Attualità

La Russia a Milano

L'Associazione Italia - Russia compie 70 anni, ma per problemi burocratici rischia di chiudere: memorie di un luogo inestimabile.

di Paolo Nori

In un film di Luciano Salce del 1976, Il secondo tragico Fantozzi, Paolo Villaggio sale sul palco del cinema del Cral dell’azienda dove lavora e dice una battuta diventata poi celebre: «La corazzata Kotemkin è una cagata pazzesca». Seguono novantadue minuti di applausi. Questa battuta ha generato l’idea, nella maggioranza del pubblico italiano, che la Corazzata Potemkin, il film di Ejsenštejn del 1925, fosse un film lunghissimo e noioso, che non è necessariamente un’idea che ha prodotto dei risultati sempre negativi.

Io mi ricordo per esempio la sorpresa quando ho visto il film per la prima volta, sarà stato il 1989, in una piccola sala del teatro Ariosto  di Reggio Emilia, e mi sono accorto che durava sessantaquattro minuti, un’ora e quattro minuti, e che aveva un ritmo, un andiamo, che io mi ricordo che avevo pensato che Ejsenštejn sì, che era bravo, altro che Antonioni (avevo una fidanzata che le piaceva molto Antonioni io Antonioni non riuscivo a capirlo e, devo dire, son passati trent’anni, non l’ho ancora capito).

Ma al di là di Antonioni, la cosa che volevo dire era che quel film lì, io l’avevo visto a Reggio Emilia perché Reggio Emilia era la sede del fondo cinematografico dell’Associazione Italia – Urss, che allora aveva sedi un po’ in tutta Italia, sicuramente in tutta l’Italia del nord, anche a Bologna e anche a Parma, e che era un’associazione che promuoveva le relazioni tra un piccolo e bellissimo paese occidentale, l’Italia, e un grande, meraviglioso paese orientale, l’Unione sovietica.

Una cosa bella, di questa relazione, che mi sembra valesse nei due sensi (ho conosciuto tanti sovietici innamorati dell’Italia, alcuni, perfino, maniaci dei film di Antonioni) era che metteva vicini due posti completamente diversi tra loro. Noi, per esempio, eravamo la periferia del consumismo, loro invece no.

Poco tempo fa ho visto una serie televisiva dove c’era un colonnello del Kgb che, a Mosca, sul finire degli anni Ottanta, raccontava che in ulica Gor’kij , una strada del centro, una signora era entrata in un negozio e aveva chiesto: «Non avete della carne?». E il negoziante aveva risposto: «In questo negozio non abbiamo del pesce, la carne non ce l’hanno nel negozio di fronte».

C’è un libro di Vladimir Archipov, si chiama Design del popolo (Isbn 2007) e riproduce duecento invenzioni della Russia post-sovietica, e mi sembra racconti benissimo di quell’universo in cui non c’era niente e non si buttava via niente: ci sono pale fatte con segnali stradali, antenne fatte con forchette, con ruote di biciclette, con pezzi di cavi elettrici presi da un allevamento di maiali, c’è una museruola il cui proprietario, Aleksej Titov, aveva una moglie che aveva dei vecchi stivali con una pelle così bella che, dopo che li aveva fatti risuolare tantissime volte, non si potevano più fare risuolare, avrebbe dovuto buttarli via solo che erano di una pelle così bella, allora aveva un cane, Titov, e gli aveva fatto una museruola, era un cane bravo, un collie che si chiamava Gerda, non aveva nessun bisogno di una museruola, solo che era una pelle così bella, era un peccato buttarla via.

Ecco, queste cose, e molte altre, in Italia erano conservate e tenute vive nelle associazioni Italia – Urss, che però poi, con la fine dell’Urss, hanno cambiato nome, si sono chiamate associazioni Italia – Russia, e poi molte hanno chiuso, ne è rimasta una, a Milano, che quest’anno compie settant’anni e che da quando mi occupo di traffici con la Russia (sono quasi trent’anni), è un punto di riferimento inestimabile.

In questi trent’anni sono andato più volte, dall’Emilia, a vedere le mostre che hanno organizzato (per esempio Materia prima, con il Museo d’arte contemporanea di Perm’, nel 2012), a partecipare alle loro iniziative (la proiezione, per esempio, dell’Aleksandr Nevskij, di Ejzenštejn con l’esecuzione in contemporanea, per la prima volta in Italia, della colonna sonora composta nel 1938 da Sergej Prokof’ev), e anch’io ogni tanto ho partecipato, con loro a dei corsi, a delle conferenze, all’organizzazione di viaggi (stiamo per partire in un viaggio in cui scopriremo San Pietroburgo attraverso i suoi luoghi letterari, l’ultima casa di Puškin, l’ultima casa di Dostoevskij, l’appartamento di Daniil Charms, l’appartamento di Iosif Brodskij, la casa di Anna Achmatova, la piazza dove è scoppiata la prima rivoluzione russa, nel 1825, la strada dove abitava Oblomov, il ponte vicino al quale avevano rubato il cappotto a Akakij Akakevič, il teatro dove è stato rappresentato per la prima volta il Revisore, nel 1836); ma soprattutto, in questi trent’anni, io ho indirizzato all’Associazione Italia – Russia di Milano decine di persone da tutt’Italia che volevano imparare il russo o andare in Russia e che hanno trovato una risposta competente alle loro necessità.

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Ecco, quest’anno, nel centenario della rivoluzione russa, mi hanno detto dall’Associazione che forse il comune di Milano non rinnoverà la convenzione con la loro sede in via Cadore, cioè forse non verrà rinnovato l’affitto in scadenza il 30 giugno e loro dovranno lasciare la sede, il che potrebbe comportare una chiusura dell’associazione. Mi hanno chiesto se, nel caso si realizzassero queste previsioni, aderirei a un pubblico appello a loro favore, e io gli ho detto che lo farei, però poi ho pensato che forse potevo fare qualcosa d’altro, scrivere magari un pezzetto in cui dire che l’associazione Italia -Russia di Milano, tra le istituzioni, per così dire, con le quali ho avuto a che fare in questi anni, è speciale, e che l’ipotesi di una sua chiusura a me fa venire in mente la parola delitto, e forse l’ho quasi scritto, a pensarci, questo pezzetto, volevo solo aggiungere che, per gli appassionati di Russia, e di Unione sovietica, quel posto lì, non si può spiegare, non si può scrivere, non si può dire, cos’è, e se qualcuno vuole provare, magari può andare in via Cadore, intanto che l’Associazione c’è ancora, entrare nella prima stanza a sinistra, la biblioteca, chiudere gli occhi e annusare: ecco, quella lì è la Russia, e è a Milano.

 

Le immagini, ricavate da un album intitolato “Jalta e dintorni 1972”, sono tratte dal prezioso archivio fotografico dell’associazione, che raccoglie collezioni fotografiche realizzate dalla Tass che l’Urss a partire dagli anni Cinquanta e fino agli anni Ottanta inviava in Europa, sotto forma di reportage fotografici, per promuovere il suo volto migliore. L’archivio, tutelato dalla Sovrintendenza ai beni culturali è consultabile online e conserva circa 5000 fotografie.