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Produrre invece di aggregare: la svolta di Salon

Cosa c’entra Charlie Sheen, uno degli attori-meme più chiacchierati dell’anno appena concluso, con il giornalismo di aggregazione o con quello di produzione? È una storia lunga, come si dice, ma vale la pena di raccontarla. La storia è quella di Salon, l’online magazine fondato da David Talbot nel lontan(issim)o 1995. In tempi come questi, tempi di D-Day dell’Huffington Post (Francia e prossimamente Italia), tempi in cui si parla ancora e molto di aggregare o non aggregare, la strategia di Salon per il 2012 è un caso interessante.

L’Editor-in-chief Kerry Lauerman, intervistato da Adrienne LaFrance di Nieman Journalism Lab, ha annunciato e spiegato nel dettaglio il cambio di strategia del magazine da lui diretto nel suo diciottesimo anno di vita, vale a dire da gennaio 2012. Salon, tra dicembre e gennaio, ha pubblicato un terzo dei post pubblicati in precedenza (esattamente il 33% in meno), ottenendo però un incremento di traffico del 40%. Il tutto, sottolinea Lauerman, senza “viral hits”, ossia articoli o post che potrebbero, con un enorme income di contatti, falsare i numeri complessivi. E i numeri, quelli sono impressionanti: 7,23 milioni di visitatori alla fine di gennaio.

Ma il cambiamento non è stato, spiega ancora Kerry Lauerman, frutto di una scelta radicale. Anzi, è stato un processo così “naturale” che non saprebbe nemmeno risalire all’esatto punto di partenza. Tuttavia ricorda chiaramente il momento più basso di Salon, il momento ultimo della “vecchia” strategia: «Ricordo che abbiamo aggregato una storia su Charlie Sheen, e girò parecchio su Twitter. Non era niente di davvero interessante, soltanto l’ultimo scoop. Ho dato un’occhiata a TweetDeck e mi sono accorto che i nostri concorrenti stavano twittando tutti la stessa cosa, prima o dopo di noi. Ho pensato, “Ecco come sta andando a finire. È spaventoso. Praticamente stiamo tutti rigurgitando la stessa cosa, in continuazione.”»

Poco dopo, il momento chiave della svolta: il ritorno a Salon del fondatore David Talbot, sempre nelle vesti di CEO. Il credo di quest’ultimo fu la spallata decisiva all’aggregazione. Così descrive la decisione di Talbot l’editor-in-chief:

It seemed totally logical to him, and he really wanted us to be ambitious and aggressive and break stories that really matter to our readers, focus less on doing pieces that could be found anywhere else.

In altre parole, perché non produrre storie che possano essere riprese da altri aggregatori, anziché riproporre gli stessi contenuti che ripropongono tutti? La linea indicata da Talbot sarà oliata e ingrassata nei prossimi mesi, dice Lauerman, ma Salon non abbandonerà il modello aggregator. «Good work matters, and can be rewarded» è la conclusione. Ben Smith, you are not alone.