Attualità

A proposito dello smarm, pt. 1

Riassunto e analisi in più episodi di "On smarm", il saggio del giornalista Tom Scocca apparso su Gawker che si domanda che fine abbia fatto la critica culturale.

di Cesare Alemanni

Tra una recensione del tempo (sì, ho scritto proprio recensione) su The Awl e l’altra, Tom Scocca scrive classifiche di salse da cucina, obituary decisamente commoventiguide di Pechino. È un tipo molto versatile. È anche una delle penne in più rapida ascesa nel panorama della scrittura non fiction americana; è divertente, brillante, sa muoversi bene nei recessi della cultura post-internet e infatti lavora per Gawker, un superblog che è anche uno degli epicentri di quella cultura. Proprio lì, qualche giorno fa, ha pubblicato un lungo e fitto saggio rapidamente diventato il più discusso dell’ultima settimana all’interno della comunità letteraria brooklynite. Si intitola “On Smarm”, parla di snark oltre che ovviamente di smarm e, tra le altre cose, a metà definisce Dave Eggers “pieno di stronzate”.

Preambolo: la prima parte di questo pezzo proverà a essere un riassunto, non del tutto esaustivo data la lunghezza dell’originale, dell’articolo di Scocca mentre nella seconda, online tra qualche giorno, racconterò alcune delle reazioni che esso ha suscitato e infine cercherò di aggiungere qualche considerazione a margine, guardando anche all’Italia. È diviso in più segmenti per ragioni di tempo, sia di scrittura sia di lettura.

Ma sarà meglio cominciare dall’inizio, ovvero da cosa significa snark.

Come scrive Scocca, «snark è un’aggiunta piuttosto recente al nostro vocabolario e non è ancora del tutto chiaro cosa sia». Se il significato di snark è ancora da dirimere del tutto nel contesto in cui il termine “nasce”, figuriamoci quanto può essere cristallina una trasposizione nel nostro. Tuttavia, per amore di semplificazione, si può dire che con snark si intende un’attitudine critica e ostile verso qualcosa di cui non si apprezza la fattura, innaffiata poi di sarcasmo e ironia. È il naso arricciato in segno di disapprovazione o addirittura di disprezzo. Uno scuotere ironico della testa che, come sosteneva Heidi Julavits in un saggio apparso sul primo numero di The Believer, era il denominatore comune di molte recensioni di opere letterarie agli inizi dei 2000. Nel suo saggio Julavits isolava persino un modus operandi tipico dello snark, lo snark byte, ovvero l’interpolazione di passaggi estrapolati dal contesto dell’opera originale all’interno di recensioni della stessa, al puro scopo di smontare nel modo più efficace e dissacrante l’opera in questione.

E lo smarm invece?

Originariamente smarm indicava un tipo di pasta per capelli molto in voga in India fino al secolo scorso, un gel particolarmente unto e appiccicoso. Da lì ha finito con il tempo a signifcare un atteggiamento untuoso, auto-apologetico e che prende le distanze da qualunque approccio critico in nome – a suo dire– della costruttività. Lo smarm è la frase che accomuna Andreotti e Thumper, il coniglietto di Bambi (v. immagine): «se non puoi parlare bene di qualcuno, non parlarne». Nelle parole di Scocca lo smarm è «una posa di seriosità, virtù, e costruttività priva di sostanza», che essenzialmente si – e – ti domanda: «perché non possiamo essere tutti quanti un po’ più carini?». Lo smarm modella le opinioni per renderle meno critiche, appiana le divergenze. Smarm, secondo Scocca, è Isaac Fitzgerald – ex di McSweeney’s e fondatore di The Rumpus.net appena arruolato da Buzzfeed per curare la nuova sezione letteraria del sito – che dichiara di non voler pubblicare recensioni negative in quanto più interessato a creare «una comunità positiva» per rispetto della fatica degli autori. I quali, buono o scadente che sia la loro produzione, secondo Fitzgerald «hanno comunque lavorato duramente» per scrivere un libro. (Del caso BuzzFeed/Fitzgerald caso, vi avevamo già parlato qui)

Lo smarm è «una posa di seriosità, virtù, e costruttività priva di sostanza», che essenzialmente si – e – ti domanda: «perché non possiamo essere tutti quanti un po’ più carini?».

La posizione dell’editor letterario di Buzzfeed, secondo Scocca, è parte di un più ampio consenso «circa il fatto che il problema del nostro tempo sia lo snark», che la critica aspra sia un segno di debolezza intellettuale e di cattiveria gratuita e che in definitiva essa sia intrinsecamente sbagliata e dannosa, al punto che di recente un’agenzia di PR ha indetto per il terzo martedì di Ottobre «una giornata “snark-free”», in nome dell’idea che «se riuscissimo a mettere da parte lo snark anche per un giorno soltanto, vivremmo vite più felici e produttive». Ma, si chiede Scocca, un mondo in cui PR sono più produttivi è effettivamente un mondo più produttivo in toto? È giusto o anche semplicemente normale che le visioni e gli obiettivi dei pubblicitari siano le visioni e gli obiettivi del mondo in generale?

Giusto o sbagliato, normale o aberrante che sia quello che viviamo, secondo Scocca, è già un mondo ritagliato su una simile e zuccherosa visione della realtà, una visione in cui qualunque critica è bandita come intrinsecamente inaccettabile e sbagliata. Negli ultimi dieci anni, a suo dire, il giornalista ha infatti collezionato indizi in diversi ambiti culturali (e ne cita numerosissimi nel pezzo che ovviamente vi invito di nuovo a leggere) del fatto che la stessa attitudine pro-positività e pro-neutralità – nella misura in cui queste si accordano con il consumismo – che sta a cuore a chi si occupa di marketing e comunicazione, è in realtà parte di un’attitudine molto più estesa che appunto si può riassumere con il termine di smarm. E così, dieci anni dopo la Julavits, che all’epoca intravedeva nel sarcasmo dello snark «un sintomo di più profonde debolezze culturali», Scocca scrive il suo saggio per ribaltare la percezione della questione e dimostrare che sono proprio gli eccessi di “pensiero positivo” e l’esasperata fuga da ogni tipo di criticismo a rivelare oggi le fallacie del sistema di valori occidentale.

Per Scocca sono frasi come quella che segue, tratta da un’intervista fatta a Eggers nel 2000, ad avere irrorato i semi del male:

«Sono stato un critico e vorrei poter rimangiarmi tutto, perché quelle critiche venivano da una parte spiacevole e ignorante di me, e parlavano la lingua della rabbia e dell’invidia. Non giudicate un libro a meno che non ne abbiate scritto uno, non giudicate un film a meno di non averne girato uno, non giudicate una persona finché non l’avete incontrata».

Sostanzialmente Eggers sta dicendo che la critica cinematografica dovrebbe essere riservata soltanto a quei pochi che possono accedere a decine di milioni di dollari messi a disposizione dall’industria dell’intrattenimento.

In questa frase secondo Scocca, ci sono tutti i tratti salienti dello smarm: «Il rimprovero, gli inviti all’inclusività, il richiamo alla virtù e alla maturità. Eggers – ci dice lui stesso – è stato un critico, ma finalmente ha superato quella fase infantile. […] Non è un caso che Eggers sia pieno di stronzate. È talmente appassionato, e la sua passione tocca vette retoriche tali che è praticamente impossibile non notare quanto sia artificioso e offensivo ciò che dice. Non criticate… un film? Finché non ne avete girato uno? Qualunque film? Davvero? The Internship? Lone Ranger? Unstoppable? Sostanzialmente Eggers sta dicendo che la critica cinematografica dovrebbe essere riservata soltanto a quei pochi che possono accedere a decine di milioni di dollari messi a disposizione dall’industria dell’intrattenimento. Cento o duecento milioni nel caso tu voglia avere un’opinione su un film di Michael Bay».

Lo smarm secondo Scocca è un tentativo di supplire al tramonto, decretato dal postmoderno, di un chiaro a autorevole quadro di valori e alla fine del vecchio sistema di prestigio diventato «traballante e insicuro», un sistema in cui «chiunque dispone di una piattaforma di pubblicazione ma nessuno ha una carriera». Lo smarm offre un riparo dalle intemperie dell’epoca, è un surrogato povero dell’autorità e dell’autorevolezza perduta da «circoli letterari, grandi quotidiani, leadership di partito», ma è comunque qualcosa, un’apparenza di autorità e autorevolezza costruita sulla connivenza tra simili, in nome dell’essere costruttivi, del darsi di gomito, del fare fronte comune contro i cosidetti “hater”, che spesso non sono altro che gli outsider, quelli che non avendo (ancora) particolari privilegi da difendere, il controllo dei mezzi di produzione o l’accesso ai “giri giusti” esercitano il loro diritto di critica dall’esterno della conventicola. L’autorevolezza smarrita è un arto perduto e lo smarm è una stampella. Certo, ha soltanto le apparenze del “vecchio ordine” ma è comunque meglio di nulla. Senza il riparo offerto da quell’apparenza, senza quel venirsi incontro in nome delle necessità, del reciproco accordarsi nello smarm, «avere un’opinione significa essere nudi e soli. Una voce nella cacofonia di milioni». Un concetto che viene esplicitato ancora meglio da Lee Siegel, un critico letterario che scrive per il New Yorker che di recente ha confessato di aver deciso di accantonare qualunque forma di ostilità proprio per questa ragione e ha giustificato la sua scelta in questo modo: «A differenza di una recensione positiva, una negativa implica autorevolezza, e l’autorevolezza è diventata qualcosa di ambiguo nella nostra epoca di rapidi e fertili scambi su internet, in cui tutti i vecchi parametri della critica sono sul punto di svanire o di essere re-inventati […] La fonte della loro autorevolezza non è semplicemente opaca. È praticamente inesistente».

Lo smarm non è tuttavia solo un rumore di fondo culturale prodotto da élite smarrite ma è fin dal principio e prima di tutto uno stile dell’epoca fondato su ben precisi presupposti materialisti rintracciabili nel funzionamento di alcuni giganti della rete.

Per Scocca, lo smarm non è tuttavia solo un rumore di fondo culturale prodotto da élite smarrite ma è fin dal principio e prima di tutto uno stile dell’epoca fondato su presupposti ben precisi, rintracciabili anche nel funzionamento di alcuni giganti della rete. Lo smarm è ciò su cui poggiano siti come Buzzfeed quando realizzano la ormai famigerata gallery “21 immagini che ti ridaranno fiducia nell’umanità“. Lo smarm è la pietra angolare di un sito come UpWorthy, il cui core business, come ha scritto su queste stesse pagine Pietro Minto, «è la catarsi e la speranza ultima che, dopotutto, possiamo ancora farcela», dove “farcela” sta per “il genere umano”. Adam Mordecai, editor at large del sito, ha illustrato qualche tempo fa alcuni dei principi alla base di UpWorthy: «non bisogna deprimere le persone al punto da togliere loro fiducia nel prossimo. Titoli negativi portano condivisioni negative […] (non si deve, ndr) far prendere alle persone posizioni che le potrebbero mettere a disagio […] e neppure usare termini che soffocano, polarizzano o annoiano le persone».

Il risultato di questo approccio è che il lessico di Upworthy «è un’emulazione dell’inglese privata di ogni reale contenuto semantico», scrive Scocca. Un guscio vuoto da 130 milioni di utenti unici mensili.

 

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