Attualità

Amanda Knox

Un non-ritratto della ragazza di cui parla tutta Italia. Una fotografia ancora troppo mossa

di Alberto Piccinini

Quella che segue è un’opinione personale di Alberto Piccinini sul caso del processo di Perugia appena conclusosi. Fotografa bene, secondo me, i pregiudizi culturali di un certo colpevolismo forcaiolo e anche l’approssimazione dell’innocentismo tout court. Personalmente non sono né innocentista né colpevolista. Sono, però, profondamente garantista, e la cosa che più mi ha fatto orrore è stata la folla assetata di galera che gridava ‘vergogna’ fuori dal tribunale (ho sempre fatto fatica a comprendere la gioia di chiunque al pensiero di qualsiasi essere umano in carcere, e mi auguro di pensarla così per sempre). Così come i pm star che, a verdetto ottenuto, parlavano di ‘sentenza senza giustizia’.
Non possiamo mettere sullo stesso piano, come ha fatto Serra su Repubblica, questi atteggiamenti forcaioli coi festeggiamenti umanamente comprensibili di parenti e amici per la liberazione di Amanda. La quale, fino a prova contraria, è stata giudicata innocente e ha passato quattro anni ingiustamente nelle nostre galere, così come Raffaele (di cui si parla poco perché, essendo pugliese, mal si presta al chiacchiericcio antiamerikano).
Di questo dovremmo parlare, del nostro deficit garantista, della nostra giustizia difettosa, del rapporto morboso che abbiamo con essa, e di una pericolosa contiguità fra afflati anticasta e bavoso desiderio di forca.
Spero che le parole di Piccinini vi stimolino più riflessioni che certezze.
F.S. (direttore Studio)


KNOX, Amanda. Fotografia mossa. Troppo. Non ho opinioni su Amanda Knox. Salvo un fastidioso riflesso colpevolista sul ginocchio destro. E un ronzio innocentista nell’orecchio. Quest’ultimo me l’ha spiegato bene l’altro giorno l’inviato di Repubblica a Seattle: “…riconsegnato alla città del grunge e di Kurt Cobain quest’altro angelo caduto”. Uhm. Sì. Ricordavo la storia letta sul giornale tre anni fa secondo cui Amanda in carcere ogni mattina si svegliava e suonava Let it Be dei Beatles, facendo impazzire “i secondini e i detenuti”. L’aveva riferita il Corriere traducendo il News of the World, il tabloid dei tabloid. Quello chiuso fragorosamente pochi mesi fa per aver superato i limiti della decenza deontologica, tanto per dire.

Quanto al riflesso colpevolista, e alla ricerca di idee più chiare delle mie, ritrascrivo integralmente il solitario post comparso in questi giorni sulla pagina facebook di Popolo Viola/99 Posse: “Rudy Guede è un cattivo guaglione, nero e povero, e sconta 16 anni di carcere per concorso in omicidio. Meredith Kercher è una ragazza di Croydon, la Londra proletaria a sud del Tamigi. Raffaele Sollecito e Amanda Knox appartengono a famiglie ricche e potenti. Guede è complice di un assassinio che non si sa chi ha commesso, Meredith è morta e Sollecito e la Knox vengono assolti. La galera non la auguriamo a nessuno, ma ci finiscono sempre e solo i “Cattivi guagliuni””.

Cattivi Guaglioni è l’ultimo videoclip dei 99 Posse, comunque. Tralascio perciò gli eventuali intrighi internazionali, nascosti a detta di qualcuno dietro il processo a Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Lo sapevate che in galera Amanda Knox ha scritto soggetto e sceneggiatura di un videoclip per la sconosciuta band umbra H.o.t.? Io no. E adesso lo so.

Pure Marco Travaglio sul Fatto ha scritto “Rudy invece è un poveraccio, per giunta negro”, facendo subito dopo funzionare il suo ipertrofico archivio tribunalizio e ricordandoci che “1 gup, 9 giudici di 3 riesami, 5 di cassazione” hanno convalidato le prove scientifiche che hanno tenuto Amanda in carcere per 4 anni. Tirando nuovamente in ballo il pezzo più inquietante di tutta la storia: la prima confessione nella quale la ragazza americana descrive la scena del delitto e tira in ballo il padrone del bar dove lavorava come cameriera, Patrick Lumumba. Per questo è stata condannata nell’ultima sentenza d’appello a tre anni per calunnia.

Ecco Amanda, il 7 novembre 2007: «Patrick e Meredith si sono appartati nella stanza di Meredith, mentre io mi pare che sono rimasta in cucina. Non riesco a ricordare quanto tempo siano rimasti insieme nella camera ma posso solo dire che a un certo punto ho sentito delle grida di Meredith e io spaventata mi sono tappata le orecchie. Poi non ricordo più nulla, ho una grande confusione in testa. Non ricordo se Meredith gridava e se sentivo anche dei tonfi perché ero sconvolta, ma immaginavo cosa potesse essere successo». Inutilizzabile in tribunale, niente avvocati difensori, niente di niente, nemmeno una confessione. Quindici giorni dopo la ritrattazione: “… queste cose mi sembrano irreali, come un sogno, e non sono sicura se siano cose realmente successe o siano soltanto dei sogni che la mia mente ha creato per tentare di rispondere alle domande che avevo in testa e alle domande che mi sono state poste”.

Devo continuare? È una brutta bestia la cronaca nera.

Si può sempre fare come Michele Serra che l’altro giorno su Repubblica se l’è presa con i due “popolini di opposto sentire ma di idem scemenza”, i forcaioli perugini che fuori dal tribunale gridavano “vergogna, vergogna” e gli innocentisti yankee che hanno accolto l’angelo Amanda Knox all’aeroporto di Seattle. Nel mio piccolo ho visto in diretta le grida, durante il blobbistico girotondo di interviste sui canali di informazione. Posso sbagliare, ma temo ci fosse un imprevedibile riflesso di antipolitica di fronte all’apparizione ai microfoni di Giulia Bongiorno, l’avvocata-parlamentare-star che ha già fatto assolvere Andreotti, e ha convinto i giudici di Perugia dell’innocenza della coppia di belli e dannati tirando in ballo in sequenza la “Venere in pelliccia” (“Amanda è stata trasformata in una Venere in pelliccia, in una femme fatale della letteratura decadente, e invece è una donna fedele”), un personaggio di Proust (“che non aveva altri desideri se non quelli di sua moglie”), planando infine su Jessica Rabbit (“non sono così, mi disegnano così”), proprio con lo stesso rovinoso pressappochismo retorico di un qualsiasi deputato di provincia.

Infine, alla ricerca di una maniera per schiarirmi le idee sono uscito ancor più stordito dalla lettura con gran ritardo di “The neverending nightmare of Amanda Knox”. Quindici cartelle dello scrittore Nathaniel Rich pubblicate a giugno scorso da “Rolling Stone” edizione americana. Un pezzo tendenzialmente “alieno” secondo tradizione della rivista, anzi un troppo pulitino per i miei gusti, infinito ma interessante. Nel quale si ricorda, ad esempio, che il pm del processo Giuliano Mignini è lo stesso che tirò fuori la teoria delle sette sataniche in occasione del lungo e complicato processo al mostro di Firenze, e qualcosa del genere a provato a suggerire a proposito dell’assassinio di Meredith Kercher, avvenuto ad Halloween, e al quale per inciso manca un movente vero e proprio che non sia appunto la mancanza di movente quindi il diavolo probabilmente o chi per lui.

In sostanza – sostiene Rich, mi pare – il caso Meredith-Amanda metterebbe in luce più che altro i difetti culturali della polizia italiana e degli italiani in generale, che all’idea dell’orgia rituale di quattro ventenni universitari si accosterebbe con una certa acquolina in bocca, un’inconfessabile emozione figlia di un certo cinema horror anni ’70 e di conseguenza del generico cattolicesimo che tutti ci pervade. E così c’è abbastanza materia per giustificare anche il ronzio innocentista. Pare che durante la detenzione Amanda, lo scrive lei stessa in un “prison diary exclusive” pubblicato da The Sun – e coi tabloid siamo al completo – “fosse ripetutamente richiesta su dettagli della sua vita sessuale da un secondino uomo”. “Il suo ruolo – racconta lei – era quello di continuare a investigare e capire come reagivo alle provocazioni”.

Oddio. Il secondino che è in noi, quello mi inquieta. Ma fino a un certo punto. Non ve ne parlerò.