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Forse è il momento di staccare la spina e lasciare che alcune specie si estinguano

L’ultimo esemplare di rinoceronte bianco maschio si chiamava Sudan ed è morto il 19 marzo. Su Studio n. 26, avevamo pubblicato un reportage che ne documentava l’estinzione. Sudan aveva 45 anni ed era da tempo gravemente malato: è stato sottoposto a eutanasia dai responsabili della sua riserva in Kenya. Ora di questa specie restano in vita soltanto due femmine. Ma gli esperti non si danno per vinti: sperano di poter arrivare a riprodurre altri esemplari. Una possibilità per impedire l’estinzione della specie potrebbe essere quella della maternità surrogata, tentativo nel quale sarà coinvolta anche un’azienda italiana, la Avantea di Cremona, insieme all’istituto IZW di Berlino e al Kenya Wildlife Service.

La vicenda rimanda a un problema di cui si sta discutendo già da un po’: quali specie salvare e quali lasciare estinguere? Nel 2017 il magazine Outside ha pubblicato un articolo sull’argomento, dove si spiega che (non fosse altro che per ragioni economiche) salvare tutte le specie a rischio di estinzione è impossibile. Come decidere allora quali sacrificare? L’esempio riportato è quello delle foche monache australiane: «Non c’è modo di salvarle», ha detto Leah Gerber, una professoressa dell’Arizona State University, ecologista e biologa marina che ha dedicato la sua carriera allo studio delle specie a rischio. Gerber è una dei principali sostenitori di quello che viene chiamato il triage delle specie, un sistema degli ambientalisti per determinare a quali specie dare priorità per fare in modo di utilizzare i fondi nel modo più efficace e sensato possibile. Questa pratica è già stata utilizzata dai governi in Australia e in Nuova Zelanda, ma non è mai arrivata negli Stati Uniti. L’obiettivo è quello di salvare il maggior numero di specie, anche se significa sacrificarne altre, ad esempio le foche monache.