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Perché le elezioni francesi, olandesi e tedesche ci riguardano tutti

Fra una settimana si vota in Olanda, fra un mese e mezzo in Francia, fra 6 mesi in Germania. Quali sono gli schieramenti da cui dipende il futuro dell’Europa.

di Studio

Basta aprire le homepage o guardare le prime pagine di gran parte dei media globali, grandi e piccoli, specializzati e non, per capire che le elezioni politiche di alcuni fra i principali Paesi europei che si svolgeranno nel 2017 travalicano la sfera dell’interesse politico nazionale e assumono lo status di vere e proprie consultazioni elettorali in cui ci si gioca una buona fetta del destino dell’Unione europea e quindi, di conseguenza, degli equilibri globali futuri. La prossima settimana si vota in Olanda, fra un mese e mezzo in Francia, a settembre in Germania. Con le differenze e le peculiarità dei singoli Paesi e le sfumature delle relative proposte politiche – che raccontiamo più avanti – si scontrano nelle diverse urne, ancora più che in passato, due visioni del mondo contrapposte e in antitesi: una che vuole ridare forza a parole come apertura, globalizzazione, Unione europea, e una che crede che il futuro dei cittadini europei debba saldamente tornare in mano a poteri, confini ed economie nazionali. È un discorso che ci riguarda tutti e mai come oggi il risultato di un paese può influenzare la vita dei cittadini degli altri.  Sarà un tema che seguiremo con particolare attenzione anche e soprattutto per questo motivo. Di seguito trovate una prima descrizione in tre punti degli schieramenti in campo in Germania, in Francia e in Olanda.

 

Merkel contro Schultz contro Peutry, i tre schieramenti globali si sfidano in Germania

angela merkelA settembre si voterà in Germania; l’appuntamento è ancora troppo distante per capire come si stanno mettendo le cose, i sondaggi valgono quindi meno del solito, però è un fatto che gli attori in campo al momento, principalmente tre, rappresentino altrettanti schieramenti analoghi a quelli che si vanno formando nell’opinione pubblica e nell’agone politico di quasi tutte le nazioni dell’Unione, naturalmente ognuno con le proprie peculiarità. Angela Merkel, che si candida per un quarto mandato, è la leader uscente, la favorita per ora, e rappresenta in tutto e per tutto la continuità, sia per la Germania, che per l’Europa, continente che politicamente guida di fatto da qualche lustro. Esprime una posizione fino a poco tempo fa maggioritaria fra i conservatori europei: austerità e conti in ordine, difesa delle istituzioni europee e dei valori occidentali. Una posizione in parte messa in crisi dall’insorgere forte dell’ondata anti-sistema globale – da Trump a Brexit, da Marine Le Pen a Geert Wilders –  che ha paradossalmente visto scivolare le politiche della Cancelliera verso posizioni più liberal, seppur moderate: una politica di accoglienza dei migranti più articolata e meno intransigente, una tolleranza maggiore verso altri attori del progetto europeo, considerato in qualche modo sotto minaccia, una posizione chiara nel nuovo scacchiere globale, come a dire: se Trump rappresenta coloro i quali vogliono tornare al protezionismo e al protagonismo dei singoli Stati nazionali, noi restiamo fermamente a presidiare il campo dell’apertura e dei valori alla base dell’identità europea.

martin schulzTutto ciò aveva paradossalmente messo in difficoltà l’Spd, il Partito socialdemocratico, che dopo gli anni d’oro del governo riformista di Schröder si era ritrovato ormai fossilizzato nel ruolo di comprimario e alleato di minoranza del vasto governo Merkel. Tendenza che sembra essersi in qualche modo invertita dall’annuncio della candidatura di Martin Schulz avvenuto a gennaio. Schulz, già presidente del Parlamento europeo dal 2012 al 2017, pare essere in grado di sfruttare, in questa fase, la propria popolarità per imprimere nuova frauke petrylinfa al centrosinistra tedesco, riuscendo nell’intento di dare un volto istituzionale e rassicurante alla diffusa richiesta di maggiore giustizia sociale, fungendo così in qualche modo da argine alla spinta demagogica dell’Afd, l’Alleanza per la Germania, movimento di destra che strizza l’occhio a Putin (con il cui partito ha stretto un’alleanza formale) e a Trump. Guidato dalla quarantunenne Frauke Petry, l’Afd si è spostato dalle posizioni iniziali principalmente liberiste in materia di economia, a un’intransigente opposizione alle politiche di immigrazione del governo Merkel, giudicate troppo permissive, sposando di fatto una linea patriottica, nazionalista, col sogno di creare una forza popolare che faccia gli interessi dei tedeschi prima di tutto.

 

L’eccezionalità di Macron, la forza di Le Pen e una Francia che non sarà più quella di prima

benoit hamonI tre schieramenti ideologici – conservatore, socialdemocratico, nazionalista – in Francia, dove invece si vota il 23 aprile per il primo turno delle elezioni presidenziali (il ballottaggio si svolge due settimane dopo), diventano almeno quattro e partono da posizioni di consenso molto diverse da quelle tedesche. Qui lo schieramento di governo uscente, guidato dal Partito socialista, sostanzialmente non esiste più. Francois Hollande, ai minimi storici come consenso per un Presidente della Repubblica, ha deciso di non candidarsi, aprendo uno spazio politico che ha finito per essere colmato da proposte differenti. Il candidato del Partito socialista è Benoit Hamon, il quale ha vinto le primarie interne contro il primo ministro uscente Manuel Valls proponendo una piattaforma molto più radicale e di sinistra in senso novecentesco non solo di Valls, ma dello stesso Hollande: reddito di cittadinanza, abrogazione delle contestata riforma del lavoro dell’ultimo governo, molti temi ambientali, riconoscimento dello Stato palestinese da parte della Francia. Una piattaforma politica che, mentre scriviamo, vale circa il 16 percento (fonte Le Monde) nei sondaggi, molto al di sotto del consenso abituale del Partito socialista.

emmanuel macronLa debolezza di Hamon e del Pse è data da due fattori: il non aver saputo stringere un patto con cosa di radicale già esisteva alla sua sinistra (blocco che va alle elezioni con Jean-Luc Mélenchon come candidato), e l’aver creato lo spazio, sterzando a sinistra, per una proposta più europeista, più modernizzatrice, meno ideologica e più centrata su futuro e innovazione. Uno spazio che è andato a colmare Emmanuel Macron, giovane ex ministro del governo Hollande, il quale già nella primavera del 2016 aveva lasciato governo e Partito socialista per fondare il proprio movimento, En Marche!, presentato con alcune parole d’ordine molto chiare: no alla vecchia politica, no a una rigida divisione in destra e sinistra, no al protezionismo e ai vecchi nazionalismi, no al marine le penpopulismo. Macron, inizialmente un outsider, fra la sorpresa generale è cresciuto fino ad affermarsi come uno dei favoriti alla corsa presidenziale di aprile e maggio (oggi è dato dai sondaggi al 24 percento, fonte Le Monde), con buone chance di arrivare a giocarsi il ballottaggio da favorito. È su Macron che un vasto schieramento europeo di forze democratiche, progressiste e liberali ripone le speranze di ridare nuova linfa al progetto europeo e di riuscire ad invertire una tendenza che negli Stati Uniti con Trump e in Gran Bretagna con Brexit ha visto trionfare lo schieramento nazionalista e protezionista. Schieramento che proprio in Francia ha uno dei suoi campioni globali, quella Marine Le Pen che ha saputo trasformare il Front National da movimento di destra radicale a prima forza politica di Francia (secondo Le Monde è oggi al 25 percento), cavalcando un patriottismo spinto, composto soprattutto di avversione al multiculturalismo e al progetto di integrazioni europea.
francois fillonSono Emmanuel Macron e Marine Le Pen, senza dubbio, i due volti principali di una sfida che in Francia potrebbe essere insidiata solo da una rimonta del candidato dei Repubblicani, il partito conservatore francese, François Fillon, oggi molto indebolito (è dato al 21 percento, fonte Le Monde) da una vicenda giudiziaria che l’ha visto coinvolto. Sarebbe la prima volta che non vanno al ballottaggio né i socialisti né i conservatori. Una svolta epocale per la Francia e per l’Europa.

 

Olanda, Wilders contro tutti

geert wildersI primi a votare, il prossimo 15 marzo, saranno i cittadini olandesi. Qui il sistema politico ed elettorale è di tipo proporzionale e, fra partiti tradizionali e nuovi movimenti, sono almeno 13 le forze politiche che possono aspirare a un posto in Parlamento. Il protagonista assoluto, declinazione locale dello schieramento nazionalista e populista globale nonché in qualche modo suo precursore (ha fondato il suo partito nel 2006, Politico l’ha definito «l’uomo che ha inventato il trumpismo»), è quel Geert Wilders capace di portare il suo Pvv in testa a tutti i sondaggi. Il sistema politico, come dicevamo puramente tradizionale, difficilmente gli permetterà di arrivare al governo, anche perché il mark rutteprincipale partito conservatore, il Vvd del premier uscente di Mark Rutte, il quale si gioca il primo posto alle elezioni col Pvv, ha dichiarato più volte la sua totale indisponibilità ad appoggiare un governo con Wilders e i suoi. Da registrare la crisi del Pvda, il maggior partito del centrosinistra, dato ai minimi storici dai sondaggi.

Il tema, però, è più largo dei singoli destini del governo nazionale olandese: un’affermazione larga di Geert Wilders in un Paese storicamente europeista come l’Olanda (uno dei fondatori dell’Ue), metterebbe in discussione i principi sui quali si fonda l’Europa in un luogo simbolico, e molti pensano che a quel punto potrebbe tornare in auge la possibilità di chiamare ad esprimersi i cittadini in un referendum sulla permanenza nell’Unione europea. Sarà dunque l’Olanda, la settimana prossima, il primo termometro dello stato di forma degli schieramenti globali in campo. La prima tornata elettorale di una serie mai come oggi decisiva per il nostro continente.