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La Casta degli anti-Martone

Il problema, probabilmente, sta tutto in quella parola: «sfigato». Che Filippo Facci su Libero, un po’ sofisticamente, traduce come “sfortunato”, connotandola soltanto di un significato tecnico ma spogliandola di quello politico, ossia delle implicazioni sociologico-generazionali che addobbano (da sempre?) il termine. Strano esecutivo, questo: attaccato quotidianamente dalla stampa destrorsa (Libero e il Giornale per intenderci), riesce da questa a farsi difendere quando il resto dei quotidiani gli voltano le spalle. Il merito del gioco di prestigio è tutto del viceministro Michel Martone, 37 anni, che in un impulso padoaschioppiano ha buttato lì la provocazione: secchione è bello, chi si laurea a 28 anni è sfigato. Apriti cielo.

Dalle pagine di Repubblica tuona Alessandra Mussolini che «sfigato sarà lui», che lei ha dovuto lavorare e ha finito per prendere la laurea in medicina a 32 anni. Piovono virgolettati di tweet e commenti di studenti-lavoratori che, in un impeto di indignazione da post-it (o da “ilcorpodelledonne”) testimoniano la loro battaglia tra interinalità lavorativa ed esami universitari. Il Fatto Quotidiano, in stile “sbatti il mostro in prima pagina”, pubblica una fotografia che non lascia dubbi di sorta: Martone è ritratto vicino all’ex ministro Brunetta, didascalia sarcastica “il degno allievo”. Tacciato anche di yuppismo (chiara la condanna: sei ricco e di bella presenza e pure un po’ elegante) il giovane viceministro, in un Paese in cui ci si lamenta dei dinosauri ma ci si rode dall’invidia per un 37enne di successo. La Lega Nord gli risponde per le righe (loro sì coerenti nell’opposizione anti-tecnica): “fighetto!”, dice Angela Maraventano, “snob!” è il coro che si leva dai banchi padani.

Un’opinione pubblica (e giovanilistica) con la bacchetta in mano 24/7, catechizzatrice e moralizzatrice di una “casta” di “corrotti”: eppure pronta a ribellarsi se il diritto a scaldare una seggiola della biblioteca le viene soltanto sfiorato. Permalosa e testarda, non incapace di leggere tra le righe di una monito sacrosanto ma che ostinatamente si rifiuta, colpita nell’orgoglio anche se i bersagli veri erano quei fannulloni che tanto vengono vituperati nei soliti slogan. Rimane, ancora una volta, l’indignazione fine a se stessa, la rivendicazione perenne dello status di “prigionieri precari”, la chiusura in una corporazione orgogliosa e cocciuta. Studenti-lavoratori sulle barricate per difendere l’incompetenza dei colleghi mantenuti. Questa non ce la saremmo aspettata: chi detesta la casta è casta a sua volta.

Davide Coppo

(Chi scrive questa breve opinione si è laureato a 23 anni, lavorando)