una nazione non è propriamente allettante, ma visto che Russia e Turchia sono le due principali potenze coinvolte nel conflitto, è evidente che una soluzione per la Siria passa da loro. L’attentato di lunedì non fermerà i negoziati, anzi è già stato annunciato che andranno avanti. Però complica le cose, perché sta diventando chiaro che ogni mossa di Erdogan comporta un prezzo da pagare in sangue e perché non farà altro che spingere il leader turco alla repressione.

 

Il mercatino di Berlino dopo la strage del camion; corone di fiori ad Ankara per l’ambasciatore russo ucciso (Getty)