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La Cina e lo stop alle stravaganze architettoniche

Molti simboli contemporanei delle metropoli cinesi sono grattacieli enormi e dalle fattezze singolari, spesso progettati da architetti stranieri. La notizia, tuttavia, è che il trend sta cambiando direzione: una direttiva congiunta del Consiglio di Stato e del Comitato centrale del Partito comunista di questi giorni ha stabilito che il governo rigetterà progetti «di dimensioni eccessive, esterofilo, eccentrico» e slegato dalle tradizioni cinesi.

La decisione, spiega il New York Times, segue un importante summit istituzionale nazionale sui problemi legati all’urbanizzazione avvenuto due mesi fa, il primo dal 1978, quando appena il 18% dei cinesi viveva in città (oggi la percentuale è salita a più del 56%), e un commento del presidente Xi Jinping della fine del 2014 in cui il capo di Stato si scagliava contro l’«architettura strana». Wang Kai, vicepresidente della China Academy of Urban Planning and Design, ha detto al Times: «Non dobbiamo esagerare con la ricerca dell’aspetto esteriore», ma concentrarci sulla funzionalità degli edifici.

Questa scelta sta già avendo ripercussioni sul lavoro degli architetti stranieri in Cina: intervistato dal magazine Dezeen, il vicedirettore del prestigioso studio di architettura Zaha Hadid, Patrik Schumacher, ha dichiarato che per i nomi stranieri ora è più difficile ottenere progetti a Pechino e nel resto del Paese.

Immagine Johannes Eisele/Getty Images