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Il segreto di Red Bull Racing: l’analisi dei dati e Internet veloce

La storia della Red Bull Racing, la molto vincente casa automobilistica di Formula 1, è quella di una cenerentola delle corse. Fino al 2004 non si chiamava nemmeno così: era la Jaguar, scuderia traballante che non era mai riuscita a piazzare un suo pilota sul podio di una gara e, come miglior risultato, si era piazzata settima nella classifica costruttori nel 2004. Nello stesso hanno il suo proprietario, la Ford, decise di venderla alla società di energy drink. E da quel momento cambiò tutto.

La rivoluzione, in casa Red Bull, è iniziata grazie allo sfruttamento dei dati. Secondo Alan Peasland, capo del settore tecnico della scuderia, per vincere un gran premio vengono utilizzati circa cento Gigabyte di dati. Ogni vettura è dotata di un centinaio di sensori sparsi per tutta la sua lunghezza, che rilevano dati sull’accelerazione di gravità, la temperatura e lo spin e li mandano ai box, dove un team di analisti li processa. Questo modus operandi ha pagato: dal 2010 Red Bull Racing ha vinto sia il titolo piloti che quello costruttori ogni anno. Quest’anno potrebbe essere il quarto doppio trionfo di fila.

I dati raccolti in pista vengono istantaneamente mandati anche ai laboratori Red Bull nel Regno Unito, cosa che – lo spiega Matt Cadieux, responsabile del settore informazioni – non fa nessun altro team di Formula 1. Il cuore del riscatto della scuderia è proprio in un laboratorio sito a Milton Keynes, cittadina del Buckinghamshire inglese: 24 analisti siedono davanti a 4 file di schermi, tramite i quali monitorano le condizioni del pilota e scambiano informazioni coi box.

Il risultato di questa inedita macchina organizzativa è che i tempi di reazione per decidere (in seguito a minuscoli cambiamenti che avvengono in pista o nella macchina) sono stati drasticamente ridotti: nell’ultima gara del 2012 Sebastian Vettel – pilota di punta di Red Bull – rischiò seriamente di perdere il campionato per un incidente con un’altra vettura. I suoi meccanici, invece di farlo rientrare ai box, decisero, sotto consiglio di Milton Keynes, di lasciarlo in pista. Arrivò sesto. Vinse il Mondiale.

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