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La prima vittima in uno scontro a fuoco della polizia islandese

Nella giornata di ieri a Reykjavik, in Islanda, un confronto a fuoco tra la polizia locale e un uomo si è concluso con la morte di quest’ultimo. I dettagli dell’accaduto non sono stati rivelati, ma pare che la vittima si sia rifiutata di obbedire all’ordine di gettare la sua pistola, costringendo i pubblici ufficiali dell’isola nordeuropea a difendersi.

La notizia, pur tragica, potrebbe sembrare ininfluente, ma non lo è. O meglio: è la prima di questo tipo, dato che in Islanda finora la polizia, nell’intera sua storia, non aveva mai causato nessuna uccisione. Il capo delle forze dell’ordine nazionali, Haraldur Johannessen, ha pubblicato una nota in cui chiede scusa per l’accaduto: «La polizia si rammarica per l’incidente e intende estendere le sue condoglianze alla famiglia della vittima», recita il commento di Johannessen.

La popolazione islandese totalizza soltanto 325.000 abitanti, mentre le armi registrate sono circa 90.000. In altre parole – non considerando i bambini – più di un terzo degli islandesi possiede un’arma da fuoco. L’Islanda, tuttavia, è anche un luogo tradizionalmente diverso da quelli in cui viviamo e che siamo abituati a conoscere: quando Andrew Clark, laureando in legge alla Suffolk University di Boston, decise di dedicare la sua tesi al basso tasso di criminalità dell’isola, descrisse uno scenario para-idilliaco: persone gentili ed altruiste con gli sconosciuti, bambini lasciati liberi di giocare da soli, in generale una maggiore fiducia nel prossimo.

La tesi di Clark concluse che la vera ragione della basse frequenza di crimini fosse legata all’elevata uguaglianza sociale del Paese. In Islanda solo l’1,1% della popolazione si definisce ricca, e – allo stesso modo – l’1,5% pensa di rientrare nel ceto di estrazione più povera. Di conseguenza c’è meno risentimento e invidia sociale. E la pubblica sicurezza gode dei vantaggi di questa situazione.

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Nella foto: una stazione di polizia in Islanda.