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L’ultimo leak che ha bloccato il Guardian in Cina

Com’è tristemente noto, le autorità cinesi non hanno un particolare feeling con le rivelazioni che concernono le loro ricchezze. Nel 2012 il New York Times e Bloomberg diedero spazio a una serie di inchieste che mettevano in luce gli asset dei leader cinesi (tra gli altri, anche quelli di Xi Jinping e Wen Jiabao). L’anno scorso David Barboza, reporter del Nyt, ha anche ottenuto il premio Pulitzer per la sua esposizione della corruzione delle alte sfere del governo cinese. Da allora queste testate si sono viste bloccare l’accesso ai loro siti in Cina, e non hanno potuto ottenere visti per impiegare nuovi giornalisti nel Dragone.

Oggi la stessa sorte tocca al sito del Guardian. Il giornale britannico ieri ha pubblicato una storia basata su leak raccolti in due anni dall’International Consortium of Investigative Journalists – un gruppo di 160 giornalisti che si definisce «the world’s best cross-border watchdog» – che attesta il ricorso a società offshore e paradisi fiscali da parte di una dozzina di famigliari di alti funzionari del PCC. Tra gli altri, nel report sono stati citati anche il cognato del Presidente Xi Jinping e il genere dell’ex premier Wen Jiabao. La fonte delle rivelazioni sarebbero due società operanti nelle Isole Vergini britanniche, che sostengono che più di 21.000 clienti cinesi e di Hong Kong avrebbero protetto le loro ricchezze spostandole ai Caraibi.

Per tutta risposta, appunto, le autorità cinesi hanno sospeso gli accessi al sito del quotidiano londinese dalla Cina, che attualmente non è raggiungibile – se non tramite Vpn. La stessa sorte è toccata al sito dell’Icij e al giornale spagnolo El Pais, un altro media che aveva riportato la notizia.
 

Nella foto: l’ex premier cinese Wen Jiabao.