Attualità

Un viaggio dentro Amazon Italia

Dal centro di distribuzione al nuovo quartier generale di Milano, passando per le polemiche, i numeri e il futuro italiano del colosso di Bezos.

di Luca D'Ammando

La grande domanda che incombe dai tempi della rivoluzione industriale è: le macchine ci ruberanno il lavoro? Declinata al presente va aggiornata sostituendo alle macchine i robot e l’intelligenza artificiale. In cerca di una risposta si può entrare nel centro di distribuzione di Amazon di Passo Corese, a 30 chilometri da Roma, l’ultimo aperto in Italia. Qui c’è un che di ipnotico. Si assiste infatti a una sorta di danza degli scaffali. Ruotano su loro stessi, scartano di lato, si muovono in avanti, tornano indietro, a volte sfiorandosi. Ed è molto meno inquietante di come si possa immaginare. Questi robot Kiva a forma di parallelepipedo pesano 145 chilogrammi, possono sollevarne fino a 340 e si spostano a 5 chilometri all’ora. «Abbiamo capovolto l’equazione», spiega Tareq Rajjal, ingegnere egiziano-torinese general manager del centro di Passo Corese, «finora era l’uomo a muoversi per andare verso lo scaffale, qui l’uomo è fisso mentre lo scaffale si muove».

Per capire la rivoluzione di Amazon è giusto partire da questa struttura inaugurata nel settembre 2017 chiamata in codice FC01 (tutti i centri di distribuzioni di Amazon prendono il nome dall’aeroporto più vicino, in questo caso Fiumicino). Un hub di 65mila metri quadrati che assicura la distribuzione dei pacchi nel Centro e Sud 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Il trionfo dell’avanguardia tecnologica in cui i 400 dipendenti (destinati a diventare 1200 entro i prossimi tre anni) si muovono il meno possibile e quando devono spostarsi lo fanno seguendo le strisce colorate sul pavimento, mentre sopra le loro teste, su 20 chilometri di nastri trasportatori, viaggiano migliaia di pacchi alla velocità di nove chilometri l’ora.

Era il 18 novembre di otto anni fa quando andava online amazon.it, la versione italiana del portale e-commerce fondato nel 1994 da Jeff Bezos, oggi l’uomo più ricco del pianeta

Era il 18 novembre di otto anni fa quando andava online il sito amazon.it, la versione italiana del portale dell’e-commerce fondato nel 1994 da Jeff Bezos, oggi l’uomo più ricco del pianeta. Poco dopo veniva aperto il centro di smistamento di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. Dal 2010 Amazon ha investito in Italia 800 milioni di euro. Oggi ha 3500 dipendenti a tempo indeterminato nei tre centri di distribuzione (oltre a Passo Corese e Castel San Giovanni, c’è quello di Vercelli) e cinque depositi di smistamento in tutta Italia.

Il principale problema di immagine di Amazon riguarda le condizioni dei lavoratori che, stando ai detrattori, sarebbero sottoposti a stress e ritmi intensissimi. La prima forte denuncia arrivò da un lungo reportage del New York Times, nell’agosto 2015. Da allora sono seguiti migliaia di articoli e inchieste televisive. Di recente in Italia ha trovato forte risalto sui media lo sciopero dei dipendenti Amazon durante il Black Friday, lo scorso novembre, una protesta che nell’intenzione dei sindacati puntava a chiedere aumenti salariali e bonus ma che si è trasformata in un’accusa generalizzata al sistema lavorativo del colosso di Bezos. Oggi un magazziniere semplice guadagna 1450 euro lordi, che possono crescere seguendo i livelli del contratto nazionale di Confcommercio.

A questi si aggiungono alcuni benefit in stile americano, come la palestra, un’assicurazione sanitaria per spese dentistiche e oculistiche e il congedo parentale anche per il padre. Lo scorso inverno poi è scoppiata anche una surreale polemica sul brevetto del braccialetto elettronico. Amazon non rilascia commenti sui brevetti ma fa notare come «ogni giorno, in aziende in tutto il mondo, i dipendenti utilizzano scanner palmari per il controllo dell’inventario e per spedire gli ordini. Questa idea, se e quando dovesse essere implementata in futuro, verrà realizzata con il solo obiettivo di migliorare il lavoro di ogni giorno dei nostri dipendenti nei centri di distribuzione. Muovendo le attrezzature verso i polsi dei dipendenti, le mani vengono liberate dall’utilizzo degli scanner e gli occhi non devono più guardare lo schermo».

Una buona parte dei media italiani, insieme ai politici in piena campagna elettorale, hanno parlato di «schiavismo» e «sfruttamento», richiamando la condizione dell’operaio prigioniero in fabbrica, legato ai ritmi della catena di montaggio. Certamente il problema di stabilire un confine tra ottimizzazione del lavoro e controllo dei dipendenti è uno dei temi centrali nell’industria 4.0, di cui Amazon è parte costitutiva. Secondo Marco Taisch, docente della School of management del Politecnico di Milano, «quando parliamo di sistemi “di controllo” intendiamo microfoni per comunicare in azienda, cuffie, visori per la realtà aumentata. È l’idea di braccialetto che fa impressione». Eppure «anche quando un dipendente passa il badge in ingresso viene controllato. O, per fare un esempio più diretto, quando un lavoratore si autentica su una macchina utensile tiene traccia di sé e di quanto ha fatto».

Però il caso di Amazon appare più critico forse perché la tecnologia assume un ruolo più attivo, correggendo le azioni del dipendente: «Sì, ma in teoria questo serve ad aumentare la produttività», afferma Taisch, «se il problema è quantificare il lavoro, si può fare anche calcolando il totale di mail inviate». Nonostante le polemiche, Amazon continua a scommettere e a investire con convinzione sull’Italia. Lo scorso novembre è stato inaugurato il nuovo ufficio direzionale di Milano, frutto del restauro di uno degli edifici più rappresentativi degli anni Settanta, simbolo per decenni della Maire Tecnimont, in viale Monte Grappa 3. Un complesso che ospita più di 550 dipendenti (e arriverà a ospitarne 1100), organizzati su 15 piani per un totale di 17.500 metri quadri. E nei prossimi mesi sarà aperto a Torino un Centro di Sviluppo per la ricerca sul riconoscimento vocale e sull’intelligenza artificiale. «Oltre al successo di pubblico, in Italia abbiamo trovato un gruppo di ingegneri unico e diversificato che meritava di essere valorizzato», ha spiegato a Studio lo scorso marzo François Nuyts, Country Manager di Amazon in Italia e Spagna fino all’8 maggio scorso, giorno in cui ha annunciato le sue dimissioni.

Entro settembre entrerà in funzione il quarto centro di distribuzione, a Torrazza Piemonte, a 25 chilometri da Torino, un territorio in passato ad altissima industrializzazione e in cui oggi i 1200 posti di lavoro previsti arrivano come una benedizione. Un investimento da parte di Amazon di 150 milioni di euro, per una struttura di 60mila metri quadri. Anche questo, come quello di Passo Corese, sarà un magazzino intelligente, dotato della tecnologia Amazon Robotics, senza più i famigerati runner, gli impiegati maratoneti che devono percorrere fino a 20 chilometri al giorno tra gli scaffali per recuperare le merci. E al centro di Torrazza Piemonte, che diventerà l’hub per il Nord Italia ma anche per l’Europa, entro fino anno si aggiungerà anche una struttura di smistamento a Casirate, in provincia di Bergamo, che porterà con sé 400 assunzioni.

Volendo superare la retorica del “piccolo è bello” e delle botteghe di italica tradizione rovinate dal gigante dell’e-commerce, i numeri ci dicono che l’incremento del commercio digitale ha portato a strascico giovamento anche ai negozi tradizionali. Secondo l’Istat il calo di occupazione nel commercio si è ridotto sensibilmente negli ultimi due anni, in controtendenza rispetto ai settori dell’industria e delle costruzioni. Dunque la crisi del commercio non è da imputare all’online, che, caso mai, ha dato una mano. Mariano Bella, che dirige l’ufficio studi di Confcommercio, ammette che «Amazon è un problema, ma anche un’opportunità, perché spinge i nostri soci a convertirsi all’omnicanalità», ovvero a vendere su strada, web e telefonino.

A conferma di questa tendenza, lo scorso anno le 10mila aziende italiane che vendono la loro merce su Amazon hanno totalizzato vendite per più di 350 milioni di euro, generando più di 10mila posti di lavoro. Inoltre, due anni dopo il lancio, il negozio Made in Italy di Amazon offre più di 60.000 prodotti di 800 botteghe artigianali. È anche vero che l’Economist accusa Amazon di abbassare la retribuzione media nelle zone dove è presente. Una critica a cui François Nuyts, prima delle dimissioni, ci aveva risposto con una battuta: «E cosa dovrebbe fare Amazon? Se non apre delle sedi, la accusano di non creare posti di lavoro. Se crea posti di lavoro, dicono che il lavoro non è pagato bene. Battute a parte, credo che il solo fatto di creare posti di lavoro sia importante di questi tempi, no?».

C’è poi il problema delle condizioni e dei prezzi scontati imposti da Amazon. Lo scorso dicembre ha fatto discutere la vicenda di E/O, la casa editrice romana che tra le altre cose pubblica Elena Ferrante. Di fronte alla richiesta di aumentare la percentuale da lasciare ad Amazon, gli editori Sandro Ferri e Sandra Ozzola si sono ribellati: «Ci è stato richiesto uno sconto a loro favore troppo gravoso per noi e neppure giustificato dal volume dei loro affari con la casa editrice» hanno spiegato. «Il nostro punto di vista è che siamo in presenza di un’azienda che tende pericolosamente ad avere una posizione dominante». Amazon ha quindi sospeso sul suo portale italiano la vendita di tutti i titoli E/O. Un piccolo caso che però si inserisce nel tema più ampio della super-libreria online e del suo peso sul mercato. Dietro alle accuse di monopolio è il caso però di guardare anche i numeri.

Ogni impresa, quando diventa così rilevante, produce anche una propria cultura, una propria filosofia.

Se dopo sette anni di segni meno il mercato del libro in Italia nel 2017 è tornato a crescere del 5,8% una parte del merito è proprio di Amazon. Il canale online nel 2017 ha fatto un balzo in avanti con un incremento del 37% sull’anno precedente: oggi l’e-commerce pesa per il 21,3% dei libri venduti. Come spiega Ricardo Franco Levi, presidente dell’Associazione italiana editori, «Amazon non è un nemico e, come le altre librerie online, ha grandi pregi: può portare i libri dove non ci sono e purtroppo sono molti i luoghi in Italia in cui la situazione è questa; ha un assortimento enorme che i negozi fisici non possono garantire e una grande efficienza distributiva».

Tutto torna, perché è proprio dai libri, all’inizio impacchettati usando le porte degli uffici come tavoli improvvisati, che Amazon ha iniziato. Poi si sono aggiunti beni e oggetti di vario tipo, i regali di Natale, i mobili, addirittura le automobili. Quindi l’azienda di Bezos è passata al cibo, prima prodotti secchi e a lunga conservazione, poi i cibi freschi. E ancora i servizi tecnologici alle imprese, l’intelligenza artificiale, a breve anche il settore del credito. Ogni impresa, quando diventa così rilevante, produce anche una propria cultura, una propria filosofia. E al centro della filosofia di Amazon c’è la libertà di movimento, la possibilità di spostare flussi di prodotti materiali e immateriali. E il suo successo, in Italia come nel resto del mondo, è il manifesto più riuscito del mercato senza confini, è l’applicazione pratica di quell’ordine liberale minacciato ora dal nazionalismo protezionista che si sta affermando (vedi alla voce Trump o Salvini). Per questo Amazon è il nemico perfetto.

Dal numero 34 di Studio, in edicola
Foto di Filippo Romano