Attualità

Amanda Palmer

Ritratto di un'artista che - tra le altre cose - ha raccolto milioni di dollari su KickStarter ma vuole che per lei si suoni gratis.

di Violetta Bellocchio

Questa storia ha tutto: amore, odio, donne, denaro, tradimenti e persone che urlano su Internet.

Amanda Palmer è l’ex metà femminile dei Dresden Dolls, che ha poi intrapreso con successo una carriera solista. Arriva il momento di buttare fuori un nuovo album, dopo la separazione dall’etichetta Roadrunner Records. Lei decide di auto-finanziarsi chiedendo i soldi a chi ama il suo lavoro; va su Kickstarter, annuncia il progetto, stabilisce come obiettivo 100.000 dollari, li ottiene in sette ore; a quel punto ne chiede un milione, di dollari, e lo raccoglie in un mese. (In realtà lo supera pure: alla fine la cifra totale è poco sotto i 1.200.000 dollari.) Sul suo blog personale, Palmer precisa – nei dettagli – come intende spendere questo denaro, e anche prima di chiudere i conti è chiaro che i forti donatori si porteranno a casa una barca di extra, compresa l’edizione ultra-limitata di un libro del marito Neil Gaiman. Comunque: un milione di dollari. Su Kickstarter. La gente la ama. Troppo? Il giusto? Mai abbastanza? Alla fine, I FATTI: Amanda Palmer ha un numero di estimatori tale da tirare su tutto il budget per il nuovo disco in un mese. Persone pronte a pagare bene il suo lavoro; fans affezionati e motivati, che la seguono pazientemente su tutti i social network dove lei mantiene una presenza. Inoltre, un milione di dollari.

E ora, il twist: Amanda Palmer vuole che per lei si suoni gratis. Questo è il suo annuncio, diffuso sempre via blog: «cerco musicisti classici, professionisti o semi-professionisti, che si esibiscano con me dal vivo in queste città e date (segue elenco); non posso pagarvi, ciao».

A qualcuno sta bene, e lo rende pubblico, come la violoncellista Unwoman e la violinista Betty Widerski; per qualcun altro l’entusiasmo iniziale non sopravvive al fare due conti.

E’ il caso della suonatrice di corno Amy Vaillancourt, che scrive, «mi piace molto Amanda Palmer, ma non posso permettermi di lavorare gratis per una che ha appena raccolto un milione di dollari, specialmente in un momento difficile per tutti, e dovrebbe saperlo anche lei». Contro-argomento di Palmer, riassunto da un post intitolato “Musicisti, volontariato e libera scelta“: «Abbiamo tutti suonato gratis nella vita, ricavandone al massimo l’opportunità di vendere i nostri CD o le magliette; io ho suonato gratis molto, molto spesso (segue elenco); quando i Dresden Dolls aprirono il tour dei Nine Inch Nails ci abbiamo addirittura perso dei soldi, ma ne abbiamo guadagnato una marea di visibilità e di nuovi fan; succederà anche a voi!!!». La cosa non seda nessun animo, il musicista e produttore Steve Albini dà a Palmer della cretina e poi rettifica in “arraffona sfruttatrice”, tutti puntano il dito contro qualcuno. Ma comunque c’è il lieto fine: la faccenda rientra, perché Palmer annuncia che ci ha riflettuto molto, grazie all’Internet, e ora pagherà i musicisti ospiti.

Il primo livello di difficoltà nella storia è rappresentato dalla domanda «E’ opportuno lavorare gratis?». Il secondo livello dalla domanda «E’ opportuno lavorare gratis per questa donna?».

Amanda Palmer è una di quegli artisti che è d’obbligo definire “controversi”, non tanto per la proposta musicale che mette sul mercato, ma per l’attitudine al risolvimento problemi. Lei è davvero l’anti Lady GaGa: le tiri una pallina di carta, lei ti risponde a cannonate, secondo una dottrina dell’eccesso di legittima difesa allargata a quasi ogni aspetto della vita sociale e messa in atto da una personalità che gioca moltissimo sul contatto con “il suo pubblico”, anche al di là della teatralità esasperata con cui porta in scena se stessa più spesso che no. (Per cui, con lo stesso spirito, può fare una cover live di “Call Me Maybe” e un pezzo famoso di Cabaret. Non ho detto che è una brutta cosa; sto dicendo che è un’impronta abbastanza precisa da dare ai tuoi live.) I metodi prescelti per tenere vivo il contatto con i fan spaziano da quelli familiari alle pop star tradizionali (Palmer twitta in continuazione) a quelli un po’ meno ortodossi, non per il canale ma per il cosa. Come quando, tramite il suo blog, ha fatto una cronaca puntuale della separazione tra lei e la Roadrunner Records. A un certo punto diventerà assolutamente possibile, e quasi incoraggiato, non avere sentimenti particolari per il lavoro che Amanda Palmer svolge (a parte “Oasis“, che ci dovremmo sempre cantare da soli quando ci accorgiamo di stare provando troppe emozioni troppo intense per un prodotto che non se lo merita), mentre i sentimenti si trasferiranno tutti quanti su cose che lei dice o non dice. Compreso il fatto di aver raccontato online alcuni episodi tramatici della sua giovinezza.

A parte l’accusa sempreverde di essere una attention whore, una pronta a tutto pur di generare notizie, l’impressione di alcuni è che Palmer non si lasci mai sfuggire l’occasione di dipingere stessa come un’artista “pura”, che non scende a compromessi quando si tratta di integrità e che quindi viene punita dal Sistema perché pecca di eccessiva onestà. (Nella pratica: osservazioni da parte della sua vecchia etichetta sul fatto che in un video le si vedesse un po’ di pancia = strilli, accuse di volerla ridurre alla schiavitù della dittatura patriarcale, uso liberale della frase “non sono mica Katy Perry!”, conio del termine “BellyGate“.) Ma il modo con cui è stata gestita la raccolta Kickstarter parla chiaro della devozione da parte del suo pubblico, e anche, se volete, di quello che sta diventando il crowdfunding, per cui forse hai più fortuna se la spari altissima. (Giusto per amore di paragone: sempre su Kickstarter, una troupe teatrale ha chiesto 3.000 dollari come contributo per portare in scena a Chicago la commedia Jersey Shore: The Musical, promettendo ai donatori cose che andavano dai biglietti gratis ai poster autografati e alla possibilità di incontrare il cast; e sono contenta che ce l’abbiano fatta, perché altrimenti non avrei mai potuto imparare a memoria “I Miss You (You Cunt)” , e cantarla sotto la doccia quando voglio frantumare quel che resta di questa quarta parete.)

Torniamo a Amanda Palmer, e parliamo del pasticcio che è stato la vicenda Evelyn Evelyn – in breve: Palmer e l’amico musicista Jason Webley si fingevano gemelle siamesi e suonavano a quattro mani; la finzione era molto evidente sul palco, e accettata dai fan come un breve siparietto all’interno di uno show; dopo di che Palmer alle finte gemelle ha dedicato un disco intero, poi le ha trattate come se fossero amiche sue, poi ha detto che erano persone reali, poi ha scritto sul suo blog che le povere gemelle erano state abusate oltre ogni limite durante la loro orribile infanzia da freak del circo, con tanto di filmati pedo-pornografici e pazzi stupratori a piede libero – a quel punto, qualcuno ha alzato la mano e ha detto «um, questa non è una mancanza di rispetto verso i veri portatori di handicap?», e anche «senti Amanda, adesso hai veramente rotto il cazzo». Palmer reagiva a colpi di «faccio quello che voglio, perché io sono un genio e voi siete dei poveracci su Internet», e si vantava di quante e-mail da parte di femministe, disabili e femministe disabili avesse buttato nel cestino senza aprirle; poi però era costretta a chiedere scusa via blog, tale era il clima di ostilità contro di lei. Quindi il ruolino di marcia è sempre lo stesso, no? Amanda la spara grossa / Internet le dice «Amanda fai schifo fai schifo fai schifo» / Amanda prima si arrabbia, poi dice «no, sì, in effetti, ho imparato la lezione». E dopo un paio di mesi si ricomincia da capo. E vai.

Non credo che certe critiche vengano dirette a Palmer perché lei è una donna; durante l’affare Kickstarter l’unica osservazione davvero inopportuna («ma i soldi non se li poteva far dare da suo marito?») è rimasta impigliata in pochi commenti da forum. Ma credo che certe conversazioni culturali non sarebbero possibili, senza i forti sentimenti che colorano e dominano una discussione online, e senza quella che è diventata, oggi, la natura stessa del consumo: il passaggio, ormai ben documentato, dall’essere un fan di qualcosa all’essere un fan di qualcosa su Internet. Perciò: la vita del fan medio di Amanda Palmer è una storia d’amore epica con se stesso, oppure ricalca il modello dell’abuso emotivo tra le mura di casa? La vita di chi odia Amanda Palmer è arricchita dalle cazzate che lei spara a intervalli regolari? Come ci si sente, ad amare o a odiare Amanda Palmer? E’ un buon investimento, in termini emotivi? Siete disposti a pagare per sentirla suonare, o preferite restare a casa a guardare la neve anche quando non cade?

 

(Immagine: via)